[Giovedì, 22 Maggio 2008] Larry allo sbando

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Giovedì, 22 Maggio 2008
E’ spiacevole, ma capita: talvolta Larry e Zzi fanno vite disgiunte.

Quando non vivo da metà di Zzi, faccio parte del gruppo di intervistatori della SWG.

Detta così, ci si immagina una squadra preparata e determinata, che fa il suo ingresso da una porta in controluce, con incedere sicuro e il volto concentrato.

Detta così, sembriamo gli astronauti di Armageddon.

In realtà, sarebbero vacche grasse se somigliassimo vagamente agli Spaventatori di Monster&Co.

Siamo un manipolo di smandrappati, per lo più casalinghe, disoccupati, universitari e fancazzisti, ai quali è stato fatto un corso di formazione che consisteva nella distribuzione delle istruzioni sull’uso dei pc  e una dimostrazione pratica, seguita da prova in cuffia.

Ovverosia: “Ciò, mula: qua se impiza, qua se studa, qua xe le domande: ciolte la cùfia e ràngite”

Per contratto non posso divulgare il contenuto dell’intervista, nè tantomeno le risposte che vengono date alle domande, tuttavia credo si possa dire che cosa rispondono gli Italiani alla domanda di esordio di tutti i sondaggi, ossia come reagiscono quando gli si chiede di partecipare all’intervista.
Ecco una breve antologia
– “C’ho persone, per l’appunto”  – Per l’appunto, che? T’ho chiesto se hai invitati in casa? T’ho detto che si parla di convivialità? No, t’ho chiesto se vuoi partecipare ad un sondaggio, da dove viene “per l’appunto”?
– “No, questa è un’attività, pure” – E allora? Gli esercenti non hanno opinioni? E poi “pure” perchè? Oltre a cosa?
– “No, sono orfana, non ho voglia di parlare” – Sacrosanto, comprendo, è una tragedia, ma  hai 70 anni, è abbastanza normale che tu sia orfana
– “No, mi dispiace non sono all’occorrente” – ….
– “Da dove ha detto che chiama” – “Trieste” – “Eh no, qua siamo in Sicilia, siamo Africani, ha sbagliato numero” click – Ora, io sarò razzista, ma pure loro non scherzano
– “Ma va’ da’ via ‘l cul” – Proprio così, in milanese, secco. Non ci potevo credere, non ho mai pensato a questa frase come a una cosa che si dice veramente, l’ho sempre vissuta come una battuta da film. Magari ho telefonato a Boldi!

Anche gli intervistatori hanno la loro parte.

A parte impapinarsi, scadere nella propria inflessione dialettale in maniera direttamente proporzionale al numero di interviste lette e uscirsene con frasi come “Ho bisogno di un uomo”, riferendosi chiaramente al campione da intervistare, ma dando adito ai più atroci doppi sensi, la cosa peggiore che può fare un intervistatore è distrarsi.

Se non stai addosso all’intervistato è la fine, capace che ti racconta la sua vita, e di solito ha ottantasette anni, vissuti intensamente. Il clou credo di averlo raggiunto io quando ho telefonato a un signore napoletano che è partito col pistolotto sui Borbone e Garibaldi e i danni che l’Unità d’Italia ha arrecato al sud. Io gli avevo chiesto un si o un no.

Altri cavalli di battaglia dell’intervistato medio sono Berlusconi, i rom e i politici, dei quali è impossibile fidarsi. Rimane stabile la guerra del ’45, in leggera discesa quella in Iraq, in vetta alla classifica, come sempre, l’Euro.

Un’altra esperienza che vivo nella mia dimensione brada sono i corsi di lingue.

A Croato non vado mai, a Tedesco sono assurta a clown della classe; nel senso che mi lamento delle mie disgrazie, accuso dolori al ginocchio, soffro di malinconia e mal di testa, penso a chi chiamare per chiedere soldi, tengo il cognac in frigo e sento gli odori al telefono (Questa l’abbiamo capita io, Kiky e Giuggi, ma quanto ci è piaciuta!).

A fine corso, come da che mondo è mondo usa fare, si va a mangiare la pizza.

Prenoto io.

Dove prenoto?

Dove vuoi

Ditemi voi

Qua vicino

Tipo?

O Lo scugnizzo o l’ex Giardini di Naxos o la Fabris

Odlicno

La settimana trascorre lieta, traduco, aspetto i biglietti, vengono la Emily e Quelloquelloquellolà, aspetto i biglietti, traduco, aspetto i biglietti, mi viene una crisi di nervi, aspetto i biglietti…solite cose.

Alle quindici del giorno della cena mi sovviene di prenotare, cerco sull’elenco i numeri delle pizzerie in nomination, ma non ne trovo alcuna. Decido allora di andare a prenotare di persona, optando per la più vicina.

Arrivate puntuali nel locale, veniamo subito guardate con triestino sospetto (e l’età media è altina, non eravamo una tavolata di liceali casinare) e gettiamo il personale nel panico  quando la nostra presenza rivela loro che no, non erano quelli di prima quelli che avevano prenotato a nome mio.

Tengo a sottolineare che ero stata nel locale cinque ore prima, avevo dato il mio rarissimo cognome e – guarda un po’- nel gruppo che ci ha fregato il tavolo non c’era la mia sosia. Eppure sono riusciti a dar via il tavolo lo stesso.

Per fortuna il locale è deserto e ci sistemano subito. I camerieri sono quelli di Lilli e il Vagabondo, ma più rustici. Io decido di prenderla sul ridere e accettare il loro trattamento sgarbato come un complimento, si vede che sembriamo quattordicenni.

Ci sono pochi tavoli oltre al nostro, per lo più già serviti. Noi ordiniamo dieci pizze. Mentre le aspettiamo, essendo tutte femminucce, non posso dire che ci sia cresciuta la barba, ma abbiamo avuto tutto il tempo di farci la ceretta a vicenda, ricostruirci le unghie e ritoccare la ricrescita. Finalmente esce la prima infornata: quattro pizze.

I tre metri e mezzo tra il banco della pizza e il tavolo vengono percorsi almeno 5 volte dal cameriere, che torna sempre indietro perchè il pizzaiolo ha scordato di dirgli o di aggiungere qualcosa. Le pizze atterrano già fredde, io chiedo un’altra birra “con tutta calma” e mi preparo a incassare il vaffanculo, ma il cameriere non coglie l’ironia e mi serve con solerzia, deludendomi non poco. Trascorrono un altro paio di ere geologiche prima che tutte ci ritroviamo la pizza davanti, così quando arriva l’ultima pizza e ci accingiamo a mangiare, le prime pizze hanno leggermente perso fragranza, ma vanno benissimo per fare i bendaggi anticellulite. In tre sfidiamo la sorte e ordiniamo anche il dolce, più per ridere che per appetito (io più per appetito).

Andiamo via praticamente subito dopo il conto, perchè all’improvviso il personale va di fretta, spegne le luci e comincia a tirar su le sedie.

E certo, mica siamo qua a farci mangiare il belino dalle mosche!

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