Brescia, 23 ottobre 2011, Trofeo centri storici [4]

Di primo mattino mi fa alzare e mi porta in una città umida e lattiginosa, con la stessa luce e gli stessi colori che ha Trieste quando la si guarda attraverso la carta da forno (chi non ha mai guardato Trieste attraverso la carta da forno?).

Io mi sono cambiata in albergo e non scendo dalla macchina fino all’ultimo. Ma proprio “l’ultimo” tanto che ho rischiato di fare una partenza alla Simonelli, cioè quattro o cinque minuti dopo il proprio minuto di partenza da griglia. Per fortuna, invece, quando arrivo al cancello e chiedo “a che minuto siamo?” con fare indifferente, mi rispondono con il mio numero e passo il nastro con calcolata nonchalance.
La gara non è male, è che è strana.
Ovviamente non parlo della mia performance, che per ragioni atletiche è stata pessima, ma mi limito a considerazioni teoriche, come se non fossi uscita sul terreno. Poiché la mia categoria prevedeva la finale, il castello – ovvero la parte cartograficamente impegnativa – è stato lasciato da parte nella prima manche (non può essere definita “di qualificazione”, essendo diciotto le atlete partecipanti, più io), che si è svolta solo in centro.

La partenza è clamorosamente selettiva, perché prevede di percorrere in discesa una scalinata ripida, sconnessa e lucida come la pista del bowling, roba che se per sbaglio metti il piede su uno sputo fai un volo che ti trovano a Mantova.
Forte della mia capacità a leggere la carta, decido di affrontare con rispetto la ripida discesa, certa di recuperare alla grande una volta arrivata in pianura.
Ai piedi della scalinata c’è un fotografo che immortala tutti gli atleti che passano. Io sono quella che è rimasta nella foto di tutti gli altri e, se ci fate caso, confrontando il primo e l’ultimo scatto in cui compaio, si nota che mi sono cresciute le unghie. Io, visto l’andazzo, faccio quella che non è che non sa scendere due gradini, è che le piace farsi fotografare:

Dovete sapere che, come scrittrice, mi ispiro alla tecnica compositiva per cui è famoso Wordsworth e con cui ci hanno fatto due palle così alle superiori: la recollection in tranquility. Dicesi recollection in tranquility la pratica di non scrivere di getto, ancora sotto l’influsso delle emozioni e delle prime impressioni, bensì limitandosi in prima battuta ad osservare la realtà e riflettendo poi a posteriori sui sentimenti che l’esperienza ha suscitato, lasciando che essi si ripresentino nel’animo attraverso il ricordo in un momento di quiete [questa l’ho detta solo per far vedere che anche se non sembra, ce l’ho anche io, il diploma]. Così io ho vissuto l’esperienza “Brescia, 23 ottobre 2011” e ho atteso il momento di tranquility per recollect le mie emotions nel memory. Ammettiamo pure che momenti di tranquility per fare un minimo di recollection ce li ho avuti, ma magari ho fatto altro. Insomma, ora che è il momento di riflettere sui miei memories… ecco, i memories mi difettano un po’, e non mi ricordo molto della gara, essendo passati più di due mesi.

Ad ogni modo, mi ricordo che per me è stata abbastanza noiosa, perché le scelte di percorso erano poche, e se c’erano erano intuitive. Mi hanno poi anche spiegato che se la fai a velocità pedrotti [si scrive minuscolo perché è un valore, una sorta di unità di misura dell’orienteering: la formula per determinarla è fulviopacor/tempo], le scelte non sono così scontate, ma se la fai a velocità lumaca è ovvio che hai tutto il tempo di notare che in carta non è segnata l’erba fra le fughe delle piastrelle e infilare i vicoli giusti. Nonostante questo, ricordo distintamente di essere clamorosamente andata lunga a un certo punto ed essermi imbattuta in un negozio di pianoforti che nessun altro ha avuto modo di incontrare.

Il mio stile di corsa (si fa per dire) “attento”, tuttavia, mi ha permesso di notare particolari importantissimi, la cui rilevanza andava ben oltre il mero fine della gara: i ristoranti.
Come il mio piccolo lettore Elvio aveva giustamente sospettato non vedendomi arrivare dopo due ore e mezza di gara, infatti, già che ero in giro ho approfittato per fare un sopralluogo sui possibili posti dove pranzare, cercando di memorizzare dove fossero in carta e tirandomi da sola i peggiori accidenti per non essermi portata una matitina.

Non so se sia consentita la matitina nelle gare di orienteering, non so neanche se sia molto vantaggioso, dal punto di vista tattico-agonistico, fermarsi a prendere appunti sulla carta, ma sui pantaloni della tuta della nostra giovane, ma rispettabile società, è applicata una tasca, quindi non vedo perché non mi potrei portare una matitina, che  – se non altro – sarebbe molto utile in questi casi.

Nonostante il traguardo sia nei pressi della partenza e richieda, quindi, anche una prova di scalata per essere tagliato, arrivo alla fine della gara. Non ci arrivo benissimo: ci arrivo rubizza come un ubriaco a ferragosto, tanto madida e affannata che, in confronto, Ermengarda in punto di morte sarebbe parsa una bagnante in spiaggia. “Beh, è normale” – diranno subito i miei piccoli lettori – “tra la salita e lo sprint finale è ovvio che una si affanna”. Non ho fatto alcun sprint finale.
Io non faccio mai lo sprint finale, io cerco di passare il traguardo alla chetichella, di solito mi nascondo il pettorale fino all’ultimo (infatti a Roma ho anche dichiarato il numero sbagliato, ma non vorrei parlarne più), cerco di sembrare una che passa di là per caso, con la camminata composta e l’aria svagata, ma distinta, di Holly Golightly. Oltretutto, avendo camminato fino a un attimo prima, mi pare una presa per il culo, fare lo sprint finale, senza contare il fatto che, come minimo, se azzardo una mezza falcata e sollevo troppo i piedi da terra, inciampo nel filo del microfono dello Speaker, planando sulla Cento a pelle d’orso, forse addirittura rompendo una di quelle costosissime centraline. No, meglio non fare figure magre davanti a tutti, meglio non farsi notare e arrivare al traguardo senza correre.

A Brescia sono arrivata completamente spolmonata, tenuta in vita dall’incazzatura e dal mugugno, facendo gesti minacciosi in direzione di Zzi.
Poi, siccome era presto, Zzi non era entrato in finale e io col cazzo che facevo un altro giro, ho cominciato a chiedere ai lombardi indicazioni sull’outlet Franciacorta che, a giudicare dal nome e dai cartelli sparsi per tutta l’autostrada, non poteva essere lontano.

Continua, prima o poi.

One thought on “Brescia, 23 ottobre 2011, Trofeo centri storici [4]

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.