L’invasione degli Ultravasi ✄

      6 Comments on L’invasione degli Ultravasi ✄

Ineluttabili come le Parche, anche quest’anno sono comparsi d’un tratto, tra la popolazione presa alla sprovvista.
Hanno dato appena il tempo alle forze armate di fare le loro pittoresche coreografie in piazza Unità e lo stesso 4 Novembre, alle 14, stazionavano già ai lati della famosa piazza sul mare.
Circolari.
Enormi.
Di orrido cemento.
…Verdi!
Gli Ultravasi sono orrendi basamenti per gli alberi di Natale con i quali il comune addobberà la piazza e gli accessi ad essa. Sono più grandi di una 500 e del vaso hanno solo le sembianze sommarie, in realtà sono dei giganteschi portaombrelloni perché, se si guarda al loro interno [cosa facile, giacendo essi abbandonati e deprimenti come un rifugio antiatomico], si scopre che sono pieni di cemento, tranne per il profondo foro centrale che ospiterà lo sventurato abete.
Che, di conseguenza, è reciso, è un tronco morto, privo di radici, ficcato ad agonizzare sotto lo sguardo compiaciuto dell’amministrazione comunale.
Poiché, inoltre, Trieste in inverno non è propriamente la città ideale da addobare con un mega-abete stile San Pietro, che alla prima bava d’aria viene giù come un castello di carte [comunque arditamente collocato nella vicina, ma più riparata, piazza della Borsa/incrocio corso Italia], e poiché la piazza non è proprio facile a riempirsi [non ce l’ha fatta Santana, figuriamoci l’Assessore agli Addobbi], si è reso necessario moltiplicare all’infinito gli abeti umiliati negli Ultravasi: praticamente una strage di alberi solo per rendere meno agevole il transito ai pedoni.
Perché se è vero che la piazza è immensa e non è indispensabile camminare proprio dove sono stati collocati i [numerosissimi] Ultravasi, è anche vero che i capi di piazza sono due e solo due; uno è già strozzato con un ultravaso che ha fatto spostare i tavolini del bar e insidia il baracchino del Fabbricante di Chiavi, l’altro forse verrà graziato perché già vessato dai lavori di ripavimentazione, ma data la logica che muove l’allestimento delle decorazioni, non ne sarei così sicura.
Ora i miei Piccoli Lettori penseranno che sono una vecchia ciabatta acida cui non va mai bene niente; che magari sono abeti da foreste FSC e io sono disinformata; che sono un’ipocrita perché mi scaldo per quattro alberelli e poi scanno i maialini per nutrirmi [e altre barbarie che non riporto ora]; che anche se c’è la crisi economica ed energetica e illuminare otto milioni di abeti inutili [per tacere delle luminarie: ogni lampione viene adornato di coni abetiformi di lampadine, poi mi dicono che siamo al collasso perché in bagno non ho ancora messo la lampadina a risparmio] è una puttanata di idea bisogna farlo lo stesso perché il popolo va tenuto buono con panem et circensem, altrimenti capace che per puttanopoli no, ma per gli addobbi negati la rivoluzione la fanno… tutto vero.
Quello che è demenziale è il fatto che si usino basamenti finti per tenere su alberi morti, quando si otterrebbe il medesimo effetto con vasi [di cemento, se si teme la bora] pieni di terra e di alberi vivi. Mi irrita, oltre allo spreco e alla negligenza ecologica, la complicazione gratuita delle cose semplici. Il rinunciare al vero per preferire il finto che imita il vero.
La natura, però, si consolino i miei Piccoli Lettori, non si fa coglionare tanto facilmente, e ogni anno, paziente, attende che gli abeti siano completamente addobbati. Attende che l’ultima macropalla rossa metallizzata come un’Alfa sia appesa, che l’ultimo fiocco sia legato al ramo, che la ghirlanda di lucine sia armoniosamente drappeggiata intorno agli alberi e tra essi. E a quel punto, solo a quel punto, arriva puntuale ogni anno una giornata di bora violenta come un film di Tarantino, che sparge tutte le decorazioni per la strada, in un’atmosfera da day-after che fa venire i brividi, e sconvolge gli alberi lasciandoli lì, sotto le finestre dell’amministrazione comunale, con il loro aspetto da reduci mutilati a ricordare il fallimento della campagna.
Non è una granché come consolazione, lo so, ma è una bella metafora del marcio che si trova grattando appena la superficie, che ben si confà all’atmosfera decadente del Natale.
E un modo economico di procurarsi un rametto da mettere sulla porta, passando in piazza prima degli spazzini.

6 thoughts on “L’invasione degli Ultravasi ✄

  1. Nini

    In realtà le orride macropalle meriterebbero un argomento a parte. Sono delle dimensioni di una boccia per pesci, rosse, e ne vengono messe quattro o cinque COMPLETAMENTE A CASO nella parte alta della chioma dello sfigatissimo abete.
    NElla Parte alta, ovvio, così nessuno le ruba.
    Sinceramente preferivo quando l’ascetica gestione Illy metteva le luci sui pali a raggere di dimensioni digradanti all’orrida invasione degli ultravasi (talmente grandi da essere imbarazzanti, e pure sproporzionati rispetto alle dimensioni degli sfortunati ospiti), di solito accompagnati da altrettanto imbarazzante albero fasciato di tubi di lucine bianche, rosse e verdi o, peggio, azzurro forzitaliota.
    Ma vogliamo parlare di quelle specie di pigiamini di lucine messe a retina con cui vengono fatti su tutti gli alberelli delle rive? Che siccome son fatti combaciare male si vedono le fughe e sembrano cerotti coi led?

  2. susina

    mi trovi d’accordo al 100%
    susidicogoleto (paese con almeno due alberi morenti ogni anno sbattuti per terra da quelle bave di vento che ci sono spesso in liguria)

  3. Francy

    Anni fa, quando è iniziata questa ampiamente criticabile moda degli ultravasi, ho sentito una mattina in autobus parlare due adolescenti che commentavano ironicamente la spesa (che per fortuna non ricordo) investita per creare la doppia fila di alberi addobbati ricordando che la loro scuola non aveva i soldi nemmeno per la carta igienica…
    Ecco, io ho ingenuamente pensato che se perfino due adolescenti, distratti insieme a tutta la loro generazione da discutibili mode, si rendono conto della “vaccata”, la stessa non potrà che avere vita breve. E invece…
    Confidiamo nella bora.

  4. Larry Post author

    È vero, Nini! Ho sempre pensato che la disposizione delle palle fosse un messaggio mistico, tipo le piramidi o i cerchi nel grano.
    Secondo me viste dall’elicottero compongono la scritta “Udine mi fai una pippa”, altrimenti non mi spiego tanta pertinacia nella disarmonia.

    Che poi, al di là della soluzione ovvia e che accontenta tutti degli alberi vivi nella terra, come mai – e mi rivolgo ora soprattutto alle crocette – non si è optato per un sobrio e sempre gradito pannello-della-Nancy come addobbo?
    Tipo quello “I belive in Santa” in vetrina da Filomania?
    [Giraffa, martedì a rapporto in via Mazzini]

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