Ristorante Spacapan, Komen 85, Komen [SLO]

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Dopo aver prelevato Zzi dalle insidiose steppe della Lipica Open, a bordo della Giraffomobile ci dirigiamo spavaldi a pranzo da

Ristorante Spacapan, Komen [SLO]

Inspiegabilmente puntuali, giungono immediatamente in loco anche Zucchero e Josephine, lei trendissima in total look buganville, lui un po’ giommetra in libera uscita, ma chissenefrega, è Josephine, è carino lo stesso.

Il servizio è impeccabile: la tavola è abbondantemente occupata da tante stoviglie quante abitualmente io uso in una settimana, i tovaglioli sono lindi e i bicchieri cantano. C’è solo una composizione a centrotavola di acqua e fiori dove già so che finirà annegato qualche boccone, nel passaggio da un commensale all’altro, ma non è una mancanza dell’apparecchiatura, anzi: è un atto di fiducia verso gli ospiti.

Senza ulteriori indugi il cameriere ci elenca le proposte del giorno.

Presi singolarmente possiamo essere considerati clienti difficili perché – chi più chi meno – siamo piuttosto esigenti.
Messi insieme siamo la comitiva che non augurerei a nessuno di servire, quel genere di gruppo che da cameriera detesto, e al quale, da cliente, mi vergogno di appartenere, ma nonostante i ripetuti sforzi, non riusciamo a cambiare.

Siamo la masnada del “Mi ripete gli antipasti?” “Non ho capito il primo….no, l’altro” “Mi porti il secondo che ha detto…no l’altro….no, ah no, allora il terzo…no…ecco quello” “Ah, no scusi, ho cambiato idea, posso cambiare il quarto con il quinto?”.

È sorprendente come in un insieme di umani adulti costituito da più di tre individui a tavola, di cui almeno uno donna, la capacità di prendere decisioni sembri improvvisamente bandita. All’aumentare del numero di commensali, la capacità di operare scelte diminuisce e diminuiscono anche quella di comprendere la propria lingua e formulare frasi di senso compiuto. All’improvviso, persone in grado di costruire ponti ed edifici – per non far riferimento a chi si occupa di gestire gare d’appalto e di interloquire con il prossimo in diverse lingue – non sono in grado di fare dei semplici esercizi di completamento delle frasi a opzione ristretta.

In fondo si tratta semplicemente di completare il sintagma “Per favore, vorrei” con una delle poche alternative fornite, per giunta tutte afferenti al medesimo campo semantico, ovvero tutte pertinenti all’insieme delle “pietanze che si consumano abitualmente come antipasto/ primo o secondo piatto/ dessert, che non sono preparate con prodotti ittici, né esotici”. Escludiamo quindi tutto ciò che non si mangia, che si mangia ma non è nostrano, che si mangia, è nostrano, ma proviene dal mare o dal lago, si mangia, è nostrano, non proviene da bacini idrici, non è consuetudine consumarlo a tale momento del pasto. Bisogna solo nominare uno degli antipasti [o primi, o secondi, o dessert, ma – si badi – sempre una categoria alla volta, a prova di cerebroleso!] appena menzionati.
La memoria a breve termine necessaria per compiere questo tipo di esercizio è inferiore a quella degli echinodermi. Test scientifici per valutare i danni ai lobi frontali subiti da pazienti colpiti da tumori al cervello o da lesioni ischemiche richiedono competenze logico-linguistiche più avanzate [non è un’iperbole: ho letto gli articoli, posso dimostrarlo È drammaticamente vero, almeno per quanto riguarda i pazienti].

Le comitive a tavola regrediscono al livello dei protozoi e stentano a fare la più semplice delle ordinazioni.
Quando il cameriere, che generalmente sopporta tutto questo con consumata, bonaria superiorità, porta i piatti in tavola, la comitiva non è in grado di riconoscere le proprie scelte e nessuno si fa avanti per reclamare la propria pietanza. Ora il cameriere è comprensibilmente meno bonario perché ha in mano sei pesanti piatti roventi e davvero io proporrei questa categoria per il Nobel per la pace perché non si è mai sentito che un cameriere – pur avendone ben donde – abbia mai fracassato con violenza le stoviglie sulle inutili teste dei propri clienti.

Con delle modalità che quindi superano di gran lunga la nostra capacità di intendere e volere, abbiamo la [buona] sorte di gustare:

Lingua salmistrata: ingiudicabile; l’ho presa solo io, m’è piaciuta da matti, ma ho trovato da poco il coraggio di mangiare la lingua [era la terza esperienza], mi sembra ancora sempre tutta buona.

Salumi e formaggi tipici: saporiti, ma più rustici di quelli che si consumano in Italia [leggi: a ovest di Aquileia]; decidano i miei piccoli lettori se è un pregio o un difetto.
Chicche con le primule: molto gradevoli, le primule non sanno di niente, ma l’abbondante formaggio e il copioso burro che le avvolgevano erano davvero godibili.

Risotto con le punte di asparagi: molto equilibrato, servito in un piccolo cartoccio monoporzione.

Un altro primo che non mi ricordo, ma che mi pare avesse la ricotta affumicata e avesse fatto molto contenti quelli che lo hanno scelto.

Coniglio in casseruola con le verdure: attesissimo perché – inspiegabilmente – al cameriere ne è sfuggita la richiesta [solo questa, miracolo!] e temporaneamente rimpiazzato da un graditissimo panino col crudo. °°° Larry e Sarma condannano e si dissociano dal consumo del coniglio e ne rifiutano a priori qualsiasi preparazione, perciò, questa, come altre barbarie culinarie, non può e non vuole essere recensita.

Filetto a tutti i modi, tra cui spicca quello astutamente scelto da me, ovvero cotto con il vino terrano e il prosciutto crudo, servito con un mastodontico contorno di broccoli e patate e polenta [non è una ripetizione: in Slovenia e Istria “broccoli e patate” è un contorno unico, non si possono separare; secondo me hanno creato un innesto e li coltivano direttamente insieme]; essendo molto buona la carne siamo soddisfatti anche dal filetto con le verdure e dal semplice filetto ai ferri, che i puristi del manzo preferiranno.

Torta al cioccolato farcita di cioccolata e ricoperta di cioccolata, guarnita con cioccolata [davvero avete bisogno di spiegazioni?].

Strudel di mele

Strucolo di ricotta.

Il caffè è [mi pare] Lavazza e non è niente male; io sono sempre diffidente del caffè in posti poco frequentati e/o con pochi coperti perché, a parità di bontà della miscela e prestigio del locale, l’uso della macchina è determinante e deve ancora nascere il ristoratore che si ricorda di fare un paio di caffè a vuoto per offrirne uno eccellente al cliente che lo ordinasse.

Pavidi, non prendiamo digestivi per riportare a casa le patenti, nonostante sia domenica pomeriggio.

Nel complesso è tutto molto buono e raffinato. Le materie prime e la presentazione dei piatti sono scelte ed effettuate con accuratezza, e si vede.
Il prezzo è un po’ più alto della media dei locali della zona, che per lo più sono trattorie, ma anche l’esperienza, nel suo complesso, è superiore.

Sono ancora talmente contenta che neanche mi scasso le balle a fare la scheda col punteggio!

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