Decima cena regionale: Le Marche. Secondo piatto: vitello in umido alla marchigiana

Delle fasi della preparazione di questo secondo piatto tipico delle Marche ho talmente tante foto che sono stata fugacemente tentata di fare un post senza parole; poi mi sono ricordata che alla fine devo registrare il podcast riassuntivo delle ricette e mi sono immaginata con il microfono in mano, davanti allo schermo nell’atto di fissare la bozza del post senza trovare una sillaba da spiccicare, così ho deciso di semplificarmi la vita con queste righe.

Come dice il nome, il vitello in umido alla marchigiana è una ricetta a base di vitello… cotto in umido, nella fattispecie.
Essendo “in umido” si fa in pentola sul fornello e non nel forno, il che permette, oltre che un notevole risparmio di energia elettrica, di avere il forno libero per le cose importanti, tipo il dolce.

La caratteristica distintiva di questa pietanza consiste nel fatto che il girello viene lardellato con una appetitosa mistura di prosciutto e scorza di limone e poi cotto sfumato nel vino.

Sempre rifacendomi al meraviglioso manuale del Corriere della Sera, che tante soddisfazioni ci ha dato, riporto la lista degli

 

Ingredienti

1kg di magatello di vitello in un pezzo unico – CELO
400 g di pomodori – CELO
50 g di prosciutto di Carpegna in una sola fetta – MANCA

50 g di prosciutto crudo del Carso in una sola fetta – CELO
2 spicchi d’aglio – CELO
1 limone non trattato – CELO
150 g di lardo – MANCA
… porca troia…

tutto il grasso che riesco a ricavare dal prosciutto che ho in frigo – CELO
1 cipolla – CELO
1 carota – CELO
1 costola di sedano – COSTOLA? Si dice costola?
Quelle del sedano non si chiamano “coste”? Cazzo scrive il Corsera? Comunque CELO

1 rametto di maggiorata – MANCA, ma ne faccio a meno di proposito
1 bicchiere di vino rosso – CELO
1 l di brodo di carne – MANCA

1 l di brodo di carne vegano che faccio io con il preparato per brodo e a salsa di soia – CELO
50 g di burro – e figuriamoci se non CELO
sale
pepe

 

Procedimento per fare il vitello in umido alla marchigiana

Googlare “magatello” e scoprire che altro non è che la parte del vitello che il mondo chiama girello.
Verificare se nella vostra zona questo taglio di carne non abbia un altro nome. Evitare di farsi prendere per il culo dal macellaio usando un vocabolo alloctono, e chiedere un chilo di x, ove x sta per “nome che dalle vostre parti si dà al girello”. A Genova e Trieste usate pure “girello”.

Dopo essersi accorti solo quando non c’è più tempo per andare a prenderlo di essersi dimenticati di comprare il lardo, dragare a fondo il frigorifero per reperire tutto il grasso animale che contiene.
Con un po’ di fortuna si troveranno del prosciutto crudo e del prosciutto cotto (perché, in realtà, in salumeria eravamo stati eccome, proprio per prendere il lardo, ma una volta lì ce ne siamo dimenticati e abbiamo comprato solo il prosciutto per lardellare il vitello e per fare colazione nei giorni seguenti): asportare dal prosciutto tutto il grasso e metterlo in una casseruola capace, integrandolo con un paio di cucchiaini di strutto, che sicuramente sta in un vasetto di vetro nella porta del frigo, travestito da yogurt per non scandalizzare gli ospiti.

Tagliare a striscioline il prosciutto crudo in fetta unica – prosciutto che la ricetta vorrebbe di Carpegna, ma che andrà benissimo anche fatto dalle vostre parti – e mescolate le suddette striscioline alla buccia grattugiata del limone, a uno spicchio d’aglio schiacciato e a sale e pepe.

 

Prendere il girello e pugnalarlo con un coltello appuntito, molto tagliente, con la lama liscia e possibilmente bassa, in modo da non allargare in buco andando in profondità (non con la scimitarra che ho usato io, per intenderci).
Riempire i buchi di prosciutto aglio-limonato man mano che li si praticano. Questo procedimento si chiama “lardellare”, ma se lo imparate ora, leggendo qui, vi meritate i programmi culinari in TV.

Io ho fatto la drittona e ho dapprima pugnalato tutto un lato della carne e solo successivamente mi sono accinta a lardellare. Cazzata. È una cazzata, non fatelo: poi non trovate più i buchi e dovete farne altri, rovinando la carne, oppure vi tocca stare ore a palpeggiarla per trovare le fessure.
È molto meglio riempire i buchini man mano: buco-farcia, buco-farcia, buco-farcia… è un po’ una menata, ma si evita di far ulteriore scempio della povera bestia.

Lardellato il girello, lo si lega con lo spago.
Le immagini non lo mostrano, ma ci siamo voluti in due per legarlo: non appena la carne vede lo spago da cucina, si rianima e si divincola come un’anguilla. Ci sono voluti metri e metri di spago, e il costo elevato della pietanza non dipende dal prezzo della carne, bensì dal consumo spropositato di spago che comporta.
Naturalmente, durante le manovre di immobilizzazione e legatura della carne, tutto il prosciutto aglio-limonato che ero riuscita a far entrare nei buchetti è schizzato fuori come il pus dai brufoli e ho dovuto rimettercelo dentro.

 

Nel frattempo, si accende il fuoco sotto la casseruola capace contenente il grasso del prosciutto e lo strutto e vi si fanno soffriggere i sapori che i vostri schiavi avranno tritato mentre eravate impegnati nella girellomachia.

Qualora non disponiate di schiavi, non accedente il fuoco finché non avrete tritato i sapori, in modo che il grasso non si bruci prima che voi siate pronti.
Quando saranno un po’ appassiti, adagiatevi la carne e – se proprio ci tenete – il rametto di maggiorana, che personalmente sconsiglio.

 

A questo punto, si fa rosolare ben benino la carne da tutti i lati, in modo che si sigilli e non perda i succhi, altrimenti viene fuori bollita.
Ditemi che lo sapevate già, vi prego.

Siccome girare un chilo di carne (la mia, come si evince facilmente dalle immagini, era quasi un chilo e otto, perché al macellaio avevo chiesto uno e mezzo) è una menata pazzesca e si rischia sempre di farsi cadere la pentola rovente sui piedi, vi convincerete presto del fatto che la carne sia ben rosolata.

È il momento di sfumare con il vino.

 

[Ptschhh  ← suono del vino versato nella pentola calda]

La ricetta dice ora di aggiungere i pomodori precedentemente sbollentati, sbucciati, privati dei semi e ridotti a dadini.
Io non ve l’ho detto prima per due ragioni: la prima è che non vedo la necessità di rompersi i coglioni a sbollentare e sbucciare i pomodori, e ce li ho messi crudi, con la buccia e i semi (ma tagliati a dadini sì); la seconda è che volevo condividere con voi l’irritazione per le ricette che ti dicono solo alla fine che dovevi fare delle cose il giorno prima.
Se ci mettete i pomodori crudi (e a questo punto non siete in condizioni di fare altro), avete tutto il tempo di affettarli adesso.

Aggiungete anche il litro di brodo di carne vera o di brodo “di carne” vegano, che altro non è che brodo vegetale (che io ho fatto in due minuti con la mia solita miscela di verdure essiccate) addizionato di salsa di soia, che dà a tutto un buon sapore di arrosto.

Uh, a proposito: sapete che non potrei mangiare la salsa di soia?
Vi ho raccontato dell’infinito elenco di alimenti che ho scoperto essere per me tabù?
No che non l’ho fatto, è esilarante (per voi, per me molto meno), ma dobbiamo rimandare…

Ora si mette il coperchio sul vitello e lo si lascia cuocere un paio d’ore, tornando almeno ogni tanto a rigirarlo e a controllare che il brodo non si sia completamente prosciugato.

 

 

Una volta cotto, si toglie la carne dalla pentola e la si taglia a fette.

La ricetta dice di aggiungere il burro al fondo di cottura per farne una salsa con cui guarnire il vitello in umido, ma a me pareva che il sughetto già sufficientemente sostanzioso e ho avuto la decenza di non farlo.

In cottura la carne si restringe un po’, specie se prendete la carne nella grande distribuzione (dicono che dipenda dagli ormoni che, negli allevamenti intensivi, danno alle bestie per farle crescere prima), ma non tanto come sembra nella foto qua sotto.
È che mi ero dimenticata di fare la foto e ho cominciato a mettere le fette nei piatti, poi mi son ricordata e l’ho girata dal lato non affettato; come vedete, la foto è armoniosamente composta per l’occasione.

 

Che poi potevo benissimo far vedere il lato tagliato, se tanto mostro le fette nel piatto, no?

5 thoughts on “Decima cena regionale: Le Marche. Secondo piatto: vitello in umido alla marchigiana

  1. Larry Post author

    Mamma mia, che paura, per un attimo ho temuto che avessi commentato l’orienteering… Non me lo sarei mai perdonato!

  2. Giulio GMDB

    Non è più semplice una bella tagliata di chianina alla brace? Qui c’è un sacco da lavorare e tanti ingredienti da procurarsi… Sono pigro! :-)

  3. Pingback: Zuppa di lenticchie, tipica ricetta di Abruzzo e Molise | LARRYCETTE

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