Cronache Romane [2]

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In verità Franco era salito a Padova, ma prima stavo cercando di capire perché il wifi del boaro in Hugo Boss funzionasse e il resto del treno imprecasse cambiando continuamente porta alla chiavetta.
Era anche questi un tipo buffo.
Curato che doveva avere iniziato a prepararsi la sera prima per arrivare alle 8 e mezza così patinato, aveva esposta davanti a sé mercanzia tecnologica d’ogni sorta e dirigeva importanti trattative economiche con le parole assertive del leader autorevole, ma con un inconsueto garbo. “Pronto, ciao, ascolta, volevo portare alla tua attenzione la questione della roba per il Brasile…Sì perché loro vogliono la consegna per ieri come al solito, il punto è che li possiamo accontentare se risolviamo la situazione con la Marzia”. Tradotto: “Buongiorno, mi spiacerebbe se stessi disturbando, ma non posso dirtelo altrimenti tu percepiresti la mia chiamata come una fonte disturbo, invece così mi percepisci come un cafone, ma sei contento di sentirmi; volevo dirti che dovresti sentire la Marzia e chiederle se riusciamo a fornire Giorgi entro i tempi consuetamente assurdi che ha scritto sull’ordine, ma c’è il problema che se non ti fai perdonare l’ultima carognata quella non muove un dito per venirci incontro e la capisco”. Buffamente, all’improvviso, nelle sue telefonate crolla il palco e sistematicamente si chiudono in modo imprevedibile “E no, hai ragione. No, no, non è colpa tua, è colpa mia, hai ragione”.
Sbigottita, non mi perdo una sillaba delle conversazioni del manager passivo, a parte quando un dialetto veneto non meglio identificato, ma troppo stretto, me le rende invise e mi lascio cullare dalla dolce cantilena dei nursers.

Perché dovete sapere, o miei piccoli lettori pezzenti, che in prima classe si viaggia meglio che in aereo, continuamente vezzeggiati e coccolati, ma con il finestrino più grande.
Scarti del cast di un programma della DeFilippi spingono un carrello riccamente assortito ed elargiscono ad ogni passeggero una bibita e uno snack monoporzione: intravedo Tuc Saiwa e Krumiri Bistefani, in un florilegio di imballi che salvaguardano l’igiene hic et nunc del passeggero e condannano la Terra a intossicazione cronica.
Io come al solito non ho sete e la mia vescica traboccante non mi invoglia a prendere un bicchiere di quei dolci coloranti liquidi di cui altrimenti sono ghiotta, e rifiuto garbatamente.
Sgomento nel fratello basso di Costantino.
“Niente di niente?” – “Niente, grazie”.
“Neanche un caffè, un tè caldo?” – “A posto, grazie!”

“Le lascio comunque una salviettina” – “Va be’”

Rifiutato il quotidiano [ho già letto quello del boaro in Hugo Boss, che sedeva nel mio stesso senso di marcia una fila di fronte a me, ma spostato di un posto, perciò mi offriva visibilità totale sulla facciata di destra], sfioriamo la comica quando una mini Carfagna coi riccioli [forse li prendono bassi perché si adattano meglio agli spazi angusti dei treni e sono salvaguardati dalla natura dal doversi prestare a spostare le valigie dei passeggeri] mi sorprende con un vassoio sotto il naso e trilla “Signora, gradisce un biscottino?”. Al mIo diniego le si crepa il sorriso e son tentata di prenderlo per non farcela rimanere male, ma le sue caviglie affusolate la portano subito da un altro cliente. Non ha battuto ciglio. Devono averle fatto notare la somiglianza con la bella Ministra e lei, civettuola, la asseconderà con ogni mezzo.

Il walzer del carrello s’è fatta una sottile guerra di nervi tra me e il Piccolo Costantino.
Ad ogni fermata il carrello passa a rifocillare i passeggeri [che, in teoria, essendo appena passati davanti ad almeno tre bar e dodici distributori automatici, si presumono soddisfatti, ma – sorprendentemente – sono tutti affamati e assetati e attendono scalpitanti e felici la ricca merenda in omaggio]. Ad ogni passaggio gli getto uno sguardo distratto. Piccolo Costantino incrocia i miei occhi e accenna un sorriso sempre meno aperto, ma io mi riscuoto come da un pensiero assorto e rifiuto con la consueta garbata fermezza.

A Ferrara è salita una signora che ha fatto il gesto di pagare e i benevoli boys le hanno spiegato che la prima consumazione è gratuita. Lei si è scusata spiegando che viaggia una volta all’anno e deve essersi sentita un po’ provincialotta. A me è parsa l’unica che – nel dubbio – non ha provato a fottere.

Vedo riflesso nel finestrino Piccolo Costantino che, mentre illustra il meccanismo del rancio alla Regina del Ragù, mi guarda, in attesa di un mio ripensamento, come a dire “So che non hai ancora preso niente, quindi se cambi idea è ancora gratis”. Assorta al limite del trance, insisto a guardare altrove e, dopo aver esaurito le scuse per attardarsi in zona, gli avvenenti Umpa Loompa proseguono la distribuzione dei generi di conforto.

Intanto sperimento i benefici dell’alta velocità.
Il ritardo di 15 minuti è diventato di 25, in compenso mi scoppiano le orecchie in continuazione, è come far su e giù dal Beigua con la frequenza di un’altalena.
Dopo Firenze mi sento avvampare in viso e ho le orecchie in fiamme. Dopo qualche chilometro, forse già in Lazio, sento gonfiarsi la vena in mezzo alla fronte. Alle 12,30, ancora in aperta campagna anziché a tre minuti da Termini, mi sono trasformata in un Klingoln.

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