Sarajevo ’84, Koper – Larry-tested

Ricordate che, non molto tempo fa, parlando del chiosco che faceva i panini con la pleaskavica alla Lipica Open, vi ho parlato della catena slovena di ristoranti bosniaci “Sarajevo ’84”?
Avevo detto che volevo provarli, essendo una fan della cucina balcanica, ma – visti i miei tempi – c’era da aspettarsi che si ricostituisse la Jugoslavia, prima che io riuscissi a mangiare in uno di questi locali.

Contro ogni previsione, invece, Zzi e io ci siamo stati il 25 aprile 2014. Vi rendete conto? Meno di due settimane fa, è un record di tempismo, per questo blog!

Al termine di una degustazione di orange wine lievemente affollata nella ridente cittadina di Izola (è Isola, dai, non c’è bisogno che vi traduca i toponimi facili, ora che sapete leggere lo sloveno e potete andare a orecchio), abbiamo avvertito l’esigenza di far sbollire la mia rabbia. Di solito il cibo è un ottimo modo per farmi sbollire la rabbia, e più è pesante e richiede impegno nel manducarlo e digerirlo, più serve al suo scopo.

Non credo di avervi mai raccontato di essere una persona piuttosto iraconda.
Non l’ho mai fatto perché solitamente non lo sono; anzi, sono relativamente controllata e, anche se sono parecchie le cose di questo mondo che mi danno sui nervi, raramente do in escandescenze. In alcune circostanze, tuttavia, mi tramuto nella belva umana.

Una delle cose che mi mandano la merda al cervello è la folla. Non le persone, mi piacciono le persone, sono felice quando ho l’occasione di conoscerne di nuove; le persone mi piacciono al punto che molte di quelle che conosco solo di vista mi incuriosiscono e vorrei avere occasione di farci due chiacchiere, ma mi rendo conto di sembrare una squilibrata se chiedo a Icona di Stile di venire a bere un caffè e raccontarmi la storia della sua vita, a cominciare da come si chiama…
La folla mi manda fuori dai gangheri, e – checché ne dicano gli stolti – la folla non è un insieme di persone.
Nella folla le persone perdono i loro connotati umani e diventano organismi mossi solo dalle loro più elementari pulsioni. Disprezzo la folla sopra ogni cosa, trovarmi fra la folla mi fa desiderare di avere una cintura al tritolo e farla finita al grido di “Muoia Sansone con tutti i filistei”.

Il 25 aprile ultimo scorso, a questa degustazione di orange wine a Izola, c’era una folla tremenda.
Come se non bastasse, si trattava di una folla particolarmente detestabile (almeno per me): tolto un 10% di persona normali che erano lì per assaggiare, conoscere ed eventualmente comprare qualche bottiglia di vino andando sul sicuro, i restanti frequentatori si dividevano in:

– beoni che non capiscono un cazzo, ma che hanno sentito dire che “co’ 30 euri de ingresso te magni e te bevi finché i no chiudi, ale nove de sèra” (circa il 30% del totale) e

– facce di merda che se la tiravano da intenditori e ti ammazzavano di spintoni perché dovevano mettere il loro bicchiere sotto il collo della bottiglia prima del tuo, per farlo roteare ampiamente; peccato che più o meno tutti quelli che vanno a queste degustazioni abbiano almeno fatto – non dico un corso – una lezione di avvicinamento alla degustazione del vino, dove la prima cosa che ti dicono è che far girare il vino nel bicchiere non serve a una minchia. Quindi la folla era composta al 60% da imbecilli arroganti con le Hogan, che li vedi e sai già che, usciti di lì, prendono il SUV e vanno a trans, salvo poi stigmatizzare gli omosessuali davanti alle mogli con le tette nuove.

Completiamo il nostro giro di degustazioni un attimo prima che io deflagri, e Zzi che mi porta fuori salutando un suo amico molto frettolosamente sembra l’artificiere che nei film taglia il cavetto rosso del detonatore quando il display segna già “uno”.

Una volta usciti, mi rientrano gli occhi nelle orbite, smetto di schiumare dalla bocca e cesso di parlare al contrario, così posso rammentare a Zzi che c’è un ristorante Sarajevo ’84 anche a Capodstria.
Zzi, in quel momento, mi avrebbe portata a mangiare anche carpaccio di foca a Johannesburg, ma la proposta lo attira davvero, e in men che non si dica siamo da

Sarajevo ’84 v Kopru

[Koper è un sostantivo della prima declinazione maschile con -e- mobile, che, per effetto della desinenza, cade nella declinazione: Koper, Kopra, Kopru, Koper, Kopru, Koprom; essendo una città, non ha né duale né plurale (spero)]

[Immagine tratta da una retorica fotogallery del Corriere.it]

Il locale si trova in una zona residenziale molto vicina al porto, ma dall’aspetto ordinato, evidentemente riqualificata di recente. Tutti i posteggi adiacenti alla piazzetta in cui si trova questa gostilna (Gramšijev trg 8, ovvero piazza Gramsci) sono riservati ai residenti, ma al di là della strada che conduce al porto c’è un grande parcheggio, gratuito la sera.

Più che una gostilna, il ristorante Sarajevo ’84 di Capodistria sembra un bar con cucina, tanto pochi sono i posti a sedere, ma l’atmosfera “vecchia Jugo” c’è tutta.
Alle pareti si distinguono foto e ritagli di giornale degli anni Ottanta, copertine di dischi dell’epoca e una sciarpa che ha l’aria di essere quella di una squadra di calcio che, però, non ho riconosciuto.
Naturalmente, non manca Vučko, la mascotte delle olimpiadi invernali che nel 1984 si erano tenute a Sarajevo, l’orrendo lupetto col muso lungo come uno sci.

Accanto a ciò, sui muri sono appese tavolette con incise frasi in serbocroato, suppongo variante bosniaca, che ovviamente non sono stata in grado di decifrare, ma che sembravano essere battute sulle donne (almeno parte di esse lo erano), e che conferiscono al locale quell’atmosfera moderna e “open-minded” tipica del decennio del Drive In.

Il menu mi sembra leggermente più limitato rispetto a quello che avevo visto sul sito, ma forse sono io che non lo capisco bene.
In particolare, mi pare che manchino lo stufato misto (bosanski lonac, “pentolone bosniaco”) e la begova čorba, una zuppa di pollo e verdure di cui ignoro il significato esatto del nome (ma l’allungamento -ov- denuncia che di sicuro è un aggettivo possessivo, tipo “di beg”, qualunque cosa significhi la radice “beg”).
La cosa non mi sconvolge: voglio assolutamente mangiare le sarme e la tufahija, così ordino sarme e borek per iniziare. Zzi va sul sicuro e prende cevapi e sudžukice. Da bere, due belle piva sarajevska, anche perché l’acqua, in proporzione, è proibitiva (la carta completa di prezzi è online qui)

Le salsicce sono ignoranti come si conviene alla cucina bosniaca: gustose, soddisfacenti, ma grasse come poche. Del resto, sono salsicce, non ci si poteva aspettare altro, e comunque sono meno grasse di quelle che si mangiano in Inghilterra…
Cento punti per i cevapi, che hanno un gusto diverso rispetto a quello cui siamo abituati, penso perché davvero fatti alla maniera bosniaca, senza carne di maiale (in Bosnia, un’alta percentuale della popolazione è musulmana). Francamente, non so dire se siano più buoni; io amo molto quelli con il maiale, ma senz’altro questi sono più autentici.

Sono squisite anche le sarme: il ripieno è succulento e la foglia è tenera. Sguazzano in un sughino che mi sembra un dito d’olio leggermente sporcato di pomodoro. Al palato è saporito, perciò è certamente qualcosa di più elaborato, ma lo stesso non me la sento di tirarlo su con il pane.

È tutto ottimo, ma è sostanzioso e le porzioni sono troppo abbondanti affinché io riesca a mangiare anche il dolce, quindi devo rimandare il mio rendez-vous con la tufahija alla prossima visita.

3 thoughts on “Sarajevo ’84, Koper – Larry-tested

  1. The Speaker

    Pensare che c’è gente che, leggendo il titolo “Sarajevo ’84”, sperava di leggere una storia romanzatissima ambientata tra l’8 ed il 19 febbraio…

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