Il marinaio e la balena alla volta del Profeta [3]

Non sono così sicura che lasciare la postazione sia una buona mossa: e se arriva qualcuno nel frattempo, poi io devo aspettare e finiscono i biglietti? Del resto, se aspetto qua e i biglietti sono disponibili, poi devo comunque uscire a prelevare, prima che siano materialmente stampati.
Potrei aspettare e pagare col bancomat, e pazienza per i due euro, ma se poi non funziona la linea?
A quest’ora ero a casa coi biglietti nel carrello…dannazione…che fare? Vado direttamente a casa, forte del Mac e della connessione veloce?
O faccio il bancomat e torno di corsa, dato che ci siamo quasi?

Opto scelleratamente per tornare.

Al bancomat aspetto pochi istanti, perché la morosa del diavolo allo sportello si accorge subito di me e gli fa fretta. Meno male, un po’ di culo.
Perdo preziosi secondi per la pubblicità di un prestito. O di investimenti. O di qualche altro prodotto bancario che non mi interessa, che non capisco, di cui diffido a priori e la cui pubblicità mi innervosisce. Finalmente, la fessura più attraente dopo quella da cui tutti proveniamo sgancia il malloppo e posso teletrasportarmi allo sportello.

Proprio il teletrasporto ci vorrebbe, perché non si aprono le porte automatiche.

Ora ricordo vagamente che Zzi una volta mi ha raccontato di essere rimasto intrappolato dentro questo bancomat. Ora, per l’appunto.
Decido di usare l’altro cliente come ariete e sono pronta ad imbracciarlo, quando il diavolo e la morosa, che evidentemente non erano andati lontano, si accorgono che siamo rimasti chiusi dentro (e uno di noi è con una pazza omicida) e fanno scattare le porte dal di fuori. È l’unica banca le cui porte automatiche si aprono e chiudono all’unisono.

Quando torno alla rivendita dei biglietti non c’è nessuno, ma non mi rallegro: potrebbe significare che il sistema è andato a remengo.
Con serafica triestinità, la signora dello sportello accede alla pagina si emissione dei biglietti e mi chiede che posti voglio. Cazzo, si può addrittura scegliere.
“Palco” dico io.
“Non so se i palchi sono disponibili”
“No, intendevo: davanti-davanti molto centrale, mi faccia mettere uno sgabello sul palco”
“Adésso vediamo”
Mi piace questa signora, è molto più collaborativa di Vocedibionda.
“Allora, in prima fila non c’è posto”
“Ah.”
“La prima fila disponibile è la fila S.”
“E qual è?”
“Questa qua” Dice indicando con il mouse due quadratini che, se leggo bene la cartina, sono due cassonetti all’esterno del teatro. “La penultima”, mi rassicura.
“Mmm. E allora, piuttosto, in ultima fila…?” Chiedo, sperando in un momento dello spettacolo in cui spunta dal nulla e fa il giro del teatro, baciando tutte le donne con gli occhiali e senza un dente sedute in ultima fila.
“No, solo penultima”
E che cazzo, penso io, allora non è che la penultima fila è quella più davanti disponibile: sono gli ultimi posti e sarà il caso che mi sbrighi, prima che resti solo posto al cesso.
“Va bene, li prendo”
“Due?”
“Due”
“Eico!”

Tutto è bene quel che finisce bene.
Speriamo che finisca bene!

 

 

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