Parla con élja. Volentieri [2]

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Come immaginerete, sono da poco tornata da Parigi, romantica (quanto sporchissima) città i cui abitanti hanno un buffo difetto di pronuncia, eccettuando il quale non sono più incomprensibili dei furlani.

Ora che sono tornata a Trieste, la comunicazione dovrebbe essere più semplice, ma l’identità di idioma non è sempre garanzia di reciproca comprensione.

Per la serie “Grice era triestino” [mi riferisco sempre a Paul, non a George General – che comunque sarebbe più noto come Gryce -, ma credo non ci siano dubbi, poiché, trattandosi di me, si opta sempre per “quello che parla”,  mai per “quello che suona”], vediamo ora un esempio di implicatura di cui il Triestino medio fa un uso smodato e opposto a quello comune.

Volentieri.


Volentieri.

Nel resto della Penisola, che io sappia, questo avverbio significa pressappoco “con piacere”,  “con intenzione e atteggiamento positivo”.
Ad esempio, vediamo il dialogo:
“Vuoi accompagnarmi alla fiera del fai da te femminile di Vicenza, che altrimenti mi tocca andarci da sola perché mia madre ne ha le scatole piene?”
“Volentieri”, che significa “Nonostante la premessa poco incoraggiante,  sono contenta di venire con te al congresso semestrale delle zitelle inacidite”.

È utilizzato anche per esprimere rammarico nel declinare una proposta, ma in questo caso richiede di essere inserito in un contesto più ampio:
“Vuoi accompagnarmi alla fiera di Vicenza del fai date femminile, che altrimenti mi tocca andarci da sola perché mia madre ne ha le scatole piene?”
“Verrei volentieri, ma non posso perché la mia religione mi impedisce di farmi prendere a bastonate da vecchie ricamatrici e di farmi arrotare dalle valigie delle zitelle inacidite.  Se mi converto, ti faccio sapere, eh!”

Il Triestino, sublime nell’esprimere i concetti con fulminea sintesi, implica nel “volentieri” sempre ed esclusivamente la seconda accezione.
Poiché in triestino non esiste ambiguità, “volentieri” non è mai accompagnato da ulteriori informazioni e a seconda del contesto e del sistema di riferimenti, i parlanti possono intendere i reciproci impliciti che, comunque, non costituiscono che sfumature del significato, che resta inequivocabile e garantisce lo svolgersi della conversazione.

Alcuni esempi tipici:

Dal panettiere triestino, se il cliente è triestino:

“La me daghi quàtro s’ciopéte”
“Volentièri”
“Bon, la me daghi due bighe, alòra”
“Éjco”

significa

“Per favore, mi dia quattro panini all’acqua grandi ciascuno come un piccolo peperone” [ndr: questi panini sono detti “s’ciopéte”]
“Glieli darei volentieri, ma purtroppo ne sono sprovvisto”
“Va beh, mi dia due panini all’acqua grandi ciascuno come due piccoli peperoni attaccati, allora”  [ndr: questi panini si chiamano “bighe” o “bighe doppie”… non si capisce perché ribadire ‘doppie’, essendo una biga doppia il doppio di una s’ciopéta e non di una biga, e che non esiste la biga singola. In ogni caso, l’importante è che non andiate a chiedere bighe in Friuli, perché là vuol dire “belino” e potreste essere equivocati!].
“Ecco a lei”

Osservate come la conversazione procede snella e i parlanti si comprendono reciprocamente.

La tragedia si consuma quando l’interlocutore di chi usa il “volentieri” non è triestino:

Dal panettiere triestino, se il cliente non è triestino:

“Per favore mi darebbe quattro panini all’acqua piccoli?”
“Volentieri”

… aspetta… e aspetta…

E il panettiere ti guarda e non si muove. Sembra avere udito la richiesta ed esserne perfino contento, ma non agisce. E ti guarda come se si aspettasse un incoraggiamento.
E tu attonita ad aspettare una sua iniziativa.
E lui ti guarda sempre più spazientito.
E questo campo/controcampo da Trilogia del Dollaro si consuma per interminabili secondi finché lui non sbotta

“Ghe go dito VOLENTIÈÈÈRI”

Dal tono capisci che c’è qualcosa che ti è sfuggito, allora ti fingi figa, sorridi fino alle capsule, ti avvicini svampita al bancone e tenti il tutto per tutto:
“Prego?”
E lui, ormai convinto di avere a che fare con una decerebrata:
“G’ho dito: volentieri. Non g’ho!”
“Ah. Certo. Scusi… Allora, per favore, mi dia due di quei panini all’acqua, perfettamente indentici a quelli che avrei voluto, solo grandi il doppio”
“Alòra la vol bighe?”
“Suppongo, sì”

Dopo alcuni anni trascorsi senza riuscire a fare la spesa o acquistando qualsiasi cosa ti rifilino i commercianti approfittando della tua impreparazione, nasce nella tua mente di foresto il sospetto che possano esserci significati sconosciuti di lemmi conosciuti e sei pronto a creare un nuovo sistema semantico.

Ad ogni modo, Grice, se non era Triestino, deve aver tentato almeno una volta di farsi dare quattro s’ciopete.


 

Quante cose so su Trieste, vero?

Eh, sono un’espertona, ho perfino scritto una guida!

Seriamente: la conosco bene e la amo molto, consiglio a tutti almeno un soggiorno breve, in questa guida ho raccolto l’indispensabile per una visita di un giorno o due.

Si chiama 2(0.000) passi a Trieste ed è disponibile qui

8 thoughts on “Parla con élja. Volentieri [2]

  1. Otti

    a me il fraintendimento col triestino laconico e con uso (im)proprio di termini altrimenti di uso comune è capitata, oh se è capitata.

  2. Eric

    Bel post, quasi quasi andavo insieme dal rider! Ma son bastanza sicuro (eufemismo), da indigeno, che se scrivi go, no g’ho (da gaver). W!

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