[Agriturismo Punta, Umago Monti] Secondi Piatti ✎

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Il locale ci aveva attrato col miraggio della brace.
Non era brace, era griglia. E’ buona lo stesso, ma non è la stessa cosa, nella brace i tempi di cottura sono più dilatati, è più difficile da eseguire, ma il risultato è migliore. La griglia è più adatta a un ristorante perchè permette di servire i piatti con tempi di attesa ragionevoli, un minor margine di errore, pur conservando l’atmosfera rustica della pietanza.
Però io avevo messo il cuore sulla brace, è che sono troppo sazia per farmi girare il belino.

Ordiniamo 2 luganeghe e mezza e una fiorentina.
Le luganeghe [luganighe per gli autoctoni, salsicce per gli Italiani, sebbene con la forma dialettale diffusa un po’ in tutto il paese si indichi sovente il budello continuo e sottile, per differenziarlo dalla salsiccia propriamente detta, più larga e sottoforma di nastro con varie strozzature – n.d.t, nota della tachente] non possono essere criticate: sebbene di pasta grossa, ossia non troppo macinate, con la pelle piuttosto dura e decisamente troppo grasse, pur salsicce erano; se uno vuole mangiare una carne raffinata e magra, ordina un filetto di manzo. La salsiccia è dozzinale per definizione, tanto più che parliamo sempre di un prodotto fatto in casa, in cui la genuinità è inversamente proporzionale alla raffinatezza.
Quanto alla fiorentina, lasciamo perdere.
Posto che sapevo che con il termine ‘fiorentina’ in questa parte del mondo si indica semplicemente la costata di manzo, mi sarei aspettata, almeno, una costata di manzo.
Non che la parte di animale che mi è stata servita nel piatto non fosse quella da cui si ricavano normalmente le costate, né che l’animale di cui mi apprestavo a divorare le carni non fosse stata una mucca; è che era sottile. La fetta che mi è stata servita sarà stata alta un dito/un dito e mezzo al massimo: praticamente una bistecca grassa con l’osso. Caratteristica precipua di questo taglio del manzo è di presentare uno spessore considerevole, affinchè in sezione presenti diversi gradi di cottura. Tagliare una costata deve rivelare sfumature che da un grigio appena rosato si sviluppano in una sorta di macabra alba, fino al centro della fetta, in cui la carne è praticamente viva. Ci vuole un animale barbaro e spietato come l’uomo per godere di un simile spettacolo, ne convengo; ma la carne “cotta” non è ugualmente buona, e tanto la mucca ormai è morta.
Invece la mia ingordigia è stata punita e mi arriva una fettina da fighetta, da cui ricavo e mangio solo la rosa [Zzi mette a tacere la mia coscienza e spolpa l’osso come un branco di piranha], peraltro troppo tenace. Bocciata, dunque, anche la cottura [se uno mette sulla griglia un’ostia, deve sapersi regolare].
In compenso, alla faccia della fame nel mondo, con i contorni si può pasteggiare: bietole al burro, patate al forno, crauti con pezzetti di pancetta oltre la volontà; francamente spero che riciclino gli avanzi.
Tutti buoni, sempre troppo conditi, ma buoni; in media, meglio i contorni dei secondi, peccato che arrivino quando lo stomaco ha già gettato la spugna.

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