Ora ho capito perchè la Crema Catalana è flambè: non le danno fuoco, le si scotta la superficie appena entra a contatto con l’aria degli ambienti.
I catalani parlano una lingua meravigliosa, dolce e musicale, non come gli spagnoli che hanno un idioma isterico e sputazzano a ogni sillaba. Voglio imparare il catalano, leggo tutto ad alta voce, come i cinquenni, e mi avventuro in traduzioni; tempo un minuto la mucca pazza ha fatto il suo corso e non mi ricordo più niente.
Grazie all’intercessione del Professore, che arriverà l’indomani, abbiamo a disposizione un appartamento in una zona deliziosa e ben servita dalla metropolitana. Un non meglio identificato anzianissimo amico del padrone di casa ci mostra gli ambienti, il funzionamento della caldaia e ci da le chiavi. Per metterci a nostro agio ci parla con brevi frasi in latino, io non so come dirgli che avrei maggiore dimestichezza con lo swaili, annuisco con aria vacua (tanto avrà capito Zzi) e mi domando preoccupata se mi parla in latino perchè dimostro l’età di Seneca o perchè sembro un prete.
In compenso, la casa è talmente bella che a momenti la compro.
Barcellona, invece, un po’ mi delude, me la aspettavo più….più…no: me l’aspettavo meno Genova.
Okay, lo so: mi sto triestinizzando, tutto quel che vedo nel mondo “lo g’avemo anche nòi”, ma, a parte le dimensioni mastodontiche, che ha barcellona di diverso dal capoluogo ligure? Ha il passeggio, le bancarelle, gli scippatori, gli zingari, i turisti, i caruggi, le baldracche (brutte) in strada alle tre del pomeriggio, la statua di Colmbo, l’Expò e i magazzini del Cotone, odora di fritto e di cibo a qualsiasi ora del giorno e della notte e la squadra di calcio cittadina è rossoblù. Sfido chiunque a non confonderle.
Comunque, tutto sommato, mi piace.
Sicuramente nella valutazione influisce il fatto che con 8 euro a testa ti danno da mangiare cose buonissime fino a scoppiare, ti alzi da tavola alle due e ti siedi al bar, poi rotoli fino alla gelateria per fare scorta delle energie necessarie ad arrivare all’aperitivo. Siccome qui si cena tardi, sono indispensabili due somministrazioni di sangria.
Ci raccontiamo la rava e la fava, facciamo uno spuntino, ceniamo e lo conduciamo nella umile dimora, dove molto poco cavallerescamente gli rifiliamo il letto a castello, con la scusa che tanto lui è troppo lungo per qualsiasi letto, quindi….
Il giorno dopo abbiamo posti seduti sugli spalti, in fondo in fondo, praticamente fuori, e ci permettiamo il lusso di fare i turisti, ricavandone anche qualche foto onesta.
Ci facciamo prendere anche noi dalla nostalgia e dal panico che questo sia l’ultimo tour con la E-street e decidiamo che it’s now or never.
Trasgrediamo tutte le regole, buttiamo sul piatto tutti i nostri averi, o la va o la spacca, dài facciamolo.
Portiamo dentro la videocamera e tentiamo una ripresa.
Siamo disorganizzati come non mai, le batterie non saranno mai sufficienti, abbiamo cassette per 180 minuti esatti, ma non importa: è giusto per avere un ricordino, mica filmiamo tutto.
Mica.
Tre ore con il braccio a 90 gradi e la faccia incollata all’obiettivo (perchè se apro lo schermo consumo la batteria e del treppiede non ho mai neanche sentito parlare), un occhio in camera e un occhio al palco, più immobile che posso, inquadrando fra le teste e le ascelle di quelli davanti.
Anche questa volta, a un passo dall’Impresa, ho miseramente fallito. L’epopea non è roba per me.
Mi sa che ho incautamente straviziato, il mio intestino grida vendetta e il giorno dopo è il giorno della coda.
Tutte le soluzioni anticagotto vengono adottate, dalla limonata, al casco di banane, al tappo di sughero.
Alle undici del 20 Luglio siamo in fila davanti allo stadio, io sfoggio un grazioso colorito penicillina e il numero 1137 sulla mano. Davanti allo stadio ci sono tutti: Luca Bastiano e Gianfranco; il Genovese di Arnehm che non mi ricordo come si chiama, ma è un nome da genovese, tipo Fabrizio/Fabio, roba così; Giancavassa & Lacristina; mezzo veneto; l’asciuttissimo Supernova…poi c’è uno che riesce a scontrarmi in uno spiazzo enorme e ha ancora la faccia di dirmi “Stia attenta”. Mi giro come un cobra e gli faccio:
……
“Fruuut! Alòre, cemut?” : è arrivato Theriver69!!!
L’organizzazione catalana è tale che alle due abbiamo il nostro bel braccialettino azzurro e alle due e un quarto siamo al bar.
Del pomeriggio non so narrare nulla perchè l’ho passato dormendo su una panchina. Della spasmodica attesa nel pit nemmeno, perchè ho tirato una pisa anche lì, passando alla storia come la goffa addormentata nel pit.
Poverini, hanno preso dalla mamma.
Io spero di sbagliare, spero che il saluto lungo e commosso di Clarence non significasse che questo era l’ultimo concerto della E-Street in Europa.
Nel caso, ho cominciato con la mamma e ho finito con i figli, tutto sommato ho chiuso il cerchio.
Il terzo giorno il Professore e Slonc tornano a casa e io posso ricominciare a tenere la testa dritta, visto che sono entrambi più alti di Zzi e ho trascorso tre giorni con il mento parallelo alle tette (“tette” per modo di dire, passatemi la licenza letteraria). Anche quando ero in bagno continuavo a guardar verso l’alto per abitudine.
I nostri compari vengono degnamente sostituiti da TheRiver69, il quale, però, non si può dire che faccia per due.
In realtà fa a malapena per uno, perchè il più delle volte sparisce (tende a seminare la gente con la quale cammina, anche – o soprattutto – se gli si sta parlando) e quando c’è parla pochissimo; ma è Furlano e vale doppio!
Si va a Parc Guel, affrontando una salita spietata e cedendo, a metà, alle lusinghe dell’autobus. Qui ogni quindicenne con i capelli a mezzo collo ci pare il figlio di Bruce, deludendoci dopo un attimo con la sua parlata catalana. Facciamo le foto di rito ad un panorama orrendo e torniamo verso il centro, fermandoci a mangiare in una bettolina in cui, nuovamente, ci rimpinzano come porchini (animali mitologici per metà porci e per metà i tacchini) per i soliti 8 euro.
In città rifacciamo il solito giro: via Venti, piazza Matteotti – via San Lorenzo – via Canneto il Lungo – Sottoripa – Magazzini del Cotone.
All’Expò festeggiamo il 20mo litro di sangria con una fresca caraffa di sangria e cisquini [“stuzzichini” per chi non conosce tutti i vocaboli che invento o che mutuo da altri coniatori] vari e poi ci dirigiamo all’aeroporto, dove ho il coraggio di domandare il gelato. Theriver69 prima fa una faccia disgustata per tutto quel che posso mangiare, poi prende il gelato con me, e lo finisce pure per primo.
Pare che il volo di ritorno sia stato un po’ turbolento, per via di alcune forti correnti.
Io, guardacaso, dormivo.
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