Kmetjia Klinec – Medana (SLO)

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 Oggi, 14 marzo, facciamo gli auguri a Otti, che ha compiuto 21 anni!

Eccomi di ritorno, sopravvissuta (male) a cinque giorni di Lipica Open.
Non sono esattamente quel che si definirebbe “sana e salva”, ma sono salva, e mi pare già un grande risultato. Vi renderò presto edotti su tutti i fatti e i misfatti di questi cinque giorni in balia degli orientisti (mi mancano già), ma al momento ho la febbre, le tonsille come due zampogne, voglio andare a dormire con la borsa dell’acqua calda e – soprattutto – se mi viene la forza di tenere gli occhi sullo schermo voglio aggiornare il blog del G.U.D., quindi ancora per oggi vi servo un post-lasagna, cioè ottimo, ma preparato in anticipo e tenuto freezer per le emergenze (l’audio è di quando avevo la voce).

“La recensione di un altro locale? Di già?” – diranno subito i miei Piccoli Lettori – “Miracolo!”.
Eh, no, carini! Il miracolo sta nel come ci siamo arrivati, in questo “agriturismo” che mi appresto a recensire.

Dovete sapere, infatti, che qualche settimana fa, e precisamente domenica 2 febbraio, Zzi, CP, il Brioso Ballerino e io siamo andati a correre la Marcia del Trim a Šempeter, che è, in pratica, un sobborgo di Nova Gorica.
Dico che “siamo andati a correre” perché, in effetti, ci siamo andati con l’intenzione di correre, ma in pratica è finita – come al solito – che io, dopo un chilometro a passo lento, stavo come uno che aveva corso la maratona in due ore, e i miei uomini procedevano a singhiozzo, aspettandomi dietro a ogni curva.

Grazie al Dinamico Matematico, avevamo scoperto – eravamo probabilmente gli unici a non saperlo – l’esistenza di un fitto programma di marce e corse non competitive a passo libero sparse per la regione. L’iscrizione a questi eventi costa tipicamente tre euro e dà diritto a rimpinzarsi come bibini ai ricchi e numerosi punti di ristoro allestiti.
Volendo vedere anche i vantaggi atletici, il fatto di partecipare a una manifestazione e correre in gruppo in un posto nuovo è vagamente più motivante che andare a remenarsi da soli sulla ciclabile per la settantesima volta, quindi ci siamo dotati di calendario degli eventi, ben decisi a non farcene scappare uno da qui al D-Day [NdR: quando ho cominciato a scrivere questo post non mi ero ancora sputtanata annunciando la maratona; a proposito: martedì 25 febbraio ci siamo ufficialmente iscritti, come i miei follower hanno visto in tempo reale – tutti gli aggiornamenti alla pagina 42 4 2 di questo blog!].

Determinati come John McClane, quindi, domenica 2 febbraio partiamo alla volta di Šempeter, sotto un cielo che non promette nulla di buono, ma stiamo andando a Gorizia – ci diciamo per darci fiducia – si sa che Gorizia è soleggiata come Masone…
Sbrigate le formalità e indossati gli indumenti adeguati, iniziamo la nostra corsa sotto la pioggia, che si fa torrenziale prima del terzo chilometro. Dopo un po’, invero, ha anche smesso (per poi ricominciare), ma la nostra bella slavazzata settimanale ce la siamo presa, pur senza carta e bussola. Solo il Brioso Ballerino è rimasto in condizioni impeccabili, perché ha corso con il poncho e sembrava Batman.

Già stracciano le palle le gare di orienteering, circa il percorso delle quali, volendo, qualcosa da dire si trova, figuriamoci quanto lo menano le corse tonte, in cui si va solo in un posto e si sa, per giunta, prima quale sia, perciò non vi massacrerò con altri particolari sulla corsa, che ho fatto finire appena al decimo chilometro quando – da vera orientista – ho intravisto l’arrivo in una via laterale e ho tagliato un terzo del percorso, mettendo fine all’agonia di tutti. Vi basti sapere che due ore dopo la partenza eravamo al 75% fradici (io, Zzi e CP), al 100% morti di freddo e bisognosi di una zuppa calda.

Zzi, che ha sempre la soluzione, ci ha portati, allora, da Klinec, un produttore di vini biologici del Collio sloveno, che a Medana ha anche un delizioso agriturismo.

 

Klinec, Klinec… mi dice qualcosa… come i fazzoletti?

No, bestie!
Klinec con la c, che in sloveno – come sapete benissimo – si legge come la nostra z sorda. È un cognome: l’azienda agricola è di Aleks Klinec, non c’è nulla di misterioso.
Se siete di queste parti, probabilmente vi dice qualcosa perché, anche se Aleks è giovane, la famiglia coltiva la vite (quelli fighi direbbero “alleva”) sul Collio da decenni. Lui ha continuato la tradizione portando avanti la coltura biologica e oggi produce a Medana i suoi vini (buonissimi) con proverbiale attenzione verso la terra.

 

Dov’è? Anche Medana mi dice qualcosa…

L’agriturismo in cui Aleks Klinec è apprezzato chef si trova a Medana, che è un paesino del Collio sloveno poco dopo il confine di Zegla/Ceglo. Da Gorizia disterà sì e no 20 minuti, ma a voi “dice qualcosa” perché è il paese natale di Gradnik e vi si tengono, per questo, le famose “Giornate della poesia e del vino”.
Non è tutto, naturalmente, ma non è che ora posso tenere un seminario su Medana e la cantina Klinec: leggetevi il libro, come ho fatto io!

Cosa e come si mangia da Klinec a Medana

Alla domanda “come?” posso rispondere subito: beeeene. Ma proprio tanto bene.

La cucina propone i piatti tradizionali della zona, giusto un po’ alleggeriti per il gusto moderno.
Si badi! Non si tratta della solita cucina locale “rivisitata” (vi ho già detto quanto io detesti le “rivisitazioni”, vero?), per cui si prende una cosa buona da mangiare, che va benissimo così come sta, la si “destruttura” un po’, la si schiaffa su un letto di un’erba stronza qualsiasi (una volta era rucola, oggi anche la rucola è banale e plebea), la si irrora con una “riduzione” di qualcosa che non c’entra una minchia ma notoriamente costa tantissimo e la si serve in porzioni da top model.

Si tratta, piuttosto, di pietanze a base di ingredienti tipici della zona, cucinati secondo il principio tradizionale, ma in modo moderno, e abbinati, talvolta, a qualcosa di insolito, ma altrettanto autoctono. Ragion per cui, la jota è jota, non è “grand cru di fagioli di Lamon lessati in guazzetto di cavoli cappucci macerati, con pome de terre de bois al profumo delle erbe nostrane, cotta su braci di radica di rovere e arricchita con pepite di pancetta di cinta senese ammaestrato”. Allo stesso tempo, la jota qui servita è un’ottima zuppa di crauti, fagioli, patate e maiale, in cui, però, le cotiche non hanno cotto per tre giorni nel paiolo incrostato, rilasciando i più agguerriti grassi, solo perché “una volta si faceva così”.
È cucina tradizionale con criterio, insomma.

 

La nostra esperienza

Essendoci noto il livello dei vini e a giudicare dalla ricercatezza dell’ambiente, che è rustico, ma molto curato, siamo un po’ timorosi di spendere troppo, così, nel cortile che precede l’entrata, ripassiamo il piano: una zuppa, un bicchiere di vino e acqua del rubinetto.

Mentre ci accomodiamo nella saletta, luminosa, grazie alla grande finestra, nonostante il cielo cupo, valutiamo che, essendo in quattro, ci converrà prendere il vino a bottiglia…

 

Primi piatti

La zuppa del giorno è una crema di sedano. Io sono estasiata, ma Zzi e CP detestano il sedano, quindi optano per i bleki con la gallina. I bleki sono una pasta fatta in casa, tipica del Collio sloveno, simile a delle lasagnette di tre o quattro centimetri di lato. Praticamente dei fuzi aperti, dai…

Per il bene di questo blog, non posso esimermi dall’assaggiarli, e mi sembrano squisiti. La consistenza della pasta è perfetta, morbida, liscia, eppure al dente. Il sugo è gustoso, profumato di odori e sapori senza stravolgere il sapore della gallina. Avvolge bene la pasta, che è condita a dovere.

Finalmente posso dedicarmi alla mia crema di sedano, che arriva guarnita di semi di zucca.
È buonissima. Certo, è crema di sedano, sa solo di sedano, bisogna essere dei feticisti del sedano per goderne. Io lo sono e ci farei il bagno. I semi croccanti, poi (che secondo me sono anche leggermente tostati), non sono solo in superficie, ma arricchiscono la crema fino all’ultimo cucchiaio.
Ultimo cucchiaio che – accidentaccio – arriva troppo presto.

Decidiamo, allora, di prendere anche qualcos’altro

 

Secondi piatti

Poiché abbiamo ordinato i secondi solo dopo aver finito il primo, abbiamo dovuto aspettare un po’, e nell’attesa abbiamo finito la bottiglia di vino e fatto fuori il cestino del pane, così abbiamo ordinato del vino rosso a bicchiere per accompagnare i secondi.

Tre di noi optano per la lingua di manzo “prima cotta e poi fatta alla brace”. Me lo faccio ripetere due volte per essere sicura di aver capito. Non ho le prove, ma suppongo che la prima cottura sia per bollitura; oppure c’è stato un errore di traduzione nella testa di Simona Klinec e la lingua è cotta una volta sola. Non fosse che l’ospitale locandiera parla italiano perfettamente, propenderei per la seconda ipotesi, poiché la carne è molto morbida e succulenta, e mi pare proprio impossibile che abbia subito due cotture.
Sia come sia, la lingua dal procedimento misterioso è molto appetitosa e si abbina bene con il gusto dolce delle barbabietole con cui è servita. Nel piatto, bontà loro, c’è anche una fetta di polenta bianca abbrustolita, che mi commuove.

CP ha scelto il roast beaf – e, cazzo se l’ha indovinata!
La lingua era ottima, ma il roast beaf ha un aspetto così invitante che a stento mi trattengo dal divorarglielo; dalla superficie al cuore, sfuma in tutti i toni del rosa, come il più romantico dei tramonti.
Anche il manzo è servito con un po’ di verdura cotta (carote e sedano) e un pezzetto di polenta.

Ormai incapaci di opporre resistenza alla bontà della cucina di Klinec, cediamo anche al dolce… del resto, abbiamo corso…

 

Dessert

CP prende la mousse di cioccolato bianco con i semi di zucca.
È una grande idea, perché volevo proprio assaggiarla, ma non volevo ordinarla perché un’intera porzione di mousse al cioccolato, per giunta bianco, mi avrebbe stesa: è un genere di dessert che mi piace, ma di solito è troppo dolce e mi stufa subito.
Con mia estrema sorpresa, la mousse al cioccolato di Klinec è dolce, ma non stufa; è “condita”, oltre che con i semi, con dell’olio di zucca che paradossalmente sgrassa il palato e fa sì che non ci sia traccia di quella fastidiosa patina viscida che, solitamente, lasciano in bocca le mousse. È buonissima, sono pentita di non averla ordinata e, quando CP la finisce a va in bagno, ne approfitto per ripulire il bicchiere.

I restanti tre quarti della compagnia hanno scelto gli štrukli.
Gli štrukli sono un dolcetto molto diffuso da queste parti, che si trova anche nelle Valli del Natisone e sul Collio friulano e goriziano. Sono come dei piccoli fagotti di pasta – immaginate dei ravioli – ripieni di frutta secca impastata col liquore. La ricetta della farcitura varia da zona a zona e da pasticcere a pasticcere, ma somiglia – a dirla tutta, per noi alloctoni è identica – a quella della gubana, altro dolce-simbolo della zona, che noi forestieri a stento distinguiamo dalla putizza, rischiando la gogna ogni volta che lo diciamo. Io li ho sempre visti cotti in forno, a mo’ di “Cuor di mela” con ripieno austroungarico, per capirci.

Klinec fa gli štrukli bolliti e – sebbene a parole la cosa sia poco attraente – credete a me: c’è da impazzirci.
Il mio nuovo “uomo della mia vita” racchiude in una pasta simile a quella degli gnocchi un trito di noci, zucchero ed elementi non meglio identificati ascrivibili alle famiglie della frutta secca e della grappa. Poi li fa bollire e – qui vi volevo – li ripassa nel burro, condendoli con burro, zucchero, forse cannella, e pangrattato.
In pratica, fa degli gnocchi di susini senza stupide susine, bensì con il ripieno a base di frutta secca degli štrukli.
Non so se sia una sua trovata o se questa variante sia, in realtà, tipica della tradizione culinaria di Medana, ma non mi importa: Aleks Klinec fa questi štrukli benissimo e andrebbe insignito del Nobel per la chimica per questo.

 

Cicchetti e conto

A fine pasto ci vengono offerti diversi liquori fatti in casa: grappa bianca, aromatizzata con foglie di pesca, al tiglio, nocino… Zzi deve guidare, ma io no, e mi avvento su quest’ultimo, che, manco a dirlo, è squisito (ma non superlativo come quello che ha in casa Giulio GMDB: se intendete scassinargli casa, puntate dritti al mobile bar!).
A proposito: anche l’olio d’oliva sui tavoli è di produzione propria, e si può acquistare.

La sorpresa più bella è il conto, che non è affatto salato. In quattro spendiamo € 120,00, vale a dire trenta euro a testa avendo mangiato primo, secondo e dolce, e avendo preso una bottiglia (22,00 euro da sola) più tre bicchieri di vino.
Considerando l’ottima qualità dei cibi è davvero un affare.
Bisogna anche tenere presente che si tratta di un vero e proprio ristorante, e non è la classica gostilna d’oltre confine cui siamo abituati qua al sud: al nord sono finotti e le porzioni non sono armi di distruzione di massa come quelle dei locali costieri, che risentono delle usanze balcaniche.
Per uscire sazi ci vogliono due piatti, ma arrivando debitamente agguerriti non sarà un problema gustare anche antipasto e dolce.

Io vi raccomanderei caldamente questo locale, ma poiché in inverno ha pochi coperti, mi secca che diventi meta del turismo di massa… dimenticate tutto, eh!

 

2 thoughts on “Kmetjia Klinec – Medana (SLO)

  1. Giulio GMDB

    Eh il nostro nocino viene da una antica riserva del papà di un nostro amico emiliano: è del 1998 quindi difficilmente si può trovare in vendita qualcosa di così a lungo invecchiato :-)

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