Io e l’anguria

      4 Comments on Io e l’anguria

 

Ho pensato di contrastare il calo di audience estivo pubblicando foto di bonazzi nudi.
Che bella idea, vero? Raffinata e originale!

 

Ieri (domenica 4 agosto) Zzi e io siamo stati al mare e, al ritorno, Zzi si è comprato una fetta di anguria al chioschetto. Ne è ghiotto.

Per molti, l’anguria è sinonimo di estate, vacanze, divertimento, relax e ricordi positivi.
Io invidio molto il club esclusivo di coloro che condividono la passione per questo frutto tondo, grande e colorato, il cui aspetto mi attira, ma il cui sapore, proprio, non riesco ad espugnare.

Ci sono tre cose che proprio non mi vanno giù, e iniziano tutte con la C: castagnaccio, Coca-Cola, cocomero.
Okay, non sono le uniche, ma sono le principali, e a dirla tutta, io il cocomero lo chiamo “pateca”, ma volete mettere com’era sensazionale, detta così?

Ecco la mia triste storia di esclusa dalla pateca.


 

Io e l’anguria

The early years

È da quando sono piccola che vedo tutti che mangiano l’anguria felici e sono invidiosa di quella felicità, cui non riesco a partecipare.
Da almeno il 1985, ogni estate, da che io ricordi, provo ad assaggiare l’anguria.

Durante le vacanze, i miei genitori mi portavano a casa di quelli di mia madre, che abitavano nel quartiere di Sturla, periferia est di Genova, zona ospedale Gaslini, porta della Riviera di Levante.
Là abitava una cugina di tre anni più grande di me, che, di conseguenza, era fighissima.
In realtà era fighissima davvero. Sembrava sempre più grande, ha avuto subito delle tette enormi e faceva l’atleta: non so quanti metri di corsa e salto in lungo. All’inizio degli anni novanta aveva il quaranta di piede.
Io no, niente di tutto questo.
Era ghiotta di anguria, come mezzo mondo.
Io no, ma almeno questo potevo provare ad esserlo. Insomma, sembrava che sarebbe stato sicuramente più facile che diventare un’atleta o farmi crescere le tette, giacché a distanza di quasi trent’anni non sono ancora riuscita in nessuno di questi propositi.

Così, da tempo immemore, ogni estate assaggio l’anguria, pensando che mi piaccia.
Poi non mi piace.
Non mi rassegno, e l’anno dopo ci riprovo.
All’inizio sono stata assecondata, poi i miei parenti si sono stufati della farsa dell’anguria e hanno iniziato a rammentarmi che il bel frutto non mi piace.
Ma io lo volevo assaggiare lo stesso, perché magari nel frattempo era venuto a piacermi.
In fondo – mi ricordavo – anche il riso, da piccola, non mi piaceva, ma adesso che avevo sette anni lo trovavo squisito, quindi, prima o poi, mi sarebbe piaciuta anche la pateca.

Giuravo e spergiuravo che l’avrei mangiata anche non mi fosse piaciuta, e puntualmente mi faceva schifo e se la finivano i miei parenti di ogni ordine e grado, con somma incazzatura di mia madre, che disapprovava il fatto che non finissi la mia fetta anche se non mi piaceva.

Dopo qualche anno, l’andazzo era diventato chiaro e nessuno mi ha mai impedito di continuare a provare. Nessuno, però, si è neppure mai trattenuto dal raccomandarsi di finire la mia fetta anche se ne non mi fosse piaciuta, esortarmi a lasciarcela se proprio mi stomacava, salvo poi rimproverarmi perché non ero stata di parola, ma dopo un po’ tutto ciò accadeva sempre più debolmente, giusto perché il copione lo prevedeva, solo per dimostrarmi che a me l’anguria non piace, e che loro lo sapevano (e che quindi l’unica cretina a non saperlo ero io).

Young and innocent

Nonostante questo, non ho smesso di provare.
Durante l’adolescenza ho approfittato degli inviti a casa di tutti gli amici per assaggiarla. Qualche mamma si stupiva che a 15 anni non avessi mai assaggiato l’anguria e non sapessi se mi piaceva, ma bastava dire che a casa mia non si mangiava, e me ne facevano assaggiare “giusto il boccone che sta in bocca, per sapere che gusto ha”.
Ogni volta speravo che scoccasse la scintilla, che riuscissi ad espugnare il segreto della degustazione della pateca e che mi ci buttassi a capofitto, innamorata fino all’osso della rossa cucurbitacea.
Ogni volta, la mia espressione – che pure mi pareva di controllare – faceva supporre alle mamme che, in casa mia, non usasse mangiare la pateca semplicemente perché non piaceva a nessuno, me per prima.

Glory days

Sono andata vicino a un maggior consumo intorno ai vent’anni, quando un locale dove sono andata un paio di volte con la mia testimone di nozze Wally (“Larry & Wally”, sì, e siamo ancora un grande duo, quando facciamo le reunion) proponeva un long drink a base di vodka e anguria frullata col ghiaccio. Si chiamava angurino. Lo odiavo. Mi irritava anche il nome. Wally ci andava pazza. A Wally piacciono tre cose: la pastasciutta, la Coca-Cola e l’anguria; la pastasciutta è quarta nella mia classifica di “cose che non mi vanno giù”, ma lei mi ha per anni offerto queste cose in continuazione, perché per lei significava condividere le più squisite prelibatezze. Ovviamente ne ho a lungo approfittato per provare ogni anno l’anguria, con la sola differenza che, stavolta, ci restavamo deluse in due.

Così, una sera andiamo in questo posto in Corso Italia, che è dove vanno le sere d’estate i fighetti a Genova, e lei mi decanta questo innovativo cocktail.
– “Mah, non so, non mi pare molto invitante, dal nome”
– “Nooo, belin, Larry, è buonissimo, lo devi assaggiare”
– “Magari prendo uno screwdriver e mi fai assaggiare un po’ del tuo”
– “Belin, ma se ti dico che è buono! Non ti fidi?”
– “No, è che per quest’anno il tentativo l’ho già fatto e ho già appurato che la pateca continua a farmi anguscia, dato che vogliono settemila lire per la consumazione perché c’è una cazzo di musica di merda che non si riesce a parlare, speravo di spenderle un po’ meglio”
– “Che palle che sei, Larry, cambia un po’, ogni tanto, osa un attimo!”
Quella sera Wally ha bevuto un angurino e mezzo. Faceva un caldo della madonna e metà me lo sono bevuto per disperazione, perché col cazzo che gli davo altre settemila lire.
Nonostante fossi sul punto di scrivere un pamphlet sullo scandalo dello spreco della vodka per la produzione di angurini, resta la forma in cui più facilmente assumo anguria.

No retreat, baby, no surrender

Ancora oggi, il rito dell’assaggio dell’anguria sancisce l’estate. Quando Zzi mangia la prima pateca della stagione, me ne dà un pezzetto – di solito la parte più buona della fetta – e io la mangio (non la sputo più come 25 anni fa), ma puntualmente decreto che non mi piace.

Circa tre settimane fa abbiamo scoperto che neanche nel 2013 mi piace l’anguria, ma non mi sono arresa.
Ci abbiamo riprovato ieri sera, perché magari il gusto cambiava col cambio del mese e ora che siamo ad agosto poteva avere iniziato a piacermi all’improvviso, ma anche stavolta niente di fatto.

Ogni anno – però – mi disgusta un po’ meno, forse prima dei cinquant’anni riuscirò anche io a prendere parte alla follia collettiva della pateca.
Resta, comunque, più probabile che riesca a farmi piacere l’anguria che che riesca a farmi crescere le tette o a diventare un’atleta

4 thoughts on “Io e l’anguria

  1. Giulio GMDB

    A me l’anguria non dispiace anche se non ne faccio pazzie… Piuttosto, com’è che non ti piace la pastasciutta??? Sicura di essere italiana? :-D

  2. Larry Post author

    La pasta è sopravvalutata!
    Per carità, non che se me la trovassi nel piatto ce la lascerei, ma è proprio l’ultima cosa che ordinerei dal menu, a meno che esso non comprenda solo trippe, rane e lumache come alternativa (tutte cose che non ho il coraggio di assaggiare per il solo nome, ma che so essere prelibatezze).
    Ho, per sicurezza, trovato molte altre fonti di carboidrati grazie alle quali ingrassare, comunque.

  3. Marilena7003

    Pateca a parte – della quale ne vado ghiotta – io e te ci assomigliamo molto in fatto di gusti mangerecci …. Bisogna che ci troviamo un giorno io e te a pranzo o a Ts o a Barcelona. Ciao marilena

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.