Sesta Cena Regionale, il Trentino-Alto Adige – Antipasto: Carne Salata Scottata con Crostini di Polenta (2)

Ora che sappiamo il minimo sindacale sul Trentino-Alto Adige e in cosa esso differisca dal Friuli-Venezia Giulia, possiamo proseguire serenamente a parlare della cena di piatti tipici di questa regione.

Come antipasto ho servito la carne salata cotta, che io pensavo che si mangiasse solo cruda, e invece quando Zzi mi ha portata in Trentino

Come dite?
Ve l’ho già raccontato? Sto diventando come la Sora Lella in Bianco, Rosso e Verdone, con la storia d’er sordato tedesco?
Va be’, non occorre essere così insofferenti, vorrei vedere voi, alla mia età! Si vede, allora, che è una pietanza molto buona, se mi ha tanto colpita.
Talmente buona che ho voluto riproporla ai miei ospiti.

Ora, è inutile ch’io cerchi di menare il can per l’aia; la carne salata si compra, si porta a casa e si mette in tavola: fine delle sofisticatissima preparazione.

Non è che sono andata a colloquio con un intero allevamento di manzi, ho trovato l’esemplare che voleva suicidarsi, ho cercato di convincerlo a non farlo, ho accettato il fatto che volesse essere mangiato, l’ho squartato, sfilettato, preso la fesa, condito di sale, spezie ed erbe la fesa, messo la fesa a salmistrare in un contenitore sotto un peso per venti giorni e affettato la fesa, ora divenuta carne salata, in fette sottilissime. Questo si chiama fare la carne salata, e io non ho fatto niente di tutto questo.

Sono andata dal mio salumiere e l’ho reso felice comprandone otto etti. Poi il salumiere è stato chiuso una settimana con il cartello “Sono in vacanza alle Maldive, chiedete a Larrycette”.
Siccome ribaltare la carne in un vassoio in centro al tavolo e dire “prendete e mangiatene tutti, questo è il pane integrale, là ci sono i grissini” pareva un po’ troppo sbrigativo perfino a me, ho creato un diversivo con la guarnizione e ho servito ai nostri amici:
“Carne salata trentina scottata in padella, servita con crostini di polenta integrale, confettura di cipolle e insalatina verde”.
Toh.
Càzzighela!

Pure io sono capace di dare nomi wertmulleriani ai piatti e poi metterti davanti un po’ d’affettato con la polenta, che credete? Mica lo fanno solo nei ristoranti fighi.
Ecco come ho cercato di sviare l’attenzione dei miei ospiti dal fatto che non avevo preparato l’antipasto.

Ho scaldato la padella antiaderente nuova che la mamma mi ha regalato per il mio ultimo compleanno.
Nasce come padella fatta apposta per fare le piadine – che, in effetti, ci vengono alla grande -, ma è l’antiaderente sottile nelle migliori condizioni che ho. Per preservarla in condizioni ottimali, la “precondiziono”, come scrivono sulle istruzioni per l’uso; vale a dire che la ungo.

“Precondizionare” è un verbo orribile, credo inventato da qualche esperto di marketing che un giorno ha pensato “Ehi, ma se diciamo in giro che le padelle antiaderenti vanno comunque leggermente unte, poi non possiamo più venderle come indispensabili utensili per una cucina sana e priva di grassi!”, e che poco dopo ha anche pensato “Ma se non diciamo di ungerle, si rovinano presto e, dopo pochi utilizzi, i clienti vengono a tirarcele sulla testa”; pensa che ti ripensa, dev’essersi svegliato una mattina esclamando “Eureka! Diremo che vanno “precondizionate”, così induciamo le persone a ungerle senza far passare i concetti di “grasso”, “condito”, “pesante”, “dannoso””.

Quando la padella ha raggiunto temperature stromboliane, prendo le dolci fette di morbida carne salata, mi assicuro che siano ben distese, e le adagio sulla superficie rovente.
Ftschhhh. Musica.
Non devono asciugarsi, né perdere i succhi, subito le giro e le tolgo dalla padella.
Ogni sei/sette fettine, lascio la padella vuota qualche istante, affinché riprenda calore.

 

In precedenza, avevo fatto la polenta (istantanea, è buona lo stesso) con la farina integrale biologica e l’avevo lasciata rassodare.
Dal panetto, avevo ricavato delle fette molto sottili di polenta e le stavo ora abbrustolendo in un’altra padella.

Bieca come non mai, ho dato al piatto un tocco originale approfittando di un prodotto locale: una deliziosa confettura di cipolle rosse che la famiglia Belleguacette e i Giraffi (cfr. schema dei rapporti in questo post) mi avevano portato in dono dal loro soggiorno a Canazei.

Compongo, dunque, il piatto con perizia e scatto foto come se non ci fosse un domani, fondamentalmente tutte uguali, ma stranamente al di sopra della media dei miei scatti, credo grazie alla sola presenza di CP nella stanza.

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