[Mercoledì, 02 Luglio 2008] Magic Tour 2008 – Milano | Il giorno più lungo – episodio 1

Mercoledì, 02 Luglio 2008
Sarà che dopo la terza serata di Dublino uno ha poco da aspettarsi, sarà che, sapendo che la gente si è messa in fila per il pit con 4 giorni di anticipo, non siamo partiti con la pancia piena di speranze, ma il 25 Giugno non è stato proprio proprio proprio proprio leggendario.

Il viaggio inizia uscendo in clamoroso ritardo dall’ufficio (okay, ho un ufficio dal quale uscire, zitta e muta) e arrivando trafelata al rendevous con Zzi.

Ultima perquisizione:

– maglia di ricambio?;      – La g’ho

– crema solare?;               – La g’ho

– Larryhat?;                         – Lo g’ho

– Soldi?                                – Otto euro: li g’ho

– Documenti?                     – Li g’ho

– Biglietti? -.,,…[sguardo di panico] – HAI DETTO CHE LI PRENDEVI TU!

Zzitalia ghigna sadico e avvia il motore.

Giungiamo all’appuntamento con Luca e La Paolina e iniziamo, finalmente ufficialmente, il viaggio per Milano.

Tutto sommato siamo in orario, a Dolo è prevista una sosta per raccogliere il cugino di Luca (nel senso che ci aspetta in un posteggio dell’autostrada, potremo giusto “raccoglierlo” come un aspic mal impiattato).

Inizia il toto-canzone e scadiamo in quei discorsi odiosi da fan straviziati, che hanno visto di tutto e di più, proclamando di voler sentire i titoli più assurdi. Quella roba che ha composto al cesso e pubblicato di nascosto, per intenderci.

Bei tempi quando speravo di sentire Thunder Road! Adesso la chiedo solo ai concerti degli altri (di cui l’ultima volta alla Bohème).

Insomma siamo in piedo mood-da-tour quando il destino cinico e baro si presenta sottoforma di coda di 4 km a Ronchi dei Legionari.

Usciamo subito e sfidiamo l’insidiosissima campagna bisiacca, che oltre che essere caldissima, ha la caratteristica di non finire mai. Secondo me si estende a mano a mano che viene percorsa.

Sono già sfinita quando siamo appena sull’Isonzo ed entriamo in Papariano. Per carità, terra di grandi musicisti, questo io non lo discuto, ma per oggi avevo idea di andare un po’ più avanti; almeno siamo nelle solo-a-me-amiche terre furlane.

Rientriamo a Palmanova, ci consoliamo raccontandoci la palla che nooo, non è mica tardi, ma il malcontento serpeggia (e siamo appena a Palmanova) e dal toto canzone si passa alla gufata scaramantica.

Dicesi gufata scaramantica la pratica masochista di prevedere che si esibisca in qualche Inalscoltabile; essa ha lo scopo di scongiurarne l’effettiva esecuzione o, nella malaugurata ipotesi, di consolarsi con un flebile “io lo avevo detto”. Si tratta di un rito veloce, di solito basta elencare Human Touch.

Se il viaggio è lungo si aggiungono Cover me, I’m a Rocker, The Big Muddy, I’m a coward, Let’s be Friends, All I’m thinking about e poco altro (ne ha scritte di porcate, eh, il nostro idolo?).

Sfolgorante new entry, nella lista delle Inascoltabili, Living in the Future, sistematicamente riproposta ogni sera. Ora: io capisco il testo di protesta, capisco il voler sputtanare in tutta Europa un presidente decerebrato, capisco il messaggio sociale che vuole trasmettere.

Ma diamine: metterci su una musica bella costava uguale! Da uno che mi insegna a camminare a testa alta o a non camminare affatto, mi aspetto che le cose siano fatte bene, oppure non fatte. Se proprio, per ragioni di metrica e armonia che non voglio neanche sapere, non c’era verso di arrangiarla diversamente…..poteva pubblicarla sul disco della moglie!

Intanto siamo in Veneto, dove ci bloccano 7 km di coda in barriera: usciamo prima!

A questo punto il regista, per non estenuare il pubblico con la descrizione della pressochè immutevole campagna padana, fa una digressione sul necessaire da concerto.

Ciascuno di noi si porta quello che più ritiene utile, poichè al necessario pensa Zzi, vediamo le puttanate che possono uscire dal Marsupiorosso.

Nella tasca grande troviamo: la Moleskine rubricata (utile! Chissa quante amicizie si fanno a un concerto, dove tipicamente si attenta alla vita del proprio co-testimone di nozze solo per guadagnare mezzo metro), la penna, spiccioli, chiave della macchina di riserva (anche se è più probabile che sia io a perderla, quindi basterebbe portare sempre solo quella di Zzi), assorbente (indipendentemente dal periodo del mese: è dal tour invernale che non posso più saltare liberamente…i 27 sono stati il tracollo).

La tasca anteriore ospita la crema solare fp 30 (così mi abbronzo un po’ e Zzi è contento), fermacapelli assortiti, occhiali da sole graduati (attraverso i quali, però, non vedo, perchè sono del 1991 – ma mica mi porto gli occhiali buoni schiacciati nel marsupio), cellularry (quello sì al macello, tanto non funziona mai).

Nella microtasca laterale si scovano le chiavi di casa e l’Osso di Pesca.

L’Osso di Pesca è stato a suo tempo, lavato, molato, forgiato e lustrato da mio padre, fino a che egli non ne ha ricavato un meraviglioso fischietto, fatto a cuoricino, rosso. Sapete che aborro superstizioni e scaramanzie, ma quando si va da qualche parte, l’Osso di Pesca viene con me. Portafortuna? No. Scaramanzia? Macchè. L’Osso di Pesca può sempre servire. Siccome non gli ho ancora trovato uno scopo nella vita quotidiana, lo porto con me nelle situazioni straordinarie con la speranza di  poterne finalmente fare uso. E poi è un regalo del mio papà, è uno degli oggetti ai quali tengo di più al mondo (chissà come sarebbe contenta mia madre, con tutti i soldi che ha speso per vestirmi e calzarmi decentemente).

Nel frattempo siamo in coda sulla tangenziale di Milano, siamo in un ritardo abissale, ma non disperati. Date le premesse, sappiamo bene che non entreremo mai e poi mai nel pit – che sarà esaurito da giorni! – perciò ci basta arrivare davanti al mixer, e per quello non c’è da temere.

E’ qui la batosta.

Quando arriviamo nel prato e vediamo che è vuoto, quando vediamo che anche il pit è vuoto e che ci sono si e no 20 persone alla transenna di ingresso che chiedono alla security – peraltro in maniera abbastanza civile – di ammetterci nel recinto.

Lo so che siamo partiti tardi, lo so che siamo arrivati ancora più tardi, lo so che nel pit di Milano non ci abbiamo mai creduto e non ce lo meritiamo. Però quando arrivi lì, c’è posto e non ti fanno entrare, un po’ ti girano. Soprattutto quando la security si balocca con mazzi di braccialetti non distribuiti. Ancora di più quando vedi gente arrivata un minuto dopo di te che, invece, è stata ammessa – e non si tratta di braccialetti fatti in casa. Sembrano proprio i braccialetti ‘veri’, sono braccialetti veri, ne passano in continuazione sotto al nostro naso…pare che “basti”  dare 50 euro. A dei fan che ci lucrano? No-no, alla security.

Morale che, siccome sono cretina, mi faccio rovinare la serata da questi episodi e non me la godo per niente. Quando mi passa la rabbia siamo a metà concerto.

Chi l’ha vissuta nel modo giusto, dice che è stata una serata epica.

Non so: la scaletta era bellissima, ma non c’era niente di speciale per l’Italia (come tutti si aspettavano e come anche io, pur avendo preconizzato un Milano sottotono, speravo) e lui ha parlato pochissimo (data la scarsa soddisfazione che gli demmo a Novembre. Certo, non ha lesinato i successi nè le chicche, ma non abbiamo vissuto il concerto leggendario a cui ci aveva abituati.

E’ come dice Morozzi: i concerti di Springsteen si dividono fra belli ed epocali.

Questo era solo molto bello

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.