Guida all’Osmizza (Osmica)

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Mancano appena

giorni a Gropada 2012

 

In un mio recente post ho consigliato a chi volesse mangiare come un triestino di andare in osmica (italianizzato in “osmizza”), ma mi sono poi accorta che non è un concetto così familiare a chi non risiede nella zona di Trieste.
Ecco, allora, una guida per gli atleti non-triestini a cosa sono le osmice, come si fa a trovarne una e a come ci si comporta in questi insoliti locali.

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Guida all’osmica (osmizza).

[foto presa da informatrieste.eu]

Cosa sono le osmizze?

Diciamolo subito: l’osmizza non è un vero e proprio locale. L’osmizza, in nuce, è una casa. Spaziosa, con un giardino generalmente ampio e una sala a pianterreno di superficie poco inferiore a quella dell’intero edificio, ma indubbiamente una casa.
È regolarmente abitata da una famiglia, che periodicamente la apre e serve i propri prodotti.
Ciò è possibile in virtù di una tradizione mai sopita, credo risalente al periodo austro-ungarico, che permetteva ai contadini del Carso di vendere i prodotti dei loro allevamenti per un periodo limitato. Tale periodo era stabilito in otto giorni, da qui il nome “osmizza”, italianizzazione dello sloveno “osmica”, che letteralmente vuol dire “ottavina”, nel senso di “serie di otto” (otto si dice osem, come tutti dovreste sapere). Per par condicio, d’ora in poi alternerò le due grafie, così, a casaccio, senza criterio, tanto per dar fastidio ai correttori di bozze. Non userò, invece, la grafia “osmiza”, perché secondo me induce a leggere la /z/ sonora e trae in inganno.

Caratteristica peculiare dell’osmizza, dunque, è proprio quella di essere aperta saltuariamente e solo per pochi giorni, anche perché salumi e formaggi prodotti da una sola famiglia di contadini non possono essere sufficienti a sfamare torme di triestini per settimane.
Perciò, non aspettatevi  insegne al neon sulle facciate né, tantomeno, cartelli stradali che ne indichino l’ubicazione, perché, non essendo esercizi commerciali stabili, non è possibile fornire indicazioni aggiornate, né si potrebbe indicarle tutte, dato che ogni paesotto del Carso ha mediamente tre osmizze.

 

Come si trova un’osmizza?

Ma se sono attività tanto misteriose – diranno subito i miei Piccoli Lettori Orientisti – come cazzo si fa a trovare un’osmica?
È vero che non ci sono cartelli stradali che le segnalino e che non si sa mai bene quando questa o quella aprirà, ma questo non significa che non si possano scovare facilmente. C’è, infatti, un sistema di indicazioni antico quanto efficace, neanche troppo criptico: la frasca.

La frasca

Non è un nome in codice: una frasca è proprio una frasca, né più né meno di una fronda di arbusto, che viene esposta fuori dalla casa che in quel periodo è aperta come osmizza. Mi risulta, addirittura, che, in determinati periodi dell’anno, la frasca verde indichi che viene somministrato il vino nuovo, mentre quella secca sia esposta fuori dalle osmizze che hanno il vino dell’annata precedente.
Per facilitare il raggiungimento delle osmizze, inoltre, le frasche sono collocate anche sui principali bivi e sono corredate da una freccetta di legno (generalmente rossa) su cui è scritto il nome del paese, perciò è sufficiente seguire le frecce e, una volta giunti in paese, guardarsi attorno per individuare la casa con la frasca di fuori.
Di solito, nei pressi dell’osmica aperta c’è un insolito assembramento di vetture, e da essa si sente provenire il tipico vociare di triestino alticcio, quindi non c’è proprio alcun pericolo che vi infiliate per sbaglio nel giardino di qualche altro abitante.
Tipicamente, i toponomi scritti sulle frecce di legno sono in sloveno, ma questo non vi deve scoraggiare: non solo i nomi dei paesi sono assonanti e – grazie alla mia lezione sulla fonetica – non avrete difficoltà a riconoscerli, ma, com’era prevedibile, i cartelli stradali sono in due lingue, quindi, quando giungerete in paese, avrete conferma del fatto che Zgonik è Sgonico, Samatorca è Samatorza, Basovica è Basovizza e via dicendo. Ovviamente Gropada, essendo una località di rilievo internazionale, resta Gropada in tutte le lingue.

 

Cosa si mangia in osmica?

Come detto, l’osmizza serve i prodotti del contadino e fattore carsolino, quindi non aspettatevi niente di cucinato.

La cosa più elaborata – nel senso che ha subito un processo di cottura con il fuoco – che potrete mangiare saranno le uova sode. Alcune osmice – ad esempio Zigon (non mi ricordo se c’è la strešica o no) a Sgonico, che ha recentemente introdotto uno strumento futuristico, la forchetta – somministrano anche frittate, ma si tratta di una stramberia dei tempi moderni; ciò non toglie che siano da provare. Oltre ad esse, trovate sicuramente quattro o cinque tipi di affettati (sia salumi che insaccati), generalmente prosciutto crudo e arrosto, ombolo, pancetta e salsiccia, e almeno un tipo di formaggio. Sulla carta l’offerta è più ampia, ma capita non di rado che qualcosa sia finito. Il pane è bianco e casereccio, servito in grosse fette soffici e profumate (per ragioni a me non del tutto chiare, praticamente tutte le osmice servono lo stesso pane).

Il vino è rigorosamente alla spina, ma ormai sono parecchie le osmizze che hanno alche qualche vino in bottiglia. Si tratta sempre di vitigni autoctoni: Malvasia istriana (Malvazjia, un bianco non propiamente abboccato), Refosco (Refošk, il rosso più facile e “internazionale” prodotto in zona) e, naturalmente, Terrano (Teran). Siete padroni di scegliere, ma sappiate che se prendete il vino in bottiglia, fate subito la figura dei foresti e perdete molto dello spirito dell’osmizza.

 

Come si ordina in osmizza?

La domanda non è così banale come sembra.

In osmizza si viene serviti al tavolo, ma si ordina al banco; inoltre, bicchieri, bevande ed eventuali (ma praticamente d’obbligo) uova sode, vengono consegnate al momento dell’ordinazione, perciò è opportuno sedersi subito a un tavolo, parlamentare brevemente per scegliere cosa ordinare (contemplando qualche alternativa in caso di mancata disponibilità) e mandare un paio di emissari al bancone ad effettuare l’ordinazione, in modo che non lo intasino, ma che non abbiano difficoltà a portare al tavolo le prime cose.

Spero che siate forti nelle equivalenze, perché in osmizza si ordina in decagrammi (dag).
Ovviamente, essendo i gestori delle osmizze perfettamente in grado di far di conto, non sarà un problema se ordinerete in etti o in grammi, ma se ci tenete ad apparire disinvolti con le usanze locali, dividete il numero dei grammi per dieci (o moltiplicate quello degli etti) e chiedete di conseguenza.
La lingua franca delle osmice è il triestino.  L’oste (si fa per dire: più frequentemente troverete un’ostessa) è un abitante del Carso, dunque parlerà perfettamente l’italiano, ma è probabile che la lingua del suo quotidiano sia lo sloveno, quindi può essere carino buttar là qualche parola in triestino, per suggerire familiarità.
Il decagrammo, in triestino, è sempre abbreviato in “deca”, perciò, se volete due etti di prosciutto crudo dovete chiedere “venti deca de crudo”. Mai, in nessun caso, sognatevi di dire “decagrammi”: sembra una presa per il culo. Piuttosto, usate gli etti, non sarà la fine del mondo.

 

Cosa ordinare

Anche quello che ordinate denuncia maggiore o minor competenza delle usanze.  Ecco i prodotti cui proprio non potete rinunciare mangiando in osmizza, tradotti anche in triestino affinché possiate meglio confondervi con la fauna locale

Uova sode
Ovi duri

Una convinzione mai dimostrata scientificamente, ma da tutti ritenuta indiscutibile, è che l’uovo sodo mitighi l’effetto dell’alcol.
A mio avviso dipende solo dal fatto che riempie lo stomaco un decisivo attimo prima che vi arrivi il vino (ricordate? Vino e uova vengono portati in tavola subito da chi ha ordinato, quindi, se non ci fossero le uova, nell’attesa che arrivino gli affettati, si finirebbe troppo facilmente con lo sbronzarsi), ma pare che sia blasfemo negarne le proprietà magiche, quindi non dimenticate di prenderne uno a testa (io ne mangio due, perché mi piacciono molto, ma sono sempre guardata come una eccentrica).

Si mangia con le mani. Per sbucciarlo, se ne crepa la superficie battendolo sul tavolo, non importa se fa rumore, lo fanno tutti; lo si sbuccia tutto (qui alcuni potrebbero obiettare che si può anche sbucciare man mano… sì, teoricamente si può, ma non si finisce mai) e lo si condisce con sale e pepe; se ne mangia un morso e si condisce nuovamente quel che resta, finché non è finito. Non essendo un uovo di struzzo, dubito che vi durerà più di quattro morsi. Vi resteranno le dita appiccicose e puzzolenti d’uovo per tutta la sera: è normale, è il suo bello.

A questo punto avrete probabilmente una sete insopportabile, quindi vi attaccherete alla caraffa del vino.

Vino terrano
Teràn

Sebbene sia sempre disponibile anche un vino bianco altrettanto tipico, il vino principe dell’osmica è il terrano. È sicuramente il vino più acido che possiate mai bere e ha un coefficiente di macchiamento superiore a quello dell’erba, perciò fate molta attenzione agli indumenti. Alle labbra non potrete fare niente, quindi rassegnatevi a stare tutta la sera “col rossetto”.
Viene servito a temperatura decisamente bassa, a causa della quale va giù che è un piacere, specie dopo che avrete iniziato a mangiare i salumi, perché ha un effetto sgrassante in bocca e digestivo nello stomaco. Non perdete il conto delle caraffe, o il giorno dopo vi perderete nel bosco.
Anche se non è vista particolarmente di buon occhio, è tollerato che insieme al vino si beva un po’ d’acqua.

 

Acqua del rubinetto
Acqua de spina

In osmizza, l’acqua in bottiglia non c’è.
Non per conformarsi alla recente moda di risparmiare plastica portando in tavola caraffe di acqua microfiltrata, bensì in osservanza di più antico buonsenso: non servi.
Le osmizze più mondane hanno bottiglie di acqua gasata, ma è roba per turisti: il vero amante dell’osmizza non la ordina, perché non fa parte della tradizione contadina. Oltretutto, l’acqua de spina xé gratis.

 

Ombolo

Non credo esista una parola italiana per “ombolo”. Dal punto di vista anatomico, è la lombata (o lombo), ma non è la traduzione esatta, perché con il temine “ombolo” si designa nello specifico tale taglio di carne (del maiale) lavorato come un salume.
È squisito. Immaginatevi un prosciutto crudo molto magro e delicato in fette piccole e sottili.
La particolarità dell’ombolo, infatti, è che è l’unico salume che gli abitanti di Trieste e provincia riescono a tagliare e mangiare affettato sottilmente; solitamente, infatti, affettano e consumano i salumi almeno il 20% più spessi che nel resto d’Italia. Provate ad andare in salumeria e chiedere del prosciutto crudo “tagliato fine”: vi ritroverete con una bistecca di porco e il salumiere che vi guarda con la faccia come a dire “ma xé sotìl, coss te vol ancora?”.
L’ombolo – dicevamo – viene spesso guarnito con rucola, olio e formaggio, come se fosse bresaola, come se fosse un alimento leggero, da donne a dieta.
Questo, secondo voi, non la dice lunga sulla splendida mentalità di questi territori?

 

Prosciutto cotto arrosto
Aròsto/ Coto aròsto

Se in osmica sentite parlare di “arrosto” non si tratta di arista al forno, ma di prosciutto cotto. La coscia è sottoposta a una cottura diversa da quella dei prosciutti industriali (sono indotta a pensare che venga arrostita), infatti assume una colorazione grigiastra assai più naturale e simile a quella della carne cotta, anziché l’angosciante color Big-Babol che si vede di solito.
Il prosciutto arrosto si consuma tagliato spesso (anche mezzo centimetro) e a mano, guarnito con un’abbondante grattugiata di cren (radice di rafano).
Vedrete come vi libera le via respiratorie: un toccasana per correre!

 

Prosciutto crudo
Crudo

Contrariamente a quanto si possa pensare, comprensibilmente fuorviati dalle prestigiose produzioni di San Daniele e Sauris, i friulani non sono i soli ad avere dimestichezza con la coscia del porco. Anche in provincia di Trieste si producono, sebbene su minuscola scala, degnissimi prosciutti crudi.
Il crudo triestino, assimilabile al crudo istriano, è spiccatamente sapido (tradotto: salato che uccide) e viene, anch’esso, tagliato a mano. Questo lo rende automaticamente alto almeno il doppio del prosciutto crudo che consumate normalmente, quindi vi raccomando di masticare bene, perché in comune con il prosciutto consuetamente in commercio ha il coefficiente di scivolosità delle saponette alla glicerina e ne ammazza più del tabagismo.

 

Formaggio
Formaio

In genere è di un tipo solo, a pasta bianca e morbida, simile – tanto per farvi capire – a un montasio fresco, ma meno aromatico e più compatto. Con un po’ di culo, si trova in due stagionature: non potete esimervi dalla verticale!
Talvolta è servito a parte con un po’ di miele, o con olio e fiori di finocchio; più spesso è tagliato a listarelle e portato in tavola nudo e crudo nello stesso vassoio dei salumi. Non chiedete niente all’oste, tanto ogni osmizza ha un solo modo di servirlo e non avreste possibilità di scelta: non rovinatevi la sorpresa.
Non dimenticate di ordinarlo, sia perché è un tipico prodotto da osmica, sia perché vi aiuta ad assorbire l’alcol.

 

Salsicce cotte nel pane
Crodighini nel pan

Sono una specialità che ho trovato, per ora, solo nell’osmizza di Malchina; se fosse aperta a fine settembre e ci capitaste, non dovreste fare a meno di ordinarle/i (il genere dipende: non so se stiate leggendo in italiano o in triestino).
In pratica, sono la prova che gli americani hanno imparato a fare gli hot-dog dai giuliani, forse durante il periodo del governo alleato, ma ne deduciamo che gli americani non hanno imparato mica bene.
Questi “crodighini” sono salsicce fresche avvolte nella pasta del pane cruda, che quindi cuoce insieme ad esse, una volta infornato il tutto. Quel che si ottiene è un panino preassemblato con il pane caldo e fragrante imbevuto del gustoso e succulento grasso della salsiccia, che resta morbida, ma magra in bocca. Insomma, sono squisiti e valgono da soli la gita in Carso.

 

Foto concessa dal Brioso Ballerino.
Vi faccio notare io, prima che lo diciate voi, che ho scritto sbagliato “cotto arosto”: il triestino praticamente non ha doppie, sarebbe stato meglio scrivere “coto”. Siccome correggere l’immagine sarebbe stato molto laborioso, ho lasciato come stava.

 

Ci sono dolci in osmizza?

Certo, ma non sempre, e in ogni caso dipende dall’osmizza in cui ci si trova.
In estate tutte propongono le pesche col vino, una ricetta complicatissima che prevede di sbucciare e tagliare delle pesche, metterle in un bicchiere con del vino bianco e lasciarle in frigo per un po’. I più arditi ci mettono anche lo zucchero.

Un altro dolce che si trova con una certa frequenza è lo strucolo, generalmente di pomi, non di rado di ricotta.

Se c’è la ricotta, poi, vi verrà facilmente proposta come dessert in un’altra preparazione elaborata: guarnita con noci e miele… perché sì, insomma… va bene che si tratta di un’istituzione del Carso e sull’operosità degli abitanti di queste zone non ho elementi per esprimermi, ma considerando i secoli di prossimità coi triestini, è normale aver sviluppato una certa reticenza al lavoro.

 

 

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7 thoughts on “Guida all’Osmizza (Osmica)

  1. Otti

    Ok, quando la pianto di ridere ti chiedo se, come ricordo da gita primaverile ormai dispersa in un passato troppo remoto, ad ottobre saranno tutte sprangate o se nel nostro giro a cantine ce ne scapperà dentro una. :)

    p.s. confermo, I’m not a spammer

  2. Larry

    Ehm… no, mi riferisco esplicitamente al numero: il numero dei grammi (poniamo: 100) va diviso per dieci per ottenete il numero di deca da richiedere: 100 grammi sono 10 deca. È un’espressione basata sul linguaggio e non sul calcolo. Concedo che sia fuorviante e che confonda, ma dal punto di vista strettamente semantico funziona.
    Questo tonfo sordo è Grice che si rivolta nella tomba.

    @Otti: non lo so, ma se ce ne sarà anche una sola, noi la troveremo!!!

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