La vendetta delle mie ultime vittime [2] ✄

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La seconda cosa che dico a CP la mattina dopo è quanto fossero buoni i pansotini alla rucola di Trilli, spiegandogli che erano talmente buoni da poter sopportare la rucola.
Con la rucola, come ricorderanno i miei primissimi lettori, ho infatti un rapporto conflittuale:

Ne sono stata esasperata negli anni in cui era di gran moda e qualsiasi cosa ti venisse servita nel piatto era adagiata su un letto di rucola.
Come ingrediente, tuttavia, se accortamente gestito, sono costretta a riconoscerne l’opportunità. Ad esempio, la aggiungo volentieri alla focaccia col formaggio, suscitando le ire dei puristi. La mangio con una certa soddisfazione con il prosciutto di cervo e poco aceto balsamico. Poi basta, per me se la rucola si estingue dal pianeta il danno è meramente botanico.
Invece i pansotini alla rucola di Trilli sono tanto buoni, perché la rucola vi risulta aromatica e non prepotente. Inoltre, la pasta è tirate eccellentemente, al giusto spessore, grazie al quale si ha soddisfazione nel mordere un involucro che “si fa sentire” senza essere troppo spesso e dar l’impressione di esser solo pasta, anzi cedendo al punto giusto per rivelare il ricco ripieno. Mi son proprio piaciuti.

Giraffa! Elisa! State raccogliendo il guanto?

Poiché io avevo preventivamente atterrito Trilli con l’elenco delle “cose che non mangiamo, che non ci piacciono, che ci piacciono ma non le possiamo mangiare, che mangeremmo ma non ne abbiamo voglia, che di solito mangiamo ma stavolta no solo per metterti in difficoltà”, sono stupita dalla varietà del menù, ulteriormente vincolato dal colore. Il secondo, infatti, è un tenerissimo arrosto che si scioglie in bocca, guarnito da verdurine che hanno cotto [uso intransitivo del verbo cuocere, nel senso di “essere arrivato a cottura”, l’azione è svolta dall’alimento ed è terminata nel passato, non è che l’alimento ne ha cucinato un altro] insieme ad esso, donando e ricevendo gusti e profumi e conferendo al piatto un certo qual colore verde. Sono molto ammirata.

Il dolce è budino di criptonite con trucioli di wengè…insolito…
Ah, no! È bavarese alla menta con riccioloni di cioccolato fondente! Meno male! Perbacco, è deliziosa [specie per me che sono una grande fan della menta, sempre che questa stupida moda di metterla in ogni dove, proprio ove un tempo veniva messa la rucola, non mi stufi nei prossimi venti minuti]. I padroni di casa si schermiscono [non fanno altro, in effetti], e straparlano di una superficie irregolare che proprio non va bene. Sarà. Per me è perfetta, vorrei io svegliarmi domattina ed esser capace di fare una bavarese alla menta così. Ora che ci penso, vorrei svegliarmi domattina e avere delle cosce con una superficie “irregolare” come questa bavarese. Ad ogni modo non ne avanzano, quindi vuol dire che nemmeno loro la trovano così male. Peccato, perché io mica ci avevo schifo a finire le loro coppette.

Tra i tanti digestivi messi a disposizione [che accettiamo solo per avere la scusa di trattenerci un altro po’, non perché ci sia bisogno di sgropparsi] c’è anche un amaro alla rucola.

Questo è un po’ troppo. Trinità ce lo magnifica, ma non mi frega. Per un attimo, quando si serve, penso che, se lo beve lui, questo amaro alla rucola dev’essere l’elisir di infinita saggezza [o bono-da-morì], ma pur essendo un’ accanita fan di Trinità, non ne sono seguace al punto da seguirlo in ogni azione suicida, e decido che assurgerò all’infinita saggezza un’altra volta. Già scegliendo un più rassicurante pelinkovec la mia saggezza è adeguatamente esercitata.

Infine, i nostri strepitosi ospiti sono riusciti a metterci alla porta. Ora che ci penso, non so se avrò molte altre occasioni di bere l’elisir di saggezza infinita, può essere che non compiano più il tragico errore di invitarci a cena da loro e non oserei biasimarli.

Eppure già questa serata è stata foriera di grandi gioie e grande onore.
Giraffa! Elisa! C’avete tanti di quei guanti che ora potreste metter su un banchetto.

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