Agriturismo Grmek, Gropada, TS

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Come avete visto e come già sapete avendo scaricato il calendario di Larrycette, domenica era il compleanno del nostro amico Celere Capellone.

Mi rendo conto adesso che non vi ho mai parlato approfonditamente del Celere Capellone perché – lo avrete notato – non parlo molto approfonditamente delle persone.
So che sono la cosa migliore della vita di ciascuno di noi, e scommetto che trovereste molto più interessante scoprire qualcosa dei soggetti che ogni tanto spuntano da queste pagine, anziché essere messi a parte di chissà quale delle mie assurde scelte di percorso, ma ho un arcaico concetto di privacy, ragion per cui ritengo che se qualcuno desidera divulgare i propri cazzi, si attrezza e li divulga, come faccio io; se taluni non lo fanno, tendo a presumere che sia perché non va loro di farlo, ed evito di farlo in loro vece, tant’è che – per scrupolo – ho dotato ciascuno di un buffo soprannome (perfino me, perché diciamocelo: io mi vergogno a far sapere che mi conosco).

Proprio perché dotato di un soprannome che ne tutela la reputazione, penso di potermi spingere ai limiti del consentito e diri due parole su di lui.

Il Celere Capellone è una delle anime della nostra giovane, ma rispettabile società.

Saremmo orientisti persi senza di lui.
Oh, intendiamoci: Zzi e io siamo capitati proprio bene, tutti quelli che conosciamo un po’ meglio sono simpatici e quelli che ancora conosciamo poco lo sembrano, ma il Celere… Se il Previdente Presidente è il motore della nostra giovane, ma rispettabile società, il Celere Capellone è la caldaia di entusiasmo che lo alimenta.

Il Celere è quello per cui nessuna gara è troppo lontana o troppo poco prestigiosa o su un terreno troppo insidioso. Se il Presidente si dimentica di prendere in considerazione un evento, il Celere di sicuro non lo scorda, e tenta di trascinarci tutti. Il più delle volte non gli andiamo dietro, perché propone trasferte troppo assurde perfino per noi, ma la cosa di lui che adoro è che riparte alla carica con il medesimo entusiasmo all’occasione successiva.
Fosse per lui, saremmo più in Friuli che a casa nostra, e avremmo avuto tante di quelle occasioni di magiare carne salata, che ora ci uscirebbe dagli occhi.

Solo verso i centri storici nutre scarsa simpatia, a causa del loro essere tempestati di stupidi edifici che rendono la navigazione ad azimut ancora meno praticabile di quanto doline e verdi-3 già non facciano, anche se va detto che macchie di verde-3 grosse un dito e doline da ‘mezza dozzina di curve in mezzo centimetro’ non sono mai state un problema per il Celere.

Girare per i boschi con il Celere, poi, è uno spasso, perché sa un sacco di cose interessanti sulla vegetazione e la fauna locali, e trova sempre un sacco di spunti per raccontare cose interessanti.
Se difettano gli argomenti naturalistici, perché magari il paesaggio è un po’ ripetitivo, la Storia ci regalerà immense soddisfazioni.

Il nostro amico, infatti, è un esperto di prima guerra mondiale, in particolare delle battaglie dell’Isonzo.
Conosce nel dettaglio i movimenti dei battaglioni, ha svolto sopralluoghi e indagini nelle trincee di Monte Ermada e dintorni, ha scoperto e interpretato le incisioni dei soldati nelle grotte e ne ha ricostruito le vicende. È coautore di diverse pubblicazioni sull’argomento (alle quali non vi metto il link solo per seguitare a proteggere la sua reputazione, ma delle quali dovreste chiedermi, la prossima volta che mi incrociate a una gara) sia in italiano che in sloveno, insidiosa lingua che parla con disinvoltura pur avendola appresa in età matura.

Personalmente trovo che questa sia la più romantica delle sue attività, poiché se a sedici anni sei stato mandato a morire in mezzo al fango e ai sassi per un confine che sta a centinaia di chilometri da casa e che neanche cent’anni dopo non ci sarà più, il minimo che quelli venuti dopo possano fare è cercare di capire come hai passato i tuoi ultimi giorni di vita, anche se è passato un secolo, e pensarci bene su, tanto per evitare altre cazzate.
Il Celere è uno di quelli che spendono il loro tempo e i loro soldi per raccontare agli altri cosa è successo, e arginare la tendenza dell’umanità a fare cazzate; e io sono così fiera di lui che quando sarà Imperatrice della Galassia gli darò il Nobel per la pace.

Naturalmente, la cosa che preferisco dei Celere Capellone sono i suoi capelli: biondi, morbidi e molto più lunghi dei miei.

Capite, dunque, con che gioia sabato scorso (cinque giorni fa – gente! – mai stata così “sul pezzo” in vita mia) lo abbiamo festeggiato, andando a pranzo all’agriturismo Grmek a Gropada.

 

Agriturismo Grmek, Gropada, TS

aka agriturismo Picko

L’agriturismo Grmek di Gropada – identificato così dal nome della titolare – è anche noto come “agriturismo Picko”, dal nome che sta sull’insegna.

“E perché non usi il nome che sta sull’insegna?” – Diranno subito i miei Piccoli Lettori. Perché non me lo ricordo con esattezza e non sono sicura che sia proprio “Picko”, propenderei, anzi, per “Pičko”. In rete si trova ovunque “Picko”, ma potrebbe dipendere da un infelice rapporto dei siti italiani con i diacritici.

Assodato che “Picko” non è il nome proprio del titolare, infatti, mi aspetterei che il nome sull’insegna avesse un significato.
Il mio dizionario di sloveno (Zanichelli, non compratelo, tanto è ben fatto quello di croato, tanto in quello di sloveno non c’è mai niente di utile) non registra né il lemma “picko”, né “pičko”.
Google translate, però, dice che “pičko” significa “micio”, che, a mio avviso, è un nome bellissimo e adattissimo a un agriturismo, pertanto propendo per questa ipotesi. Non essendo Google Translate lo strumento più in voga fra i traduttori professionisti, però, provo a dare un’occhiata al Pons, che non registra né “picko” né “pičko”, ma in compenso registra “pička”, che vuol dire “figa”; proprio così, volgare: “figa”.
… Dunque, “pičko” è sicuramente l’accusativo di “pička”, ma, alla luce del significato, mi sembra parecchio improbabile che un agriturismo sia stato battezzato così (e anche che gatto e figa si dicano allo stesso modo, ma dello sloveno non mi stupisce quasi più niente, tranne proprio il fatto che abbiano parole volgari… sarà un serbismo!).
Torna, allora, prepotentemente in auge l’ipotesi “Picko”, e cazzi dei padroni il perché l’han chiamato così… magari vuol dire qualcosa in sloveno carsolino, va’ tu a sapere…

 

Dov’è e che aspetto ha

Ad ogni modo, non occorre conoscerne il nome, perché a Gropada non ci sono altri agriturismi. C’è un pub – il mitico pub Skala, ottima birra e piatti appetitosi, non avendo fretta – e c’è un agriturismo (questo): scartate il pub e non vi resta che l’agriturismo. Quando ci arrivate, lo riconoscete senza dubbio perché nei pressi c’è il cartello informativo del percorso fisso di orienteering (è una persecuzione, sì).
Ci accomodiamo nella sala di sotto, di dimensioni piuttosto ridotte, ma tranquilla, arredata con semplicità, eppure comodamente.

 

Cosa si mangia all’agriturismo Picko (Grmek) a Gropada

 

Coperto e servizio

L’ambiente è luminoso e pulito, i tovaglioli sono in carta soffice e spessa, tipo airlaid, ma non è airlaid (anche se mi pare comunque una carta a secco).

Il pane è delizioso; è bianco, ma è morbidissimo e leggero, con la crosticina spessa e dorata; potrei mangiarmene sei chili.
Il vino non è memorabile, ma nella categoria dei vini sfusi “del contadino” offre una prestazione nella media.

Io – quella a cui non piace la pasta, mi preme ricordarlo – sono in piena fase “lasciate che i carboidrati vengano a me”, così, dopo gli gnocchi della cena marchigiana della sera prima, ordino il misto di primi piatti: gnocchi al ragù, pasticcio (lasagne al forno) di carne, strucolo di spinaci e crêpe con prosciutto e formaggio.

Pagherò tutto il giorno dopo a Campo Carri e lo so, ma sul momento voglio vivere pericolosamente. Quando mi arriverà il piatto, mi sembrerà perfino una buona idea. Zzi prende stinco di maiale con contorno di gnocchi (sta leggero anche lui), il Previdente Presidente e la Costruttiva Consorte optano anch’essi per i primi e il festeggiato si concede una ljubljanska.

Ci avvertono che per la ljubljanska ci vuole una mezz’oretta, così – dopo una serrata trattativa – riesco a estorcere ai commensali il permesso di ordinare un piccolo antipasto per ingannare l’attesa.

Mi spiegano che ci vuole tanto perché è fatta al momento. Io continuo a non capire perché ci vogliano trenta minuti per friggere una cotoletta, così vengo informata del fatto che l’agriturismo apre solo nel fine settimana, di conseguenza, affinché si conservi fresca più a lungo, verosimilmente la carne viene tagliata in fette solo quando serve, al che convengo che sì, in effetti, tra tagliare, farcire, impanare, friggere e servire un po’ di tempo vola via; considerando, poi, che non siamo gli unici clienti a cui pensare, non si può pretendere di essere serviti tanto prima.
Va apprezzato molto che la previsione fosse realistica e che la mezzora non sia diventata quaranta minuti.

 

Antipasto di salumi

Nel frattempo, gustiamo un formaggio tipo latteria leggermente occhiato, a pasta morbida, di sapore piuttosto delicato e con un leggerissimo pizzicorino. Me ne farei fuori una forma, ma nel piatto ce n’è una fettina a testa, e mi devo dominare.
Il prosciutto crudo è tagliato un po’ spesso, per i miei gusti, ma è perfettamente in linea con la tradizione locale, dove usa mangiarlo tagliato a mano o, se tagliato a macchina, in fette di spessore intorno al millimetro. Per essere prosciutto crudo carsolino è dolce e, soprattutto, è magro e morbidissimo. Dieci e lode per il crudo, e grande scorno dei miei commensali che si riducono a dividersi la pancetta e il salame, perché non lascio loro altro.

Il salame è buono, ma del tipo a grana grossa e fresco, per il quale onestamente non vado pazza (è apprezzato da altri, però); per chi non è della zona, immaginate una specie di Sant’Olcese poco stagionato. Per alcuni è una leccornia.
Non ho toccato la pancetta, ma immagino fosse all’altezza del resto.

 

Primi piatti

Gli gnocchi al ragù erano molto buoni: lo gnocco in sé era leggero e si disfacevano in bocca; il sugo non aveva subito una cottura molto lunga, in compenso abbondava di carne.
Stesso dicasi per il pasticcio di carne, che altro non è che il nome triestino delle lasagne al ragù: sebbene il ragù non fosse consumato come quello emiliano, c’era talmente tanta carne, e le lasagne ne erano così riccamente farcite, che proprio non si poteva non esserne soddisfatti.

Delizioso è il rotolo di spinaci, anzi: lo strucolo de spinazze.
La pasta è sottilissima e per niente invadente, gli spinaci nel ripieno sono tritati finemente e ben amalgamati al formaggio, così la consistenza è soffice e liscia, e non si rischia il soffocamento, come accade con gli struccoli troppo “domači”, in cui gli spinaci sono lasciati in foglie intere, che puntualmente prendono la via della laringe.
Da buona genovese, sono un’estimatrice dello strucolo de spinazze, perché il suo ripieno mi ricorda quello della torta pasqualina (noi, che siamo per la cucina nutriente, chiudiamo il composto, anziché in una semplice pasta da bollire, in una ricca pasta sfoglia, e lo guarniamo con uova intere e prescinêua, per dare un po’ di sostanza).

La crêpe è una sorpresa, dapprima negativa, poi molto positiva, tant’è che – dopo il primo giro di assaggi per capire in che ordine consumare le pietanze – la tengo per ultima.
Dicono che la differenza fra i grassi e i magri, anzi, fra coloro che sono in forma e quelli che non hanno speranze di diventarlo mai, sta nell’ordine con cui consumano le cose che hanno nel piatto. Il “magro” mangia per prime le cose che gradisce maggiormente, perché non sa se alla fine avrà ancora fame e non vuole rischiare di avazarle; il “grasso” lascia la parte preferita per ultima, perché sa che, per quanto sazio possa essere, avrà sempre posto per le cose buone, e mangia indipendentemente dallo stimolo della fame.

Quando affondo il coltello nella crêpe, incontro un’inaspettata resistenza. “Che cazzo” – penso con il garbo che mi contraddistingue – “tante menate per la ljubljanska fatta al momento, e poi conservano le crêpe male al punto da farle indurire? Non può essere”. Infatti, non è.
All’assaggio scopro che la consistenza più soda non è data dalla crespella (che a voler sottilizzare è, in effetti, leggermente più elastica che altrove, ma in modo appena appena percettibile e comunque ampiamente entro i limiti di morbidezza che una crêpe deve avere), bensì dal ripieno di prosciutto e formaggio, che sono rispettivamente il crudo e il latteria che tanto ho apprezzato prima e che – sì, certo, ovvio, grazie al cazzo – sono chiaramente più tenaci di prosciutto cotto industriale e sottiletta di minchia, da masticare.

In bocca, è una bontà. Certo, non è la delicata crespella con la besciamella da verginella, che non impegna la mascella e scompare tra le budella, ma dà infinitamente più soddisfazione, sia ai denti che al palato. Appena l’ho assaggiata, ho capito che per una cosa così ci sarebbe sempre stato posto nel mio pancino.

 

Secondi e contorni

Le porzioni sono molto abbondanti, così non ho la forza di assaggiare lo stinco ordinato da Zzi – il quale riferisce che è molto buono e lo spazzola a testa bassa – e la ljubljanska del Celere, che in effetti non me l’ha offerta, ma è stato molto generoso con le patate.

La ljubljanska era, a onor del vero, molto invitante all’esame visivo: la panatura era croccante e non c’era traccia di unto nel piatto; il coltello andava giù senza difficoltà nella carne e la farcitura era generosa, perciò ho ragione di immaginare che fosse buona. Lo immagino talmente tanto che sono decisa a tornare all’agriturismo Grmek e ordinarla, dovessi aspettare l’avvento del Regno dei Cieli.

Sono ottimi anche gli spinaci e le verze al tegame, così come sono appetitosissime le patate fritte a cubetti, ma la vera prelibatezza sono i chifeletti, gli incontrastati imperatori della tavola mitteleuropea.

Chifeletto, meine Liebe!

Il nome è chiaramente asburgico, deriva infatti dal tedesco “Gipfel”, che vuol dire “vertice”, “culmine” e in cucina indica un po’ tutto ciò che ha forma ogivale ed esce da un forno, dal gioppino al croissant.

I chifeletti sono piccole “v” fatte della pasta degli gnocchi di patate, destinate, però, a una fine foriera di assai maggior gloria: immerse nelll’olio bollente, anziché nell’acqua.
Ne vengono fuori degli irresistibili ibridi fra la crocchetta di patate e il cucullo (la specialità genovese che altro non è che pasta fritta, al massimo aromatizzata con un po’ d’erba), con la crosticina sottile e di consistenza morbidissima, una sublime espressione di civiltà e progresso, al pari della Gioconda, delle Piramidi e di Born to Run.

 

Fine pasto

Non sono riuscita a mangiare anche il dolce, più a causa dello sguardo intimidatorio di Zzi che dell’effettivo senso di sazietà (che comunque non mancava); ho preso il caffè, e francamente non l’ho trovato entusiasmante, ma con una bustina di zucchero e un po’ di latte si lasciava bere.

Siamo usciti contentissimi da questo agriturismo, che per giunta è anche economico, anche se non sappiamo ancora se si chiami Grmek, Picko o Pičko… ma mi riprometto di controllare quando tornerò, perché a pensarci bene non mi spiego perché non ho ordinato anche io ljubljanska e chifeletti, e devo assolutamente tornarci per mangiarli.

 

 

 

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