My (lo-lo lo-lo-lo) love will not let you down

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Oggi facciamo gli auguri a Bruce, perché è il nostro anniversario.

Dopo anni in cui avevo spasimato per lui a distanza, l’11 giugno di alcuni anni fa (quattordici, per l’esattezza, ma a dirlo sembro vecchia), è finalmente capitolato ed è venuto a Genova a rapirmi.

Ora non ricordo con precisione cosa sia andato storto quella volta, ragion per cui non è riuscito a rapirmi, ma dev’essere stata la stessa cosa che continua ad andare storta da quasi quindici anni. Sono sicura, comunque, che oramai siamo vicini alla soluzione e sabato prossimo a Londra – o il 29 giugno a Parigi, al più tardi – mi rapirà.

Ho paura di non avervi mai raccontato cosa accadde in quel luminoso giorno (ma ho più paura che non vogliate saperlo, a dire il vero).



Correva l’anno 1999, Bruce portava in giro il “Reunion tour” con tutta la band e già all’epoca mi pareva che ci fosse un sacco di gente sul palco.
In realtà, erano circa la metà di quelli presenti al giorno d’oggi, ma ci parevano una folla, paradossalmente a causa della sola presenza simultanea dei piccoli Steve e Nils.

Io ero reduce da un tragico fallimento: nel 1997, infatti, Bruce aveva portato il tour di The Ghost of Tom Joad al Teatro Carlo Felice, così, alle prime luci dell’alba, mio padre andò davanti a Ricordi per fare la fila e comprarmi il biglietto, mentre io potevo serenamente andare a scuola. Quando dovette dirmi che alle sei del mattino c’erano già più persone che biglietti era costernato, io giurai “mai più meno di dodici ore di coda” e per il tour successivo mi attrezzai a dovere.

Stupirà che io abbia atteso che Bruce tornasse a Genova, anziché andare a prendermelo in qualche altra città, ma dovete tenere presente che non lo avevo ancora visto dal vivo e non sapevo che cosa mi stavo perdendo.

In ogni caso, Bruce mi amava già e tornò nella mia città nel giro di poco, io feci un po’ di ricognizioni intorno alla prevendita, poi mi tranquillizzai al pensiero che il Ferraris ha una capacità lievemente superiore al Carlo e mi recai al Box Office con calma, un’ora prima dell’apertura del negozio, con la faccia distesa di quella che ha un preservativo pieno di cocaina nello stomaco.

Con me veniva al concerto la mia migliore amica, poi testimone di nozze, Wally.
Che nome di merda – diranno subito i miei Piccoli Lettori. Ehm… indovinate un po’ chi glielo aveva dato…

Incurante del fatto che avessimo un esame di maturità da sostenere da lì a pochi giorni, tutte le mie energie si concentravano sul preparare la mia amica, che – come dire – non era esattamente una fan del nostro; ma era una fan mia, e mi avrebbe seguita all’inferno, senza contare il fatto che da giovane svenivo ancora più spesso di adesso e non se la sentiva proprio di mandarmi sola.

E finalmente, dopo giorni in cui avevo sapientemente evitato di interrogarla sul Lied der Lorelei, ma l’avevo resa capace di cantare Thunder Road anche al contrario, se necessario, l’11 giugno è arrivato.
Il piano è semplice ed efficace: sveglia alle sei, appuntamento al bar alle sette – perché lei, essendo mezza napoletana, senza caffè non avrebbe potuto stare, mentre io ero pronta al digiuno per evitare il bagno -, pit-stop dal tabaccante e partenza alla volta dello stadio di Marassi entro e non oltre le 7.30, con arrivo previsto fra le 8.00 e le 8.15.
Non può fallire.

Finalmente vedrò Bruce, dopo tutta la vita che lo aspetto.
Circa metà della vita che ho vissuto fino ad adesso, certo, ma a quei tempi era comunque tutta la vita, e mi pareva sensazionale.

Alle sette non la vedo e la chiamo. Per fortuna andavamo in una scuola di fighetti e i nostri genitori ci avevano dotato di cellulare per non farci sentire diverse; nessuna di noi, in fondo, si sarebbe sentita inferiore alle numerose facce di culo che giravano nei corridoi, ma è stato tutto più facile, così, in effetti.
Wally risponde dalle profondità di un avello.
Mestruazioni.
Primo, dolorosissimo giorno di mestruazioni.

Siccome la nostra era una scuola di suore, ricordo di aver rivolto un pensiero al Padre Eterno: su 365 giorni che c’erano a disposizione per rinfacciare alla mia amica il peccato originale, proprio l’11 giugno 1999 dovevi scegliere? E se è per qualcosa che ho fatto io, sappi che le vendette trasversali non sono più nel tuo stile da quando è uscito il sequel del Testamento!

Siccome sono un’illuminista, non mi perdo d’animo e decido di curarla: brioche alla crema della pasticceria Bartoli.
Passo al capezzale di Wally interminabili ore. Lei mi spiega con la pazienza e la dolcezza che la contraddistinguono (improperi incomprensibili nella lingua di DeCrescenzo) che non sta male per farmi un dispetto e che preferirebbe stare bene, ma proprio non ce la fa. Io annuisco, ma ho la faccia da “vaffanculo, non hai niente, non puoi stare così male per un po’ di mestruazioni” (io faccio parte del consesso delle stronze che non le sentono neanche, ancor di più quando ero giovane).

Verso le undici, stremata più dalla mia presenza angosciata che dal dolore, si tira su e ci incamminiamo, come da copione, zaino in spalla e cicca in bocca.
Dato che non avevamo intenzione né di mangiare né di bere, mi è ora oscuro cosa avessimo portato con noi negli zaini, eccezion fatta per le siga e un mazzo di carte francesi senza 8, 9 e 10: si sa mai che nell’attesa ci scappi una cirulla.

Prima delle dodici siamo davanti ai cancelli della sud, noi e tutta la popolazione della Lombardia, a occhio e croce.

Io avevo diciotto anni, incondivisibili capelli biondi e le unghie rosicchiate, ma per il resto ero uguale ad oggi. Lei pure era uguale ad oggi, ma in un altro senso: lei era già bella.
Io ho sempre avuto migliori amiche strafighe: del teorema “dato un cesso x, esiste almeno una amica figa y“, io sono x. Sarebbe stato anche facile andare al traino in virtù della dicotomia “quella bella”/”quella simpatica”, ma le mie amiche sono anche molto simpatiche, più simpatiche di me, quindi quando uscivamo mi conveniva portarmi da leggere.
In virtù delle doti di Wally, come previsto, dopo cinque minuti iniziamo a rimorchiare. Cioè: lei rimorchia, io assisto con la faccia da “sei un orrendo nanetto peloso e non ti darei neanche quella di Patti Scialfa, ma lo stesso non è carino che tu mia dia le spalle, ed è anche stupido, perché la mia amica se ne accorge e non gradisce”.

Ci siamo sempre divertite molto a studiare e commentare gli approcci, ma la nostra attività favorita era fare ipotesi irripetibili e inverificabili su dotazioni e prestazioni dei candidati, basate sul presunto rapporto geometrico esistente fra le parti del corpo.
La fisiognomica del belino è fondata, appunto, sull’assunto che il corpo umano ha una sua armonia di proporzioni, perciò, se la testa è tipicamente un settimo dell’altezza, allora ci deve essere una parte del corpo in rapporto fisso con il belino, misurando la quale è possibile conoscere a priori le misure del candidato, valutando meglio quanta corda dargli. Da alcuni anni abbiamo entrambe interrotto le ricerche poiché, avendo una relazione stabile, ci è passata la voglia, ma possiamo dire di aver dedicato la nostra gioventù alla scienza. Eravamo a un soffio dal trovare la formula, e comunque – lo dico affinché le mie giovani lettrici non perdano tempo, e per raccogliere eventuali altre testimonianze a sostegno o confutazione della nostra ipotesi – ha quasi sicuramente a che fare con il naso.

Insomma, dopo aver misurato teoricamente il pene di mezza Lombardia, qualcuno decide che si possono aprire i cancelli, ed entriamo.

Lo stadio Luigi Ferraris è bellissimo, sembra uno stadio inglese: rettangolare, senza pista di atletica e con le torri rosso mattone.
Splende un sole primaverile che è una delizia: caldo, ma che non scotta, sembra una carezza. Io sono infastidita dopo quaranta secondi: fa caldo, c’è troppa luce, la plastica di protezione al manto erboso riflette i raggi come la neve di Cortina, non posso leggere (avevo raccattato una pagina di giornale, strada facendo), non posso giocare a cirulla, non posso dormire e non posso parlare, perché la mia amica, invece, dorme benissimo. Meglio se mi corico anche io, con lo zaino sotto la testa e il cappello sulla faccia alla Trinità. Inizia qui la mia lunga tradizione di dormite pre-concerto.

Poi mi vibra il culo, e ancora non so come ho fatto a capire e a reagire così bene e così in fretta.
Non l’ho mai fatto in vita mia e non sono più stata capace di farlo, ma sono contenta di esserci riuscita in quel momento. Un istante più tardi tutto lo stadio è in piedi,  assiepato verso il palco, e io pure, con lo zaino in una mano, Wally nell’altra, in quarta fila sotto il microfono di Clarence.
Bel colpo, Larry, bel colpo.

Passata l’agitazione, ci guardiamo intorno per controllare se abbiamo raccattato tutto e capire cosa sia successo: non abbiamo perso niente, la posizione è buona, peccato che quello davanti è un po’ alto, ma insomma, siamo due nane, un po’ ce l’aspettavamo. Speriamo di non avere degli stronzi dietro…
Vediamo un po’: che facce hanno quelli dietro?

Ah però. La peppa!
Bei nasi!

Sono tre, uno è interamente interessato a Springsteen e non ci cagherebbe neanche se fossimo due lesbo-pornostar ungheresi, ma tanto è il meno carino.
Degli altri due, quello che piace a Wally inizia a fare il cascamorto con Wally, quello che piace a me gli regge bene il gioco e mi tiene occupata quanto basta.
È nero come la notte, con gli occhi vicini, il mento sfuggente, bello che mi scappa continuamente da ridere; meno male che fanno gli spiritosi e posso passare per una normalissima oca.


[ovviamente questo è solo un esempio]

È che io faccio così: se trovo che uno sia carino, gli rido in faccia.
Mi capita da quando conosco Wally, perché lei sa prima di me quando uno mi piace, e mi prende per il culo dandomi vistosissime gomitate (la cosa mi ha sempre dato un fastidio nero, perché anche se non ci credete, io sono capace di subire violenti accessi di timidezza, e non è proprio il caso di attirare l’attenzione su di me in certi modi, in certi momenti), così quando vedo uno attraente, anche se sono da sola, automaticamente penso a quello che lei farebbe o direbbe e mi scappa da ridere.
Dev’essere per questo che, a cirulla, tanto siamo ossi duri nell’individuale, tanto siamo pippe nel doppio: io mi faccio sgamare prima, molto prima che lei solo decida che segno fare.

Resterò infatuata di questo Gassman al tartufo (è di Alba) per 1839 giorni, anche se dopo le prime settimane la libido subisce un drammatico tracollo perché facciamo la cazzata di diventare amici.
Poi, il 23 giugno 2004, sempre a causa di Bruce, ho incontrato Zzi, con il quale, due anni dopo, lo abbiamo messo a sedere al tavolo dei testimoni.

Tra un aulin e un panino con la cotoletta della nonna, le ore passano. Svengo poche volte, e Wally, sebbene il replicante di Bon Jovi faccia di tutto per distrarla, ottenendo anche risultati apprezzabili, veglia su di me e non permette a nessuno di farmi male, né tanto meno di allontanarmi dalla prestigiosa posizione.

E alla fine arriva Bruce.
Ci era sembrato vecchio e, a ripensarci adesso, quindici 0 vent’anni fa era molto più vecchio di com’è oggi: più ciccio, più stanco, meno energico e meno partecipe. Troppa Patti, forse.
Quel giorno, però, ci era sembrato un miracolo poter assistere – noi, nati dopo l’allunaggio – a un concerto della E-Street Band.
Pensavamo di essere nati troppo tardi per sentire Darkness dal vivo, e invece abbiamo sentito anche Jungleland.
La strepitosa scaletta della serata che ha cambiato la mia vita si trova qui.

Ho scoperto in seguito che hanno visto per la prima volta Bruce quella sera anche diversi altri miei amici, che all’epoca non conoscevo, mentre Zzi lo aveva visto a Barcellona solo due mesi prima. Chissà quanti festeggiavano quel giorno l’undicesimo anniversario di Torino’88.
Se mi avessero detto che tredici anni dopo avrei rivisto la E-Street Band ancora nella mia città, eppure quasi seicento chilometri più a est, e per giunta con un marito, non ci avrei creduto, ma non mi sarei messa a ridere tanto quanto al pensiero di incontrare il nipote di Clarence Clemons di fronte all’ingresso della questura.
Queste, però, come le code di giorni e la persecuzione in tutta l’Europa, sono in fondo le cose meno strane.

Quello che i fan di Springsteen sanno e che i non-fan non immaginano, è che la vita da fan regala incontri, esperienze, amicizie e avventure che restano embricati nell’esistenza.
Più di quello che incide sui dischi, più dello spettacolo che tiene dal vivo, ci entusiasmano e ci rendono pazzi di Bruce tutte le infinite, piccole belle cose che negli anni ci ha portato.

Per me, e per un sacco di altri fan, oggi è l’anniversario di un avvenimento che ci ha cambiati (anche a causa della choccante camicia di Garry Tallent), e questa è la nostra canzone

4 thoughts on “My (lo-lo lo-lo-lo) love will not let you down

  1. rudi

    io la fila da ricordi la feci dalla mezzanotte…….per poi prendere il biglietto e rivenderlo a più del doppio……bagarinaggio consapevole

  2. Alessandro

    Una bellissima storia di come nasce un sincero amore :-)
    Comunque d’ora in poi starò attento se una ragazza indugia troppo a guardarmi il naso…

  3. Otti

    “la vita da fan regala incontri, esperienze, amicizie e avventure che restano embricati nell’esistenza.
    Più di quello che incide sui dischi, più dello spettacolo che tiene dal vivo, ci entusiasmano e ci rendono pazzi di Bruce tutte le infinite, piccole belle cose che negli anni ci ha portato.”

    e poi my love.

    Colpo basso, colpo bassissimo mia cara.
    Ho le lacrime che premono e i peluzzi delle braccia che fanno la ola.
    Lo dico sempre anche io. Anzi no non lo dico ma lo penso intensamente. Lo sai vero?

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