Pasqua a Trieste: pinza, titola e presnitz

      9 Comments on Pasqua a Trieste: pinza, titola e presnitz

È Pasqua. Sono a Trieste. Sarebbe un blog a tema culinario.
Io – quasi quasi – vi spiazzo tutti e vi butto là un bel post divulgativo sui tipici dolci pasquali della tradizione triestina.

Naturalmente anche fra Triestini ci si scambiano uova di cioccolato e colombe. L’uovo, poi, è un simbolo tipico della cultura tedesca (in Germania e in Austria i genitori nascondono le uova in giardino e la mattina di Pasqua i bambini le vanno a cercare) e si sa che, da queste parti, l’Impero non è mai del tutto tramontato.

I dolci più strettamente tipici della Pasqua triestina, però, sono la pinza, la titola e il presnitz.

Pinza e presnitz sono molto popolari e si trovano, ormai, tutto l’anno.

Soprattutto il presnitz si mangia tradizionalmente anche a Natale e non c’è forno, bar o pasticceria del centro che non lo esponga in vetrina (insieme all’altrettanto famosa putizza) per invogliare i turisti a portarsi a casa una specialità locale.

Presnitz

Si tratta di un dolce pesantissimo, praticamente fatto di antimateria, che ha l’aspetto di un salvagente, ma che sulle navi dev’essere vietato perché farebbe colare a picco una piattaforma petrolifera.
Consiste in un “guscio” di pasta croccante, simile ad una pasta sfoglia compatta, farcito di ogni ben di dio, rigorosamente ipernutriente: frutta secca mista, frutta essiccata mista, liquore e – mi pare, almeno in alcuni casi – pure cioccolato.
Francamente non capisco perché alla maratona mi sono portata datteri e integratori: se avessi mangiato mezza fetta di presnitz la sera prima, avrei avuto energie sufficienti a concludere la Cento chilometri del Passatore.

Buono è buono, eh.
Non pensate che non sia squisito. Solo, bisogna avere stomaco e palato giuliani per goderne appieno.
Come tutti i dolci triestini, infatti, in bocca è poco dolce, se paragonato alle specialità di pasticceria di altre zone d’Italia, e ricorda parecchio le preparazioni austriache o ungheresi, con cui evidentemente condivide origini e ingredienti tradizionali. Inoltre, reca in sé anche la tipica pesantezza balcanica, che solo apparati digerenti forzuti e spavaldi possono affrontare senza timore.
Insomma: va assaggiato, ma potrebbe non essere amore a prima vista. Io ho impiegato circa cinque anni ad apprezzarlo, più o meno il tempo che mi ci è voluto a digerire la prima fetta che avessi mai mangiato.
In compenso, accostandosi ad esso con rispetto e una buona dose di grappa per buttarlo giù, con il tempo si imparerà ad apprezzarne le virtù e a guardare il minaccioso ciambellone con aria sempre meno impaurita.

 

Pinza

È il più innocuo fra i dolci triestini e credo abbia profonde radici nella tradizione pasticciera dell’Italia del nord-est, tanto che in provincia di Pordenone, in Veneto, e forse anche in Trentino, è diffuso un dolce analogo, noto come “focaccia”.
Essendo io di Genova e intendendo con “focaccia” tutt’altra cosa, sposo la causa triestina per cui l’origine del dolce è a est del Timavo, il nome più appropriato è “pinza”, e tutto il resto sono solo imitazioni. Non fa niente se la Storia mi smentisce.

Si tratta di un dolce senza farcitura, una pasta soffice e sfioccata, ricca di burro e profumata con poco liquore e scorze di agrumi.

L’aspetto è simile a quello della putizza, ma quest’ultima è farcita, mentre la pinza è un semplice, gigantesco, panino dolce.
I più golosi la usano per fare un sandwich farcito di cioccolato dell’uovo, ma pare che la morte sua sia il prosciutto cotto tagliato a mano, spolverizzato di cren (radice di rafano).
“Che anguscia!” – diranno subito i miei piccoli lettori che pensano al connubio dolce-salato fra il prosciutto col cren e la pinza dolce. Comprendo lo sconcerto e confesso di non aver mai provato l’abbinamento (ma spero di farlo in questi giorni), tuttavia, avendo provato sulle mie papille come sia insospettabilmente buono il cotechino con lo zabaione, non riesco a non riporre una certa fiducia nell’accoppiata pinza-porco.

 

Titola

La grande delusione della mia gioventù. Un dolce onestamente inutile, per coloro che non sono immersi nella sua tradizione.
È una treccina di pasta dolce-ma-non-troppo, perché sempre di dolce triestino si tratta, abbastanza somigliante al pan brioche. A un’estremità, la treccia si allarga per accogliere un uovo colorato.
Non mi soffermerò sulla forma smaccatamente fallica di questo dolce, che ancora, dopo tanti anni, mi impedisce di addentarlo a cuor leggero.

Il mio problema con la titola – strano a dirsi – risiede nell’uovo, che è sodo.
Solo a un triestino poteva venire in mente di piazzare un uovo sodo alla fine di un dolce. Perché? No te vedi che no taca?
Non mi sono ancora ripresa dalla delusione della prima volta, quando pensavo che fosse un uovo di cioccolato e zucchero e invece era un normalissimo uovo sodo.
Ribadisco: io vado pazza per le uova, e amo alla follia quelle sode, ma perfino una cosa sublime come l’uovo sodo può non sposarsi bene a qualcosa, e per il mio palato occidentale una di queste cose è la pasta della titola.

Vi risulta che la Bauli faccia i pandorini con un uovo sodo conficcato dentro, tipo nido del cuculo?
Vi risulta che ci sia un uovo sodo alla fine del flauto di Banderas?
No, infatti, neanche a me.
Lungi da me prendere volgari industrie dolciarie come modelli di alta pasticceria, ma sospetto che in anni e anni di studi sul consumatore, una qualche grande azienda si sarebbe accorta del desiderio di brioche+uovo sodo. Se fosse un’idea vincente – intendo dire – qualcuno l’avrebbe fatta propria; invece, negli scaffali dei supermercati stranamente mancano prodotti come Kinder-Stecca-all’uovo, Cazzetti Mulino Bianco e Coccodì Motta, e io, sinceramente, non riesco a ritenerla una coincidenza.

 

Perché a Pasqua

Ma perché sono proprio questi i dolci tipici della Pasqua, a Trieste?
Ve lo siete mai chiesto?
Io no, mai, l’ho sempre preso così come stava, con un atto di fede, come i teoremi di Euclide.
Recentemente, però, l’ho scoperto per caso e sono molto contenta di averlo saputo, così ora lo dico anche a voi e vi faccio vedere che lo so (forse era più astuto fingere di averlo sempre saputo… va be’, prossima volta!).

Presnitz, titola e pinza sono i simboli della passione di Cristo: la pinza rappresenta la spugna imbevuta di aceto con cui i soldati romani facevano bere Gesù sulla croce, il presnitz è la corona di spine e la titola (eh già) simboleggia il chiodo.

Mi insegna @ardovig su Twitter che, per l’appunto, l’uovo nella titola deve rigorosamente essere rosso (e non diversamente colorato come ultimamente va di moda), perché rappresenta il sangue di Cristo.

Inoltre, sempre su Twitter, apprendo da @fdomenella che il/la/lo challah della tradizione ebraica sembra essere molto simile e, data la storica presenza di una nutrita comunità ebraica a Trieste, anche se gli impasti sono diversi, non riesce a sembrarmi una coincidenza.

Non siete più contenti, adesso?
Sì, insomma, sono dei dolci-pacco lo stesso, ma volete mettere che gusto a saperne il significato, casomai vi capitasse di assaggiarli?


 

Per fortuna, Trieste offre molti buoni motivi per essere visitata, a prescindere dai discutibili dolci tradizionali.
Gli esempi più eclatanti si trovano nella mia guida

Il centro città si gira a piedi, per questo ho intitolato la guida 2(0.000) passi a Trieste.
È disponibile qui

9 thoughts on “Pasqua a Trieste: pinza, titola e presnitz

  1. Alessandro

    A casa mia, a Mariano del Friuli, quindi Friuli orientale che condivide con Trieste il fatto di essere stato sotto l’Austria fino al 1918, la pinza è il classico dolce della tradizione pasquale di un tempo. Si chiama fuiase (focaccia) e c’è anche la versione simile alla titola, ovvero si crea una fuiase a forma di gallina con al centro un uovo sodo. Tradizione contadina!

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  5. Rina Zillino

    Le uova sode: anche noi in Calabria, profondo sud (RC), infiliamo le uova sode nei “campanari” e nei “cosi dhuc’i Pasca”. Ti assicuro che ci stanno benissimo, la base dolce può essere di pasta frolla un po’ forte, da inzuppo, (sul Tirreno) o di pasta lievitata tipo pan brioche, ma meno soffice, sullo Jonio. Sarà perché i lembi più lontani del nostro lungo e bellissimo Paese ogni tanto si toccano come le cocche di una tovaglia da tavola… Buona Pasqua!

  6. miriam favretto

    beh dove si trova questa benedetta ricetta della PINZA ??????????????????????????? non la vedo nessuna parte, AIUTO qualcuno mi manda il WEB per piacere grazie

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