Ristorante “Da Nando”, Mortegliano (UD) – Pranzo di nozze di Elisa & Max


La Giraffa mi  ha fregato il post sui buoni propositi per il nuovo anno,  e comunque , nel mio caso, possiamo ancora considerare validi quelli – mai usati – per il 2005 (gli ultimi fatti), così, non mi resta che iniziare l’anno in maniera davvero inusuale, cioè mantenendo una promessa: questo primo post sarà la recensione di un locale.
Non di un locale qualsiasi, e non in un’occasione qualsiasi, bensì del locale che ha spodestato Suban dalla vetta dei miei pensieri:

Ristorante “da Nando”, Mortegliano (Udine)

Qui, infatti, Elisa&Max hanno scelto di invitare i loro ospiti per festeggiare il loro matrimonio, e qui la mia fede in una vita sana e priva di eccessi ha vacillato. Più di una volta mi sono interrogata sul senso di una vita a dieta, e più di una volta sono stata attirata dal lato oscuro della forza. In fondo, potrei diventare una rockstar, fare i miliardi e consumare qui ogni pasto; probabilmente morirei presto, ma non è questo il destino di una rockstar?

Progetti per il futuro a parte, ecco come si è svolto il ricevimento del più-bel-matrimonio-cui-sono-stata-dopo-il-mio (Giraffi, vi hanno spodestati di un soffio!).

Ricevimento di nozze da Nando a Mortegliano

Aperitivo di benvenuto

Le delizie che vedete nella foto di una pagina del menu ci accolgono appena arrivati.
La giornata è splendida, il cielo terso come non si è mai visto in Furlania (sul serio, ai bambini hanno dovuto spiegarlo) e la temperatura è mite. È un piacere stare in giardino (il ricevimento ha luogo presso l’albergo dall’altra parte della strada, non presso la sala ristorante, del quale vedete un’immagine tratta dal sito del locale) e la sposa si permette qualche foto senza soprabito.

Siccome io sono vestita come una baldracca, non mi tolgo il cappotto, il che mi consente di imbibinarmi di tutto quello che trovo senza che si noti alcun gonfiore addominale (mentre, in realtà, sento già la cerniera che tira).

Poco dopo il nostro arrivo, incontro un gattino (sapete tutti che io desidero un gatto più di un figlio, anche senza considerare il fatto che desidero un figlio quanto un dito in un occhio) e, approfittando della breve assenza di Zzi, lo importuno subito, cercando di accarezzarlo. Quando rialzo la testa, mi accorgo che tutte le foto che sentivo scattare erano rivolte a me, ma l’illusione dura poco. Non è che piaccio al giovane fotografo, che pur mi ha mostrato le chiappe per metà della durata della messa, è che, come si affretta egli stesso a spiegarmi, il mio cappotto rosso è un soggetto imperdibile, immortalato contro lo sfondo della facciata gialla, con questa luce…
Umiliata nella mia vanità, mi getto sui gamberi fritti.

Manco clamorosamente i formaggi e la polenta (il più grande rimpianto della mia vita) e scanso sapientemente la lumaca sul purè (chiedere che tolgano la lumaca per mangiare solo la tazzina di purè pare eccessivo perfino a me) e le cappesante al gratin, ma tutto il resto non ha scampo dalle mie fauci. Ed era tutto squisito (anche perché fritto al 90%).
Credo di aver mangiato da sola un peschereccio di gamberi; è proprio per colpa loro che ho mancato la polenta (due mani e la bocca piene, e Zzi che volutamente non recepisce il mio sguardo e non muove un dito per procacciarmi una polentina), ma le sarde in saor mi hanno consolata. Soprattutto mi hanno consolata i camerieri – Giuseppe in particolare – che hanno passato la giornata a riempirmi il bicchiere.
Ripensandoci, credo che gli altri inviatati siano morti di sete, perché è impossibile che sia rimasto anche qualcosa per loro.

 

Antipasti a tavola

Come detto in precedenza, una volta messo piede in sala da pranzo, non ho potuto non spogliarmi, e si sa che quando io faccio una cosa, la faccio fino in fondo. Così, una volta appeso il cappotto all’attaccapanni, ho preso in prestito un paio di tovaglioli per coprirmi le pudenda con essi e guadagnare rapidamente il mio posto a tavola.
Cercando di non mettere le tette in faccia a Veratesoro e di non posare sulla sedia i culoni scoperti, ho consumato con contegno – senza comunque mancare di manifestare gradimento – le prime pietanze.
Il branzino era squisito, ma di certo la triglia e il salmerino non erano da meno, preparati con sapienza e diligentemente spiegati da Giuseppe, che intanto continuava a versarmi vino.

Era chiaro che, la notte precedente, gli fosse apparso in sogno Tom Waits e gli avesse detto “domani fa’ ubriacare una puttana” e che lui, dandomi un’occhiata, avesse comprensibilmente immaginato che lo fossi, così, per facilitargli la missione, a un certo punto domando di assaggiare la birra; “ma giusto un ditino, per curiosità”, mi preme specificare. Terminato il primo ditino, il mio calice si è riempito e, per quanto continuassi a bere, non si è più svuotato.

Poi è arrivato lui, il mio favorito, e poco c’è mancato che mi mettessi a piangere dalla gioia.
Il filetto di maiale era leggermente affumicato, ed era morbido e tenero come il bacio di un bambino che sta cambiando gli incisivi (se non avete mai preso un bacino da un bambino che sta cambiando gli incisivi, non potete immaginare una cosa altrettanto cedevole ed emozionante). Posso, per mia fortuna, affermare di avere mangiato tanto, nella mia non più brevissima vita, e per giunta, posso affermare anche di aver mangiato anche tanto bene, ma faccio fatica a ricordare cose più buone di questo filettino di maiale. Se il genio della lampada mi desse la possibilità di rivivere un evento della mia vita, potrei senza esitazione optare per l’assaggio di questo piatto, e in culo a Springsteen che mi bacia ad Helsinki.

 

I piatti principali

Sono deliziose anche le altre portate.
Il raviolo di cotechino con il kren è un’idea semplice, ma io non l’avevo ancora avuta, e devo ammettere che è di ottimo effetto.
Gli gnocchi di zucca sono morbidi e profumati, sul rombo – perdonatemi – ho il vuoto pneumatico in testa.
Sono sicura che mi sia stato servito, e doveva certamente essere squisito come il resto delle portate, altrimenti ricorderei la differenza, ma non ho alcun ricordo di esso. Non ne ricordo neppure l’aspetto e la presentazione, figuriamoci consistenza e sapore; non ricordo neppure cosa stessi facendo mentre lo stavamo gustando. Penso di poterne dedurre che bevevo.

Nel frattempo, non paga dell’abbondanza e della bontà delle portate servite, spazzolo per ben due volte il piattino del pane, tutt’altro che micragnoso, perché i grissini e i panini mignon che vi sono adagiati sono troppo appetitosi e fragranti per essere solo guardati.

Dessert e fine pasto

 

Ricordo, invece, benissimo i cjalçons, che sono una specialità furlana-che-più-furlana non si può, simile a dei pansoti de boraxe, però con il cioccolato.
Suppongo che tradizionalmente siano un primo piatto (perché se i triestini possono consumare degli gnocchi di prugne, con zucchero e cannella, prima dello stinco di maiale al forno, di certo i friulani non vorranno essere da meno), ma qui sono stati il graditissimo trait d’union con i dolci.

La tortatradizionale, con panna, glassa e crema inglese – era soffice e di sapore genuino, del tutto priva di quei profumi artificiali che capita di sentire nei dolci delle grandi occasioni, che vogliono a tutti i costi fare colpo, stufando al terzo boccone.

Poiché il pranzo era stato lungo e generoso e, nonostante la straordinaria capacità del mio stomaco, ero in verità sazia ancor prima di mangiare le sarde in saor; sono passata, allora, al buffet della frutta fresca, disertando i bicchierini dello chef, con il preciso scopo di prendere tempo, dare ai miei fidi ed efficienti succhi gastrici il tempo di fare posto, e affrontare i suddetti bicchierini in un momento più propizio.
Affinché non mi abbandonino le forze, mi intrattengo con dosi supplementari dei deliziosi sorbetti.

Al colmo del vizio e della dissolutezza, ricevo, dopo aver proclamato di essere troppo pigra per sbucciarmelo da sola, un mandarancio già mondato direttamente al mio posto. Zzi afferra una bottiglia e cerca di fingersi un cameriere pur di passare per uno che non mi conosce.

Intanto, i posti a tavola si mescolano e si chiacchiera piacevolmente con gli altri invitati. Servendoci il caffè, dopo cioccolata e rum, Giuseppe (tra un po’ scappo con lui) ci ricorda che non abbiamo ancora assaggiato i bicchierini dello chef. Le ragazze gli oppongono una garbata, ma decisa opposizione, mentre in me trova un fertile terreno e uno stomaco pronto. Il mio preferito è quello con la base all’amarena e la granella di pistacchio, ma anche quello alla nocciola e quello guarnito con le micro-praline al cioccolato sono irresistibili.

Lascio dietro di me una scia di devastazione di coppette da dessert, bicchierini di sorbetto, piattini del pane e, ovviamente, piatti da portata, ma non riesco ad avere ragione dei bicchieri, che, beffardi, svettano sempre colmi attorno al mio piatto.

Ora il mio astutissimo piano è convertire Elisa&Max ad un’altra religione, affinché si risposino secondo un altro rito e possiamo godere di un altro ricevimento qui e di un’altra incantevole bomboniera, come questa piccola – solo nelle dimensioni – opera d’arte:

5 thoughts on “Ristorante “Da Nando”, Mortegliano (UD) – Pranzo di nozze di Elisa & Max

  1. cri

    Che meraviglia! Per riuscire a gustare tutto questo ben di dio dovrei suddividerlo in otto pasti!
    Credo che il tuo stomaco sia un po’ come la borsa di Mary Poppins, altrimenti non si spiega il miracolo di farci stare tutto dentro! :)

  2. Eli

    Che meraviglia questo post! Pensa che ieri siamo stati invitati dal ristorante ad una cena gentilmente offerta ai “novelli sposi” al rientro dal viaggio
    Che dire … Proprio un peccato!

  3. Larry Post author

    Eli, guarda, se non ve la sentite, noi ci sacrifichiamo al vostro posto.
    Sai? Hai fatto il commento numero 1900 e hai vinto una cosa, ma ancora non posso rivelare cosa perché farò un annuncio in pompa magna.

    Cri, mi sa che se guardiamo il mio punto vita facciamo presto a scoprire dove ho messo tutta questa roba. In compenso, a Carnevale potrò vestirmi da Majin Bu senza spendere un soldo.

  4. Pingback: Pane guttiau, pecorino sardo e formaggio: antipasto della cena sarda | LARRYCETTE

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