1° Campionato italiano di Trail-o, Parco di San Giovanni, Trieste, 02.10.2010 [3]

Ad ogni modo. La focaccia era deliziosa, il pasticcino anche, nonostante la conservazione in frigorifero avesse messo alla prova la fragranza della pasta sfoglia, e Larry e Zzi possono seguire le fettucce al contrario per effettuare la simulazione con la delegata tecnica. Simuliamo. Pare tutto bene. In cuor mio esclamo il nome di una nostrana erede di Lapalisse [la signora Grazia Alcazzo, la invochiamo tutti prima o poi], essendoci noi cronometristi tutti scrupolosamente preparati nei giorni precedenti, immolando la nostra esistenza al principio di equità che regge l’universo del trail-o.
Ah, come sarebbe migliore il mondo se fosse equo come una gara di trail-o!

Il mantra del principio di equità mi è talmente entrato dentro che stavo per pugnalare con il paletto di una lanterna uno stronzo che a un certo punto ha portato il cane a passeggio proprio in mezzo alla mio punto a tempo [perché il parco è piccolo, non aveva altro posto dove andare, bisognava proprio che passasse in mezzo alle mie cinque lanternine spelacchiate, che non davano fastidio a nessuno]. L’ho lasciato vivere solo perché non ero sicura di saper rimettere la lanterna esattamente al suo posto e perché, fortunatamente, il fenomeno ha portato l’innocente creatura a fare agility fra le mie lanterne – ribadisco: le mie –  tra un concorrente e l’altro, senza, di fatto, inficiare alcuna performance.

Lo svolgimento della gara, per quanto riguarda la nostra giurisdizione, procede fluido e sereno, soprattutto, senza errori da parte nostra.
Ho scoperto più tardi che qualche volta ho dimenticato di riportare sulla seconda copia del cartellino i risultati, ma essendoci stati diversi [appositi] controlli dopo, ciò non ha causato alcuno svantaggio agli atleti.

Una sola volta, Zzi ha fermato il cronometro qualche decimo di secondo dopo di me, perché ha visto con [im]percettibile ritardo che il concorrente ha indicato la risposta, anziché pronunciarla, ma io ero stranamente attenta e ho preso il tempo istantaneamente e lo stesso concorrente ha poi convenuto che entrambi avevamo fermato il cronometro al secondo esatto.

I trailoisti, dal canto loro, sono concentrati come artificieri.
Rem arriva a testa bassa, puntando alla sedia come un siluro. Che professionalità! – penso io – Che fair-play! Altro che quei pivelli di vent’anni, che arrivano lenti come ottuagenari con l’artrite per sbirciare le lanterne qualche secondo in più, insultando l’intelligenza dei cronometristi [la mia, però, non se l’è presa, perché s’era assentata per far merenda]! No, macché. Sarà anche fair-play, ma nella fattispecie stava facendo finta di non conoscerci.
The Speaker, pur con la compostezza e gli occhi bassi dei professionisti, è invece leggermente più affabile, salvo poi partire alla volta di Monte Prat immediatamente dopo la gara per non rischiare di interagire nuovamente con noi.
Scaturirebbero interessanti spunti di riflessione da queste esperienze, ad avere almeno il pollice opponibile.

Poi, finalmente, tocca anche a noi fare la gara.
Per poter farci partecipare alla competizione nel rispetto delle regole e del Principio di Equità [Chomsky, 1987], il comitato tecnico ha escogitato questo formidabile escamotage, che al confronto le leggi ad personam sono prepotenze infantili [ho sbagliato, scusate, dimenticate il paragone: le leggi ad personam sono prepotenze infantili indipendentemente dal sistema di riferimento]: iniziamo per primi, facciamo i punti a tempo prima della partenza vera e propria  – quindi senza averli visti prima, come tutti gli altri –  e poi completiamo la gara per ultimi, grazie al fatto che dalla nostra postazione non si vede il resto del terreno di gara.
Ho fame, ho mal di piedi, ho mal di schiena, ho il culo arrosto, ho sete, ho sonno, ho voglia di una doccia, ho voglia di un bignè, ho bisogno di una ceretta, ho intenzione di cucire, ho un sacco di roba da leggere, ho promesso che avrei lavato i vetri… ho finito le scuse, la verità che sono stati mossi mari e monti per permettere anche a me di gareggiare che  dire adesso che non ne ho voglia mi pare estremamente sgarbato.

Si noti l’ordine delle parole [l’Italiano è una lingua in cui l’ordine delle parole è determinante]: “[…]dire adesso che non ne ho voglia” e non “dire che adesso non ne ho voglia”. Significa che lo sapevo da subito che non ne avrei avuto voglia, ma poiché ho taciuto quando era il momento di parlare mi sono ritrovata a non potermi più tirare indietro. Un po’ come se Benjamin Braddock facesse irruzione in chiesa sui titoli di coda, ecco.

Nonostante il trail-o sia la disciplina della calma e della riflessione per antonomasia, io riesco a sbagliare DUE VOLTE a punzonare il cartellino. Dopo un’attenta riflessione, dopo essermi ripetuta la risposta come un mantra, dopo aver verificato che fosse proprio quella la desiderata, dopo aver tenuto il segno col ditino sono arrivata al punzone e D’OH! Ho bucato quella sbagliata. Una volta me ne sono accorta e mi sono appuntata la risposta esatta nella casella, ben sapendo che ai fini del risultato non conta [e ci mancherebbe altro: hai tre quarti d’ora per decidere dove fare un buchetto, una cavia guercia ci impiegherebbe meno], per poter almeno, alla fine, confrontare la mia risposta con la soluzione; l’altra volta, invece, me ne sono accorta solo alla fine, quando, stupita come i discepoli davanti al sepolcro vuoto, ho scoperto che sul cartellino non c’era la risposta che avevo dato nella mia testa.
Perbacco, non mi sono ancora fatta un lifting ed è già l’ora della mia prima tac al cervello…come vola il tempo!

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