Trattoria Nero di Seppia, Trieste [1]

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Meno male che c’è Zzi che mi porta a pranzo e cena fuori per festeggiare il mio compleanno [a proposito, sebbene io sia nata nel 1980 ho deciso di fare le celebrazioni ufficiali solo alla fine del 2012, lasciando trascorrere due lunghi anni di millantati preparativi, come per il cofanetto di Darkness….MENO SEDICI], così ho qualche spunto per portare avanti l’aspetto mangereccio di questo blog. Il comportamento di mio marito manifesta chiari sensi di colpa per avermi trascinato nell’inqualificabile mondo dell’orienteering, deviando così anche Larrycette.

Per la pausa pranzo, Zzi mi aveva romanticamente proposto di mangiare un buon panino col cotto caldo, vicini vicini sulla panchina dei giardinetti pisciosi, a guardare i bambini che si spaccano i denti cadendo dallo scivolo. La prospettiva è allettante [io sono un’estimatrice dei panini mangiati sulla panchina, più mi è permesso svaccarmi e più apprezzo il pasto], ma dato che lo scorso anno eravamo stati al Ritrovo Marittimo, non posso esimermi dal rinfacciargli che “quando mi amava” mi portava a mangiare il pesce.
E fu così che Larry si rovinò la sorpresa del pranzo del suo compleanno.
Anche quest’anno Zzi ha scelto un posto vicino all’Edicola, talmente vicino che potremmo scegliere un tavolo vista motorino di CP, ma optiamo per uno di quegli angoletti appartati da coppia clandestina, che mi piacciono tanto. Tendo a occultarmi alla vista degli altri avventori, quando vado a mangiar fuori, poiché la compostezza nel cibarmi non è una mia dote, specie da quando sono sdentata.
Il locale si chiama “trattoria Nero di Seppia”.
Il nome è un po’ sospetto: io non sono un’amante del nero di seppia, l’ho sempre guardato con estremo sospetto e quando l’ho assaggiato volevo chiamare mia madre e chiederle come cazzo fa a mangiare questa roba, ma poiché era di livello piuttosto basso il posto dove l’ho provato per la prima volta, ho deciso di sospendere il giudizio e dare al nero di seppia un’altra possibilità, anche se non necessariamente in questa vita.

L’interno è molto accogliente e curato. A differenza di molti ristoranti con menù ittico, qui i gestori non si sono sentiti in dovere di dipingere tutto in bianco e turchese, fabbricare trappole drappeggiando insidiosamente reti da pesca in ogni angolo o tentare di impalare gli avventori trapuntando i luoghi più impensabili di fallici simulacri di fari. Belle le pareti rosso cerasuolo scuro [“granata”; se non siete juventini, potete usare “granata”, che è più esatto] che ospitano due grandi lavagne di ardesia; sapete com’è: il ligure, quando vede ardesia, si sente subito a casa.
Peccato solo per il consueto florilegio di guide gastronomiche e atlanti dei vini, che probabilmente – nella testa di chi li espone – vogliono comunicare prestigio, competenza, erudizione, aggiornamento, trasmettendo il concetto che il cibo è una forma di cultura e conoscenza e la gastronomia una disciplina. È un’opinione e, in quanto tale, va rispettata; però, la mia è un’altra, opposta.
Per me la gastronomia fa sì parte delle culture, come un dialetto, un insieme di credenze o un corpus di canti popolari, e come tale può meritare di essere conosciuta e, se necessario, approfondita; ma non costituisce una forma alta di cultura, non trasmette sapere ai posteri, non determina progresso [se non su piccola scala].
Mangiare è un atto viscerale, istintivo e carnale. Nei secoli si è codificato secondo queste o quelle usanze ed etichette transformandosi in un atto sociale, ma la gioia immediata che dà sfamarsi con una pietanza di proprio gusto non ha niente a che vedere con il conoscere l’origine di un ingrediente o distinguere il più pregiato fra simili [questo, se mai, potrà servire a riprodurre la pietanza correttamente per provare nuovamente la gioia di gustarla]: lo trovo buono, quindi sono felice; di una felicità stupida e inspiegabile, piccola e insignificante, allo stesso modo in cui si è felici quando è bel tempo, quando ci si addormenta stanchi, o si fa la pipì dopo che scappava da un po’.
Se non esiste un premio nobel alla cucina, un motivo ci sarà.

5 thoughts on “Trattoria Nero di Seppia, Trieste [1]

  1. Larry

    UUAAAAHHH!
    Sì, mi hai beccata, ci andiamo, siamo già iscritti, non me la sono potuta evitare.
    Ma, grazie alla tua soffiata, saprò come fargli espiare la sciagurata iniziativa.
    SANTA SUBITO!

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