Come correre una maratona senza preparazione

Inizialmente volevo intitolare questo post

come correre una maratona senza uno straccio di preparazione,

ma non sarebbe stato corretto.

Un minimo di preparazione ce l’avevo, di certo più di quella che avrei potuto avere dieci anni fa, quando il massimo dello sport che facevo era andare di bar in bar a prendere l’aperitivo, ma siamo ancora molto lontani da una preparazione seria, o da una preparazione consapevole, o perfino da una preparazione superficiale.
Qualunque atleta non oserebbe chiamare “preparazione”, tantomeno “preparazione alla maratona”, il mio comportamento.

Nonostante questo, ho comunque percorso 42 chilometri e 195 metri con circa 200 metri di dislivello entro il tempo massimo, come la simpatica medaglietta attesta; il che, visto il soggetto, è un grande risultato.

Qualora ci fossero in ascolto altri relitti umani come me, che una mattina si svegliano e decidono di correre una maratona solo per poter andare in giro a dire di averlo fatto, ecco come io me la sono cavata.

 

Il mito dei 42 chilometri: tutta fuffa!

Diciamolo: 42 chilometri non sono poi così tanti.
Certo, il 42 è un numero mistico, e i patiti della corsa vi diranno che è la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto perché mentre si corre la maratona si raggiungono vette mai toccate di autocoscienza, meditazione e saggezza. Sarà…

Sono sicura che se quello che ha scritto lo Speaker sia vero per chi realmente corre la maratona, e perciò sia senz’altro vero per gente come “Andrea Trent-o” (il ragazzo che ha commentato il guest-post), che non lo dice, ma a New York è stato sotto le tre ore. Per lui e quelli come lui esiste l’adrenalina, esiste l’acido lattico, esiste una fatica indescrivibile, esiste il muro del trentesimo chilometro, esiste l’iniezione di energia del quarantesimo… esiste tutto, e facciamo bene a guardarli con ammirazione.

Per noi esistono, al massimo, la noia e lo sfinimento, cerebrale prima che fisico.
Percorrere 42 chilometri lentamente non è niente di impossibile e non c’è niente di cui vantarsi. Facciamocene una ragione subito.

In compenso, tutta la mitologia della maratona gioca a nostro favore, perché ci fa comunque sentire molto fighi e fa sì che gli ultimi ventuno chilometri passino molto – ma molto – prima dei primi ventuno, perché lo spirito dell’esploratore che si addentra in territori dai quali in pochi sono tornati ci fa andare come trenini.

 

Se puoi sognarlo puoi farlo

Palle.
Tutti abbiamo sognato di volare, ma sappiamo benissimo che saltare dal quattordicesimo piano non è una buona idea.

Sognare o volere fortemente una cosa non basta per ottenerla, e chi vi dice il contrario, secondo me, vi sta prendendo per il culo.
Di certo, però, se partiamo convinti di fallire, seghiamo la minima possibilità di riuscita e, allo stesso tempo, bisogna tenere molto al raggiungimento di un dato obiettivo per sottoporsi agli sforzi che richiede.

In questo senso, il fatto in sé di voler correre una maratona è una parte grossa di quel che serve per farcela.
È una maratona, cazzo, sapete già che sarà un massacro. Tutti ve la sconsigliano e tutti vi mettono in guardia. Il fatto che non vi abbiano fatto cambiare idea significa che siete sufficientemente determinati – o, come nel mio caso, incoscienti – per andare fino in fondo.

 

Quanto correre prima

Dicono che, prima della maratona, bisognerebbe aver corso almeno una volta per trenta chilometri di fila, meglio due, debitamente distanziate.

Da quando ho iniziato a pensare di fare l’Istrski Maraton, le mie massime distanze sono state 18 chilometri il 1° dicembre (una corsa troppo lontana nel tempo per considerarla propedeutica alla maratona a metà aprile) e 21 chilometri il 31 marzo. Quest’ultima era una mezza non competitiva ad Aquileia, il che significa dislivello zero, e con cani e passeggini che rallentano. Naturalmente, mi ha ammazzata, sono andata in crisi al chilometro 16 e ci sono rientrata al chilometro 18; l’ho finita camminando, cristonando fra me e me che non si può essere così idioti da iscriversi a una maratona in queste condizioni.

Se siete in grado di fare una mezza a malapena, siete anche in grado di fare una maratona entro il tempo massimo.

Tenete presente che il tempo massimo è tarato su di noi, probabilmente Eddie Murphy che si finge mutilato e si trascina con le mani su un carrellino nella sequenza iniziale di Una Poltrona per Due ci impiegherebbe meno del tempo massimo.
È sufficiente correrne la metà, ma vedrete che passato il cancello dei 21 chilometri penserete che, in fondo, si tratta solo di rifare la stessa cosa. Che ci vuole?

 

Cosa mangiare prima

Quello che non vi fa male.
I carboidrati (patate, pasta, pane, riso, cereali in genere) forniscono facilmente energia, tutti consigliano di assumerne già dalla sera prima. Tipicamente, chi corre seriamente, la sera prima della gara, si spazzola dosi da esercito di pastasciutta e riempie il buchetto rimasto con un bel gelato.
Se siete sicuri di digerire bene un simile menu, buon pro vi faccia.

Io morirei.
Sono ghiotta di pane, riso, patate e pizza, ma se li mangio prima della corsa sono piegata in due entro il terzo chilometro, preda di fitte micidiali in punti variabili delle mie viscere (in genere al fianco destro).
Un’altra cosa che mi piace molto sono formaggi e latticini, ma pare che rallentino la capacità di recupero dei muscoli, e molti ne sconsigliano l’assunzione in previsione di uno sforzo. Ho provato, e ho riscontrato che sento meno lo sforzo se li elimino per un po’.

Di conseguenza, a puro titolo esemplificativo, in previsione della maratona mi sono regolata così:

– a partire da due settimane prima:
niente latticini, neanche a colazione (il latte di riso è più buono, perché è più dolce, ma quello di soia è più proteico), e niente alcol.

– a partire da una settimana prima:
niente cibi lievitati (come pane o pizza); pieno di proteine (e carboidrati) grazie ai legumi; idratazione al limite dell’annegamento; vitamine e sali minerali a nastro da frutta e verdura.

– il giorno prima:
elimino legumi, frutta e verdura cruda, perché potrebbero essere indigeste; a cena, pesce al forno.

colazione del giorno stesso:
due uova al tegamino, qualche galletta di mais con la marmellata non zuccherata e con il miele (anche se è fermentato… ormai manca troppo poco), caffè e latte di soia.

Vi diranno che è sbagliato mangiare proteine la sera prima e la mattina stessa. Probabilmente lo è, però il mio scopo era non sentirmi male, e l’ho sostanzialmente raggiunto.
Trovo inutile che lo stomaco sia pieno di pasta, se non è in grado di trasformarla.

La morale è: dato non ci si iscrive a una maratona dall’oggi al domani, anzi, di solito passano mesi tra il versamento della quota e il via della corsa, fate esperimenti con il vostro corpo nelle settimane precedenti e mangiate ciò che scoprite di digerire meglio. La buona notizia è che, di solito, sono cose che vi piacciono: raramente il palato gradisce cose che fanno male al resto del corpo.

Cosa fare durante

Questa è una domanda da un milione di dollari.
Posto che quarantadue chilometri non sono tantissimissimi, sono comunque abbastanza per rompersi le balle. Io, poi, me le rompo dopo tre secondi che corro, nessuno come me capisce questo dramma.

Ci sono diverse scuole di pensiero sul come trascorrere al meglio il tempo trascorso correndo: per alcuni il godimento sta nel concentrarsi sulla corsa, ma di solito questi sono quelli che corrono alla grande e che amano farlo; altri preferiscono distrarsi e pensare ad altro, fare progetti, organizzarsi il lavoro, immaginare sviluppi di situazioni in cui si troveranno una volta tornati a casa; altri ancora – e veniamo a me – non hanno la forza neanche di fare progetti, al massimo riescono a fantasticare su cosa scrivere nel blog: per loro c’è l’i-pod.

Un lettore mp3 può fare la differenza fra la motivazione per concludere la maratona e l’impulso al suicidio.
Nelle gare più fighe è vietato, proprio perché il giusto intrattenimento dà carica al corridore, e perché parte della prestazione sta anche proprio nel vincere l’abbattimento e restare concentrati.
Io mi ero preparata una playlist ad hoc, piena di brani rock tamarri e pimpanti, alternati a roba altrettanto semplice, pimpante, ma meno tirata. Per esemplificare: Bon Jovi a palate,  U2 senza grosse remore, Springsteen con cautela e Tom Waits col contagocce, ché la crisi depressiva è dietro l’angolo.

Avrei tanto voluto portarmi un audiolibro, ma non me lo sono procurato per tempo. Peccato, perché sono convinta che sia uno spasso correre mentre ti raccontano una storia.

Senza cuffie, si possono trovare elementi di intrattenimento nel paesaggio, tipo contare i vermi spiaccicati sull’asfalto (dal primo scappate, dal secondo al decimo li schivate, dall’undicesimo al ventesimo a malapena li vedete, dal ventunesimo in poi potreste essere su un tapis-roulant di lombrichi e non ve ne accorgereste), le farfalle, i divieti di sosta, i bidoni dell’immondizia…
Il paesaggio ha un ruolo non da poco nell’umore del maratoneta, perciò veniamo a…

 

Quale maratona scegliere

Andate in un bel posto.
Soprattutto noi mezze seghe abbiamo bisogno di fare un bel giro per tenerci su di morale e trovare qualcosa di positivo in ciò che stiamo facendo.

New York è New York, Berlino è Berlino: le città sono affascinanti e l’aura di leggenda che le ammanta penso riempia di entusiasmo ogni passo.
Sono a casa del diavolo e costano un botto: ridimensioniamo le pretese.

Venezia è un’altra città stupenda, ma pare che il tracciato preveda un sacco di chilometri nell’hinterland, notoriamente uno dei luoghi più depressivi del pianeta. Come se non bastasse, io personalmente non intendo correre a Venezia senza una cartina in mano.
Roma potrebbe essere un altro ambiente ideale: vario, pieno di cose da vedere, con un sacco di gente che fa casino.

Non sottovalutate la massa: sentirsi uno degli eroi che compie l’impresa salutata dai bambini a bordo strada e dalle vecchie alla finestra è molto, ma molto, diverso dal sentirsi l’unico stronzo per il quale stanno fermando le due sole macchine su una statale deserta.

Donne: scegliete una maratona che non cada nei giorni difficili!
Anche se non soffrite di dolori mestruali, passati i 26 anni (ehm… dicono – io, naturalmente, ne ho 21) gli ormoni sono mine vaganti, non potete sapere cosa farà la stanchezza.
Se correrete male, sarete incazzate come Eumenidi e cercherete di suicidarvi affogandovi con le spugne; se correrete bene, non vedrete l’ora di raccontarlo, e inevitabilmente finirete a pensare a tutti quelli ai quali non lo potrete più dire, siano essi cari estinti, ex-fidanzati mai dimenticati o amici persi per strada; se correrete medio, troverete comunque qualcosa che non andrà bene.
Sceglietene una che si tiene a metà ciclo, quando l’istinto riproduttivo vi colma di sicurezza e tracotanza.
Piangere col fiatone è un casino, mettetevi in condizioni di non doverlo fare, perché vi stroncherà.

 

Io ho scelto l’ Istrski Maraton perché

– era vicina a casa e costava poco andarci: poca benzina e niente pernotto fuori;
– era una novità e mi piaceva l’idea che la prima maratona fosse una prima edizione (è il motivo per cui mi sono iscritta);
– rispetto ad altre maratone, costava poco l’iscrizione;
– faceva un bel giro (Capodistria-Izola-Pirano e ritorno), in parte lungomare, in parte fra le vigne, in parte nei centri storici, in parte sul tracciato di una ex-ferrovia, con diversi punti panoramici (pagati caro con il dislivello);
– di solito in riviera è bel tempo;
– cadeva perfettamente a metà ciclo.

Come bonus, abbiamo avuto:

cielo leggermente coperto: l’ideale per me che detesto il sole;
– cartelli chilometrici con il conto alla rovescia: all’inizio fanno ridere (“ancora 42 chilometri” è un po’ una presa per il culo, ma stai ancora troppo bene per prenderla male), poi incoraggiano – ottima mossa;
animazione sull’80%  del percorso: sulla parenzana c’era una band che suonava, ma il grosso lo hanno fatto gli indigeni, che applaudivano e incitavano da bordo strada e dalla finestra;
cartelli motivazionali “Istrian style” con frasi come “Coraggio, non devi mica correre sui tacchi” o “Crepar, crepar, ma no molàr” in dialetto, solo dopo tradotto in sloveno e italiano.
ospitalità istriana: tra un ristoro e l’altro, i locali si sono piazzati con i loro tavolini da campeggio a guardarci passare e a offrirci la loro acqua e la loro birra. Io non l’ho visto, ma ho sentito dire che c’era una famiglia che dava il tiramisù, forse bisognava passare prima…

Io, poi, mi sono divertita un casino a leggere i cartelli, sia stradali che motivazionali, in due lingue, ma magari questo non è attraente per tutti (“sui tacchi” si dice “v petkah”)

 

Cosa succede in quarantadue chilometri

Durante la maratona ho esperito che si alternano numerosi stati d’animo, credo anche a causa della giostra degli ormoni che l’affaticamento provoca.
Ero preparata: mi era già venuto da piangere ad Aquileia (due settimane prima: piena sindrome!), non ci sono cascata e mi sono più o meno controllata.

Verso il dodicesimo chilometro lo scoglionamento stava avendo la meglio, più tardi abbiamo incrociato i mezzi maratoneti partiti da Pirano e, un po’ per levarmi dai piedi, un po’ perché vedendomi in fin di vita mi incitavano tutti, sono scesa sotto i sei senza accorgermene, e cinque chilometri mi sono volati via così.
Intanto, immaginavo di scrivere cose epiche in questo post.

Al cancello dei 21 chilometri di Pirano devono avermi iniettato del gesso nelle gambe: già prima della salita ero scoppiata, ma oramai il più era fatto, cominciava la parte “nuova” e per fermarmi mi dovevano sparare, a costo di finirla strisciando sulle mani.
Per un po’ ci è mancato poco che non lo facessi davvero, e questo post, nel mio immaginario, era diventato la tragica cronaca di una disfatta.

Poi, l’etto  e mezzo di datteri che mi camallavo dalla partenza si è rivelato utile – così come quelle bustine di cui mi vergogno tutt’ora – e mi sono ripigliata. Nel tratto di saliscendi ho pure fatto la figa tornando un pezzetto indietro per ricongiungermi con i maschietti.
Nella mia testa ho scritto l’edificante epopea della culona che ha sbaragliato le difficoltà.

Verso il chilometro 33 mi diventa chiaro che la finirò intorno alle cinque ore.
Rischio di perdere la scommessa “se stiamo davvero entro le cinque ore e mezza, mi faccio bionda”, e comincio a elaborare vie di fuga, tipo raparmi a zero, perché sono molto soddisfatta di come sto andando e sono sicura di finirla in quattro e quattr’otto.
Entro a Isola fiera e serena come se fossi la prima.
La scommessa diventa “se stiamo entro le cinque ore e mezza, mi merito di farmi rossa”, perché è chiaro che ci metterò cinque ore, cinque ore e dieci se proprio vado in crisi alla fine, come è successo ad Aquileia, e non voglio rischiare di andare in giro con la testa di paglia.
Questo post è diventato un videomessaggio alla nazione in cui annuncio un tempo epico sotto i capelli di Nicole Kidman, come lei portata in trionfo da uno stuolo di uomini adoranti.

Verso il chilometro 35 prendo una pallottola nel fegato. Mi hanno sparato, non c’è altra spiegazione.
Stavo andando benissimo, non avevo un problema al mondo, stavo scegliendo la nuance di rosso per i miei capelli e procedevo giuliva al ritmo di “Litfiba, tornate insieme”, bellamente ignorando il dolore al piede sinistro (si era manifestato subito, in trenta chilometri c’è tutto il tempo di imparare a ignorarlo), e un attimo dopo mi sono trovata piegata in due sul fianco destro.
Stando piegata, il dolore passava; ho fatto qualche passo chiusa come una cozza, ma mi veniva male alla schiena e dovevo tirarmi su, sentendo di nuovo male al fianco. Praticamente ho camminato per tutti i sette chilometri finali. Ogni tanto ho cercato di ricominciare a correre, ma dopo pochi passi ricominciavano i dolori. Mi sono fumata così la chance di stare sulle cinque ore.

Più che portata in trionfo da uno stuolo di uomini adoranti, mi vedo portata a spalla come una bara oltre il finish da Zzi e dal Brioso Ballerino, tipo il bob di Quattro sotto zero. Poche volte sono stata più incazzata di così.
Decido di chiudere il blog per non dover rendere conto della disfatta.

 

Come si esce dalla maratona

A pezzi, ma non troppo.

Quando ho capito che non sarei riuscita a finirla di corsa o – meglio – ho deciso che non mi sarei sentita male per la picca infantile di finirla di corsa, ho optato per ridurre al minimo il tempo di percorrenza e ho camminato più veloce che ho potuto – testa bassa e sguardo truce – fino al cartello degli ultimi cinquecento metri. Là ho corso, ho avuto l’impressione di andare più piano di prima, ma ho corso, e almeno mi sono tolta dalla faccia l’espressione incazzata e l’aria di quella che sta andando a fare il culo alla speaker.

In 48 ore ho recuperato quasi completamente, solo il piede sinistro mi fa ancora male, ma non credo sia un’infiammazione muscolare, secondo me è il tendine. Alla fine della mezza di Aquileia stavo uguale, forse peggio.
Gran parte del merito va alla ragazza che mi ha massaggiata, un altro po’ di lavoro l’ha fatto la pomata alla consolida. Io, per non saper né leggere né scrivere, ho adottato la strategia dello squalo e sono rimasta il più possibile in movimento.

Moralmente è molto meno entusiasmante di come me l’immaginavo.
Danno tutti un sacco di importanza alla maratona e credevo che sarei stata contentissima di finirne una, invece la cosa mi lascia quasi indifferente. Forse ci sono rimasta male perché ci ho messo mezzora più del previsto, ma dubito, perché è comunque mezzora meno di quello che prevedevo prima di partire.
Forse, semplicemente, non mi rendevo conto della grandiosità dell’impresa prima di intraprenderla e, coerentemente, non me ne rendo conto neanche dopo. Più probabilmente, mi rendo conto solo del fatto che non ci sia grandiosità nel mio tempo di percorrenza e ho sospeso il giudizio sulla cosa.

 

La maratona non è l’India

Suggerirei di non farla con lo scopo di vivere l’esperienza che cambia la vita, perché non lo è. Alla fine della maratona ci si sente esattamente lo stesso stronzo che ci si sentiva prima di partire, solo più puzzolente e anchilosato.
Ugualmente, suggerirei di farla, se vi piace correre.
Se non volete dimostrare niente a nessuno e vi accontentate di farla a velocità-camposanto (la velocità alla quale si procede fra le tombe sorreggendo la nonna che va a pulire la lapide del nonno), è un modo decisamente alternativo di passare la domenica e di visitare un luogo, e il contorno di fiera, stand, live-band, sagra e birra che l’accompagna vi manderà a casa complessivamente divertiti e contenti.

Il trucco

Credetemi! Non è che vi dobbiate preparare, allenare o fare chissà che. Pagate, ritirate il pettorale e partite.
Un piede davanti all’altro.
È facile se avete uno Zzi che vi traina
, perché – diciamocelo: fosse stato per me mi sarei fermata dopo i primi 195 metri, ho continuato solo perché Zzi me lo ha fatto fare e, a ben guardare, la mia maratona l’ha corsa lui.
Trovate uno che seguireste anche all’inferno, mandatelo a fare un maratona e andategli dietro. Fine. Facile.
Se non ce l’avete, la vostra vita non sarà migliore solo perché avete corso un sacco, non vi illudete.

 

Ah, dimenticavo: non fatela neppure con l’illusione di dimagrire, non funziona sempre.
Peso alla partenza di Zzi: Kg 77. Peso all’arrivo di Zzi: kg 69,8.
Preoccupata per lui e piena di speranze per me, salgo sulla bilancia.
Penso alla partenza di Larry: kg 69,8. Peso all’arrivo di Larry: kg 70,6.

… All’inferno lo seguirei, ma ora come ora, soprattutto, ce lo manderei…

12 thoughts on “Come correre una maratona senza preparazione

  1. Giraffa

    Sono ammiratissima ma al tempo stesso attonita; non solo la Squinternata ha finito la maratona, mentre io mi preoccupavo moltissimo di doverli andarli a recuperare chissà dove in Istria, ma l’ho anche da subito sentita garrula e piena di energie, facilmente misurabile anche solo con la lunghezza di questo post.
    Brava Larry, bravo Zzi, siamo orgogliosi di voi, ma ci guarderemo tantissimo dall’imitarvi!

  2. Pillow

    come riesci tu a far vedere le cose, guarda…

    e a guarirle, financo! ricordi ieri? be’, dopo diciotto litri di acqua – che mi hanno fatto lavorare col secchio sotto la sedia come i cavalli delle botticelle al centro storico – e un bel po’ di camminata non da Chobin, ieri sera andavo meglio.
    uscendo da studio, ho pensato “e allora, blanda corsetta sia”. poi ho guardato l’orologio ed erano le 20. qualcuno, nella mia testa, ha fatto riecheggiare uno sticazzi come non sentivo da un po’. ho procrastinato, ma si sappia, per cause di forza maggiore!

  3. fabio

    Grande, grandissima, praticamente unica Larry! Da questo post ho imparato tante cose:
    – io la maratona non la correrò mai. La persona che seguirei in capo al mondo è mia moglie, e lei non correrà mai la maratona, quindi sono a posto!
    – so come si dice tacchi in croato… o era sloveno? so come si dice tacchi in una lingua diversa da italiano e inglese!
    – ho imparato che Larry può scrivere un intero post senza menzionare il nome di Bruce nemmeno una volta (al massimo il cognome…)

    A parte tutto, complimenti davvero! neanche le pallottole al fegato (o alla milza?) possono fermarti!
    Sono stato un po’ in pensiero ma sono strafelice per te!

  4. Paolo

    veramente spettacolare….non potevi meglio definire la tua esperienza! magari la pensano in molti come me (ma penso anche te)correre forti lo fanno i fenomeni tutto il resto è gente normale che ritagliando lo spazio tra i vari impegni provano divertirsi correndo per scoprire che poi la cosa che rimane almeno a me è incontrare un sacco di gente che ha voglia di stare insieme ,di dire qualche cazzata correndo facendo scivolare via il tempo!

  5. Mauro

    …………….sono convinto che la tua bilancia ha qualcosa che non va! Comunque hai tuttla la mia ammirazione!!!

  6. Larry Post author

    Sommo!
    Non costringermi a farmi una foto sulla bilancia per provarlo, credimi sulla parola (in questo istante 71,4, mi sono riavvicinata ai latticini e non riesco a pentirmi)… e scordati che corra in WA, tanto per mettere le cose in chiaro :)

    Fabio, sei troppo buono come al solito. Io non voglio fare l’uccello del malaugurio, ma se c’era una cosa di cui ero sicura era che non avrei mai corso una maratona…

    Paolo, grazie di essere passato a leggere. In effetti come runner lascio molto a desiderare, ma quanto a dire cazzate ho pochi rivali!

    Pillow, perdonami!

  7. Giulio GMDB

    Complimenti davvero! Io odio correre e non credo che potrei mai fare una maratona… Magari ti cammino 12 ore sui monti ma correre non fa parte del mio DNA. Quindi grande ammirazione per avercela fatta soprattutto senza una normale preparazione

  8. Larry Post author

    Grazie, ma ribadisco: per farla come l’ho fatta io, non ci vuole gran che e, quanto alla noia, l’idea di andare da un posto all’altro, anziché “da qui a lì” come in una corsa breve, la rende sorprendentemente sopportabile.
    Certo, guardare un film ammazzandosi di gelato resta un’attività migliore, non fraintendiamoci!

  9. markogts

    Complimenti.

    >Trovate uno che seguireste anche all’inferno, mandatelo a fare un maratona e andategli dietro. Fine. Facile.

    Quindi sto sereno. Madame K la seguo solo se mi va, e lei comunque maratone non pensa di farne.

    Complimenti ancora. La mia ammirazione mista a invidia ve la rinnovo con un “ma voi se s’ciopai”.

  10. markogts

    >i patiti della corsa vi diranno che è la risposta alla domanda fondamentale sulla vita

    A dire il vero sono i patiti di Douglas Adams. E 42 è adimensionale. Così, solo per non farti pensare che non me ne ero accorto :-P

  11. Pingback: Pasqua a Trieste: pinza, titola e presnitz | LARRYCETTE

  12. Alepuffetta

    Complimenti per lo spirito con il quale hai preso la maratona…. A me balena ad anni alterni di fare quella di ny…ma come dici tu i costi ed il viaggio mi trattengono un bel pò, insieme ovviamente al fatto che io NON sono una maratoneta!
    Mi piace correre, quando posso faccio spesso una bella corsetta, ma un conto è correre 6/7 km un conto è farne 42!!! Ti sarei grata perciò se fossi cosi gentile da ragguagliarmi un pò su quella che è stata la tua preparazione ed i tuoi tempi…. Grazie in anticipo!

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