Una giornata perfetta

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Il 23 dicembre ho trascorso una delle poche sere della mia vita coniugale senza Zzi, a cena col mio capo e la collega anziana [in senso professionale].
Nei vari messaggini che ci scambiamo, il mio consorte mi informa che – contrariamente a quanto stabilito – la mattina successiva non andremo a fare la spesa insieme, ma dovremo dividerci.

Lì per lì non do peso alla cosa: penso che gli sia sopraggiunto un impegno, poi mi spiegerà, cazzi suoi, ora c’ho davanti la birra, ci penserò.
Torno a casa che è quasi l’una e per fortuna Zzi fa la nanna; siccome sono felpata come un ladro, nell’entrare in letto lo sveglio e lui raccoglie tutte le sue forze per dirmi che ha guardato sul sito del Vattelapesca e che cominciano le vendite per i biglietti di Tal dei Tali domani.
Domani? Il ventiquattro? La vigilia di Natale? E me lo dici adesso? Che faccio? Mi vesto? Vado in coda?
“Fai la nanna, Ruga, fai la nanna”.
Obbedisco. Nonostante l’emozione, il sonno sopraggiunge rapido come un treno.
La mattina dopo, mi alzo mezz’ora prima della sveglia, stabilisco il record mondiale di abluzione e preparo la colazione, che ingerisco vorace come un anaconda mentre fisso torva Zzi, che è ancora lì che si barcamena col secondo biscotto.
Non avendo potuto pernottare sulla porta della biglietteria, mi avvantaggio sugli avversari mantenendo il riserbo fino all’ultimo, decidendo di vestirmi in maniera molto anonima, in modo da non far capire che sto andando a una coda e non far scattare allarmi nelle perverse menti dei molti potenziali nemici che incrocerò nel tragitto casa-teatro. Inoltre, ogni secondo deve essere riparmiato.
Camicia e maglione sono quelli della sera prima, presi pari pari come stavano sulla sedia ai piedi del letto e indossati in un sol gesto [io mi tolgo le camicie senza sbottonarle, lasciandole, di conseguenza, all’interno dei maglioni, come se un mostro alieno mi avesse divorata suggendomi dai miei stessi indumenti]. I jeans mi sa che erano da lavare perché erano da un paio di giorni sulla medesima sedia che attendevano con una speranza al limite della fede religiosa di vedersi trasportare nel bidone della roba per la lavatrice; pazienza, un giorno in più non sarà la fine del mondo. Stivale nero basso, modello Fascisti su Marte, che nel mio immaginario serve a darmi un tono distinto permettendomi comunque di procedere speditamente.
Svuoto la borsa sulla poltrona e – evento storico – la alleggerisco di tutte le puttanate che di solito mi porto dietro, riducendo il bagaglio a portafoglio, cellulare, chiavi, agenda, lettore mp3.
Alle 8,13 del microonde Zzi mi chiude alle spalle la porta di casa.
Salto i marciapiedi, dribblo le vecchiette, calcolo rapida i percorsi più brevi perché ora sono preziosi i decimetri, attraverso ai semafori col giallo e, lo ammetto, una volta anche col rosso. Ma non c’era nessuno.
Non corro da più di un mese e sono ingrassata di cinque chili negli ultimi venti giorni.
Il mio culo non è mai pesato tanto, sono di una lentezza irritante e giuro e spergiuro che se ce la faccio mi metto a dieta e vado a correre veramente, che non si può mai sapere quando serve essere atletici.
Alle 8,27 del mio cellulare sono alla biglietteria.
Nessuno.
Non c’è nessuno, cazzo, dov’è l’uomo-lista, a chi lo dico il mio nome, a chi lo dico che sono arrivata, che per ora sono l’ultima, ma che quelli che arrivano da adesso in poi non mi devono passare avanti? Penso di improvvisare una lista io, ma la borsa è vuota, non c’è il blocco Cervino e non ci sono i post-it.
Ma…un momento: fra un po’ iniziano le vendite, possibile che siano tutti in giro? Vuoi vedere che tra i fan di Tal dei Tali non usa la pantomima della lista?
Vuoi dire che loro arrivano quando possono, vanno alla biglietteria, chiedono i biglietti, li pagano, e se ne vanno come se avessero comprato due etti di crudo? E se è finito, pazienza, mangeranno dell’altro, e magari ritornano più in là?
Entro nel teatro. C’è un signore che scrive un messaggio, lo saluto, mi saluta, mi vede che mi guardo intorno spaesata [come sempre, del resto, ma lui non mi conosce e non lo sa] e mi dice che la biglietteria è ancora chiusa. “Ah”, faccio. “Xè de prender il nùmero”. “Grazie”.
Sto per piangere. C’è il numero. Quello nella chiocciola di plastica rossa, come in panificio, una numerazione messa lì dal teatro, che i cassieri del teatro riconoscono e accettano.
Andrò da Voce di Bionda col mio trangolino di carta rosa e lei non potrà dire che prima di me c’è tutta una comitiva di cinesi che sta per scendere da un pullman a due piani. No. Tocca a me perché su questo bigliettino c’è scritto lo tesso numero che lampeggia alle sue spalle. Ho il numero. Sto improvvisamente bene.
A questo punto, posso anche spargere la notizia, tanto chiunque arrivi, arriverà dopo di me: parte la raffica di telefonate, le manifestazioni di entusiasmo, la raccolta delle ordinazioni.
Alla Nini, il suo moroso e io facciamo una sorpresa, ma sono curiosa di sapere cosa si sia inventato per giustificare il fatto che alle 8,30 del 24 dicembre io abbia chiamato lei, in evidente stato di agitazione, per farmi dare con urgenza il numero di lui senza alcuna spiegazione ulteriore.
Finalmente tocca a me.
Voce di Bionda non c’è, c’è una bionda che non credo che sia lei e una mora coi ricci. Meglio così: il vero vincitore mira al risultato ed è appagato con quello, umiliare l’avversario non mi interessa.
Mi accomodo allo sportello e pronuncio solenne, nel buco nel vetro che sta di fronte alla mia faccia: “Buongiorno. Vorrei quattro biglietti per Tal dei Tali”. “Sì”, fa la riccioluta dall’altra parte. “Platea” aggiungo. “Centrali” sottolineo. “Davanti” supplico. “Sul palco” miagolo.
Ricci-e-faccia di Bronzo mi fa distratta “Prima fila?” “Sììì!” esulto io come se il 28 maggio del 2003 la Juve avesse segnato al novantesimo vincendo la Champions contro il Milan, anziché perderla ai rigori come tutti sanno.
Poi mi ricompongo e me la tiro “Mmmm…ma come si vede? E’ tanto alto il palco?” “Mannnnooooo” – fa Ricci-e-faccia di Bronzo [mi sa che fanno una specie di test di Hayling sulla fluenza verbale, prima di assumerle, alla biglietteria del Vattelapesca] – “oddio, sì, è un po’ alto [cerca di farla credibile], ma si vede bene lo stesso”. “Okay”, faccio ad una Ricci-e-faccia di Bronzo estasiata per aver sbolognato la prima fila, godendo in cuor mio della futura prossimità col mio beniamino, che la cretina dall’altra parte del vetro non può capire.
Esco, chiamo il mio Lorenzo preferito, gli espongo un piano delirante di concerto a Vicenza, pernotto a casa sua, partenza per Trieste e concerto a Trieste la sera successiva. La proposta lo alletta, ma ha problemi organizzativi – ci penserà su.
Intanto mi sovviene che avevo promesso un biglietto anche a Federizzi [dativo, cfr “Road to Mostar”], così, non appena un individuo – il terzo dall’apertura – entra in biglietteria, chiudo bruscamente la conversazione con il mio Lorenzo preferito e mi fiondo allo sportello di Ricci-e-faccia di Bronzo “Salve. Me ne da un altro, per piacere?” Ricci-e-faccia di Bronzo se la tira un po’, come se non avessi visto che da quando sono uscita non è entrata un’anima, e poi mi dice che sì, ecco, è riuscita a darmi un posto adiacente ai quattro precedenti. Come se avesse personalmente aggiunto una poltroncina, come se avesse detto “oh, dai, stringetevi un po’, scalate dul fondo, là nell’angolo, facciamoci stare anche questa mia amica – che tra parentesi suona il basso da Dio, ha una band di triestini conosciuti in Bosnia, troppo forte, vero?, è appena tornata da Istanbul, troppa roba -dài, che ce la facciamo stare. Graaandi, grazie”. No. Non funziona così. Il posto c’è o non c’è. Non è entrato nessuno nei cinque minuti in cui ho elaborato l’ennesimo piano di conquista dell’universo con il mio fratello mancato, ergo il posto c’è.
Ma non ha importanza. Non discuto. Va tutto bene. Nella mia agenda rossa fanno la nanna placidi cinque teneri biglietti di prima fila per Tal dei Tali al Vattelapesca di Trieste. Niente può scalfire la mia gioia.
Devo ora andare in banca a chiedere un nuovo bancomat, poi comprare un coltrello per sfilettare il pesce, fare la spesa per il cenone di Natale coi suoceri e comprare un pensiero per i miei ospiti di Capodanno, possibilmente in quest’ordine, per ragioni meramente topografiche, essendo che mi trovo in Viale, ho la banca in Cavana e da lì trovo tutto il resto in via Roma, tornando a casa.
Di conseguenza vado in via Battisti a comprare il coltello, in via San Nicolò a fare la spesa, in via Roma a prendere il regalo, e – oops, la banca! – in Cavana. Volteggio leggiadra a passo di tip tap con il cuore di zucchero filato e la testa a palloncino attaccata per un filo.
Arrivo a casa che Zzi ha già fatto la sua parte di spesa, gli mostro i miei acquisti, lo stordisco di particolari e finalmente mi rilasso sul divano.
Mi accorgo di essere a pezzi, le forze mi hanno abbandonata, le mie energie sono finite quando ho chiuso il quinto biglietto nella moleskine, il resto è stata inerzia euforica. Ho a malapena la forza di farmi battere il cuore, non sono neanche sicura di respirare. Se solo muovo un dito, muoio. Sono a brandelli, distrutta, sfinita, stanca, svuotata.
E sono le dieci e venti

2 thoughts on “Una giornata perfetta

  1. Marco

    Lorenzo mi ha detto che salta Capossela… vediamo quanto de parola…

    Cmq me fai sganassare! La mia LARRY preferita.

  2. LARRY

    Lo ha detto anche a me.
    Tanto ce lo troviamo in prima fila, che piuttosto si porta lo sgabello da casa.

    A proposito, grazie per i complimenti, ma oramai sono L’ERRI.

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