Terza cena regionale: la Liguria. Secondo: Farinata e Ripieni vegetariani (4.2)

I Ripieni vegetariani (Pin)

E così, un colpo al cerchio e uno alla botte, andiamo avanti parlando di cibo, ché, come dice il proverbio “per pagare e fare orienteering c’è sempre tempo” [la menata lanterna per lanterna a Villach continua].

Noterete che il nome in lingua originale della pietanza non comprende il termine/concetto di “vegetariani”. Non sono neppure sicura che la parola “vegetariano” esista in genovese, di certo, a casa di mia madre non la usava nessuno.

Il genovese, infatti, come credo altri idiomi del nord ovest,  è un dialetto che sta diventando desueto, e non viene più parlato nel quotidiano già da alcune generazioni, di conseguenza non si aggiorna con nuove entrate.

A Trieste, ad esempio, è normale sentire le persone parlare di Tizio che si è comprato uno smartphone touchscreen nei termini “Ciò, te ga visto che el mato se gà comprà el smartfon, el celular che te frachi i pupoli sul schermo?”. A Genova, una conversazione del genere si svolge in italiano, e anche volendo farla in genovese, si incontrano nette difficoltà: “Belìn, ma ti o sæ che quello là o se g’ha accatou un… un… un de quei… o l’é in telefono, ma o no serve pe’ telefona, o l’è fæto comme una scatoæta e o no g’ha né tasti né rôa, ti sciacchi o schermo e o funzionn-a… dixian… comme se ciamma?”

Ai tempi in cui si parlava il genovese, essere vegetariani era, per molti, la consuetudine proprio malgrado, perché in molti non potevano permettersi la carne, e poiché la carne era considerata un alimento prezioso e ricercato, dubito che ad alcuno sia mai passato per l’anticamera del cervello di evitarla di proposito, prima del 1950.

Questa volta, però, non sono io a operare arbitrarie sostituzioni nella ricetta (come alcuni sostengono io abitualmente faccia) per assecondare le abitudini alimentari della Regina della Bussola.
Per ragioni del tutto incomprensibili, infatti, il Corriere della Sera annovera fra le ricette liguri quella di questi ripieni vegetariani, gradevolissimi, ma lontani anni luce dai ripieni alla genovese.

I ripieni alla genovese, questi sconosciuti al Corsera.

Amatissima pietanza della mia infanzia, i ripieni sono una specialità genovese che non posso permettere che non conosciate, almeno per sentito dire.

Sono una menata pazzesca da preparare e spariscono in men che non si dica, quindi il gioco non vale la candela. Non conviene neppure comprarli in rosticceria, perché tradizionalmente si fanno con gli avanzi, quindi, se non hanno origini certe, sono potenzialmente pericolosi.
Il modo migliore di gustarli è avere una madre genovese che li prepari per voi. Io ho consumato per tutta l’infanzia quelli di una nonna spezzina e devo dire che erano ottimi.
Se non avete qualcuno che si spezzi la schiena a prepararli e ve li metta nel piatto belli pronti, affinché voi possiate scofanarveli in cinque minuti dopo aver passato la mattinata a farvi i cazzi vostri,  potete farveli da soli procedendo come segue (ma vi avverto che sono più buoni se non vi sedete a tavola sfiniti).

Per il ripieno (cioè la cosa con cui farcire):

Carne mista che vi è avanzata.
Il fatto che siano avanzi è fondamentale, perché garantisce che ci sia solo la carne di bestie che vi piacciono; in quelli di mia madre c’è carne di manzo, vitello e, forse, a volte, pollo.

Mortadella.
Non so se faccia parte della ricetta originale, mia madre ce la mette di sicuro per dare morbidezza all’impasto.

Uova.
Se no, come fa il ripieno a stare insieme?

Parmigiano reggiano.
Per dare un po’ di gusto e sostanza

Sale e pepe cubì.

Erbe aromatiche, suppongo.
La cucina genovese fa largo impiego di erbe aromatiche, in particolare della persa, che il resto del mondo chiama impropriamente “maggiorana”.
A mio padre non piaceva. Io non la gradivo tanto, ma tutto sommato la tolleravo; siccome, però, se una cosa non piaceva al mio papà, allora Dio aveva sbagliato a crearla, ho cominciato ben presto ad odiare la persa e a non volerla da nessuna parte. Con gli anni, mi è venuta in schifo veramente.
A parte il modo di ragionare leggermente manicheo con cui sono cresciuta (riassumibile con “papà ha ragione,  la mamma ha ragione quando è d’accordo con papà”), se la ricetta prevedeva delle erbe aromatiche, può essere che la versione di casa mia le abbia brutalmente decurtate. In ogni caso, sconsiglio fortemente l’impiego della persa. La persa è il male.

 

Per i ripieni (cioè le cose da riempire con il suddetto ripieno):

Verdure a piacere tra zucchine, cipolle, peperoni, melanzane e pomodori.
Non ho mai capito perché “ripieni” sia maschile, quando, trattandosi di verdure, dovrebbero chiamarsi “ripiene”.
In genovese “ripieno” si dice uguale a “pieno” (ragion per cui i genovesi li chiamano anche “pieni” o “verdure piene”): pin. Non sono sicurissima, ma mi pare che al plurale sia invariato: 1 pin, 2 pin.
Inoltre, si chiama “pin” anche il ripieno inteso come farcia. Quindi “I ripieni sono pieni di ripieno” si dice “i pin son pin de pin”. Del resto, anche in Francia quando la mamma del sindaco va al mare succede una cosa del genere.

 

Procedimento

Attenzione che ora inizia la menata.
Tagliate le zucchine in cilindri di 7/8 centimetri (una zucchina a malapena mondata, se usate quelle piccine di Albenga) e sbollentatele.
Tagliatele ora nel senso della lunghezza, in modo da ustionarvi i polpastrelli.

Con uno scavino, prelevatene la polpa e aggiungetela al ripieno.
Sbollentate anche le altre verdure e fate in modo di ricavarne delle barchette da riempire. Con una cipolla si ottengono numerose barchette, perché vano separate come una matrioska (tagliatele a metà prima, per l’amor del cielo).

Siccome in casa mia non usava riempire le melanzane, non mi ricordo se bisogna aggiungere anche la loro polpa al ripieno. Fate un po’ come vi pare che possa piacervi di più il risultato.
Tenete presente che in Liguria abbiamo delle piccole melanzane tonde, grandi sì e no come un limone, quindi possono essere tagliate e usate facilmente come base per i ripieni; è chiaro che se riempite una melanzana da mezzo chilo, vi viene un polpettone.

Quando avete tutte le verdure lavate, sbollentate, tagliate, scolate e raffreddate, riempitele del composto ottenuto frullando gli ingredienti del ripieno, disponetele in una teglia (generosamente) unta, distribuite sopra un cordone di olio (perché un filo non basta) e imbelinate tutto in forno. Probabilmente un quarto d’ora/venti minuti a centottanta gradi basteranno, dipende, ovviamente dalle dimensioni dei vostri ripieni.

 

Ma non era di questo che volevo parlarvi.
Alla Regina della Bussola e al Principe Consorte ho servito, infatti, ripieni vegetariani.

Il procedimento è il medesimo, solo che nel ripieno si sostituisce la carne con patate bollite schiacciate e si insaporisce il più possibile il tutto con erbe aromatiche.
Purtroppo mi è venuta l’Ottite, che non è una malattia delle orecchie, ma un disturbo a causa del quale si fotografa compulsivamente anche la più irrilevante delle fasi di una ricetta e si pubblica tutto il materiale, senza effettuare selezione alcuna.

Ecco il fotoromanzo dei ripieni vegetariani:


[Fate bollire le patate]

[Tagliate le zucchine per lungo]

[Tagliate le zucchine in barchette di 7/8 centimetri]

[Scavatene l’interno e utilizzatelo per la farcitura]

[Preparate il ripieno facendo un composto di parmigiano, uova, patate bollite schiacciate, polpa di zucchine e aromi]

[Profumate il ripieno con basilico ed erbe aromatiche]

[Farcite le verdure e disponetele in una teglia unta]

[O in due teglie unte, se non sono abbastanza grandi]

[Gustate dopo circa venti minuti di cottura in forno]

Sono una pietanza completamente diversa – ovviamente – dai tradizionali ripieni alla genovese, ma comunque molto buona.
A patto che non ci mettiate la persa, è ovvio.

 

8 thoughts on “Terza cena regionale: la Liguria. Secondo: Farinata e Ripieni vegetariani (4.2)

  1. Otti

    1. “(come alcuni sostengono io abitualmente faccia)” ehi, tu, dici a me?
    2. “Uova. Se no, come fa il ripieno a stare insieme?” potresti chiederlo al tuo amico aroux
    3. l’Ottite? Stavo giusto per commentare il numero di foto pubblicate, quando ho letto la riga incriminata. Sei ingiusta. Si chiama Larryte ed è definita come totale incapacità di selezionare materiale fotografico gentilmente prodotto per blog altrui nei quali non si sappia esattamente cosa possa tornare utile pubblicare.

    Sono piccata, ecco.

  2. Larry Post author

    1. “Are you talking to me?”
    2. Okay, glielo chiedo con la presente! Fammi sapere che dice.
    3. Sbagli! (cit. Giano)
    … E hai ragione allo stesso tempo: l’Ottite è la smania di fotografare, la Larryte è l’incapacità di selezionare (le foto, come i cibi, finendo con l’assaggiarli tutti): entrambe gestibili singolarmente, messe insieme sono devastanti.

    A che punto siamo con la lista?
    In quanti si sono aggiunti?
    A martedì!

  3. cri

    Oddio, ora mi sento in colpa, non immaginavo la mole di lavoro necessaria per preparare questo piatto…

  4. Larry Post author

    Ma scherzi?
    È un piacere e un onore.
    Tuttavia, se proprio vuoi sdebitarti, se domenica prendi la mia Si-Card e corri al mio posto, io non mi offendo!

  5. Otti

    Io invece non mi sento in colpa per niente e ti chiedo se me li fai, la prossima volta. Anche con la carne, se vuoi. Io faccio le foto ;P

  6. Larry Post author

    Ti direi che li faccio e li porto per mangiarceli in coda (dopo un paio di giorni sono ancora più buoni, e in fondo è “finger food”), ma il 29 pomeriggio esco dall’edicola e mi fiondo dal parrucchiere.

    … it takes a… ;)

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