Working on a dream tour – Stoccolma 2009, parte III

Non siete curiosi di sapere come continuano le avventure della coppia di fan di Springsteen a Stoccolma?
Li avevamo lasciati con una richiesta assurda, vediamo se ce l’hanno fatta [okay, dài, facciamo finta di non conoscere le scalette di Stoccolma, su…cercate di tener fede al patto autore/lettore, che diamine!].

[…continua dal 6 Agosto]

Visto che il nostro cartellone si è sfasciato in una poltiglia di cellulosa color aperol, optiamo per una posizione più centrale, sebbene posteriore, dalla quale, grazie alla visione di insieme e al maggior numero di spettatori accanto, si gode meglio dell’evento. Tradotto: non dovendoci più rompere le scatole con La Richiesta, ci buttiamo in mezzo al casino. E sono altre tre ore di salti e canti, applausi e grida.
La gestualità, a un concerto di Springsteen, non è libera e selvaggia come il profano può credere. Ci sono delle regole non scritte, la cui ignoranza denuncia subito il neofita. Ad esempio, sugli assoli di sax – mentre si pregano tutti i numi affinché a Clarence Clemons tenga il fiato, tengano le gambe, non si stacchi una retina, non venga un ictus – si fanno ondeggiare le braccia parallele sopra la testa da dietro in avanti, in segno di prostrazione. Sulla famosa
Dancing in the dark, brano di chiusura di questo tour, si fa su e giù con le braccia tenendo chiusi i pugni davanti a sé, tipo mungitura: se non avete capito, non fa niente, guardate Little Steven e fate come lui. Ovviamente lo possono fare solo quelli della prima fila, tutti gli altri lo fanno simbolicamente sopra la propria testa, a meno che non vogliano improvvisare una rissa percuotendo quello davanti. Insomma, snobbiamo le vacanze organizzate per non avere fra i piedi un animatore che pretende di farci divertire con movimenti da imbecilli, per poi prosciugare i nostri conti in banca (quando li abbiamo) andando a spettacoli cui parte integrante è l’esser manovrati come marionette. Non è un’incoerenza, in fondo, non lo facciamo per divertimento, lo facciamo per manifestare a Bruce quando ci piace e renderlo felice e soddisfatto.
Più che altro è una missione.

Una foto da turisti

La terza mattina vediamo una cosa mai vista prima a Stoccolma: l’ombra degli oggetti, segno che un pallido sole deve essersi affacciato oltre le pur sempre minacciose nubi. Oggi è il giorno libero: il magnanimo Bruce tiene il terzo concerto a un giorno di distanza dal secondo, per permettere ai fans di riposare e visitare la città. Durante questo sabato 6 giugno la città è in festa nazionale, i cannoni sparano affumicando il palazzo reale e qualche studente gira ancora, palesemente ubriaco, col berretto da marinaio, reduce dai festeggiamenti del giorno precedente, quando le classi degli ultimi anni delle superiori scorrazzavano sul rimorchio dei tir per tutta la città, sparando musica a tutto volume e annaffiandosi vicendevolmente di birra, sprezzanti del freddo.
Vistiamo il museo del Vasa, il vascello invincibile che il re Gustavo Adolfo fece costruire nel XVII secolo per affrontare in guerra la Polonia; per assicurarsi la vittoria, il progetto della nave venne sottoposto a migliorie anche in fase di costruzione e il 10 agosto 1628 il Vasa venne solennemente varato. Affondò a poche miglia dal porto di Stoccolma, sotto gli occhi sbalorditi e disperati di tutta la cittadinanza, sbilanciato com’era. Trecentotrentatré anni dopo, nel 1961, è stato protagonista di un formidabile ripescaggio dal fondale limaccioso dell’arcipelago di Stoccolma e ora è ammirabile, ricostruito al 95% con parti originali, in un museo opportunamente climatizzato dove si osservano anche suppellettili e attrezzi per la navigazione dell’epoca. Quante cose si imparano grazie a Bruce!

Il dopo cena è dedicato alla visita di Gamla Stan, la città vecchia, nei cui vicoli speriamo poco segretamente di fare l’incontro della vita. È noto, infatti, che Lui si concede passeggiate con maggiore rilassatezza nei paesi scandinavi piuttosto che in Italia o Spagna, dove non è padrone di muovere un passo senza venire smembrato da torme di fans invasati. Oltretutto ci torna alla mente l’episodio accaduto la mattina nella sala della colazione: mentre ci stavamo, mio marito elegantemente, io voracemente, nutrendo, ci ha avvicinati un ragazzo. “S-salve” fa questi, e sulle prime penso ci voglia chiedere se può prendere la sedia libera, ma poi prosegue alludendo ai nostri polsi: ” scusate: sono i braccialetti dei pit, quelli?”. Per farla breve, scambiate le consuete opinioni su concerti visti, strategie e suggerimenti sull’orario di arrivo in coda per conquistare l’ultimo pit, il nostro collega ci spiega che quella sera, in un locale del centro, suonerà una cover band di Springsteen. E si sa che Lui non è nuovo a “sorprese” sul palco di band poco più che irrilevanti. E il suo albergo è proprio lì di fronte. E questa sera è libero. E magari ha voglia di suonare.

Oestermalm Saluhall

Quando troviamo il posto, la band sta suonando da un po’ e il pubblico è partecipe, segno che Bruce non è arrivato, altrimenti gli spettatori sarebbero alcuni partiti all’inseguimento del Nostro (giacché il vero fan non si accontenterebbe di una performance regalata in un clima così speciale, ma vorrebbe sempre e comunque incontrarlo faccia a faccia e scambiare quattro chiacchiere, in intimità, ma non in totale solitudine, poiché almeno un testimone attendibile ci vuole!), altri svenuti per l’emozione. Ci dicono che siccome c’è la band bisogna pagare 100 corone per entrare; decidiamo di conseguenza che Bruce non ha la minima intenzione di fare sorprese in questo locale. Cosa che si è rivelata poi vera, come il lettore può evincere dal fatto che non ci siamo suicidati per il rimpianto.

Il sette giugno comincia il giorno più lungo.
Lasciamo i bagagli al deposito dell’albergo e glissiamo con
non-chalance sull’orario di ritiro, sicuri, peraltro, di non essere gli unici ospiti con certi propositi. In un afflato di maturità e saggezza dedichiamo la mattina alla visita del palazzo reale: la luce è buona, la macchina fotografica ha le batterie cariche, ma è vietato usarla, perciò, niente foto neanche qui. Poco male, visto un palazzo reale, visti tutti: è tipo Miramare, solo più grande.
Già, perché caratteristica precipua del Triestino – oltre che avere nel DNA sequenze cromosomiche affini a quelle della lucertola, con conseguente necessità fisiologica di esporsi al sole e all’aria aperta tanto più nudo quanto i costumi sociali del luogo permettono (quindi, nel suo habitat naturale, poco meno che integralmente) ed essere pervaso da un’irrazionale fiducia nel volgere al meglio delle situazioni – è quella di avere già avuto e visto tutto nella sua impareggiabile città. Le menti migliori hanno avuto i natali a Trieste, i monumenti più belli si trovano là.
I mori di piazza Unità d’Italia non hanno nulla da invidiare a quelli di Venezia, il lungo fiume di Budapest ha il medesimo aspetto delle Rive, il ghetto è più suggestivo dei caruggi genovesi, la strada costiera fa impallidire quella di Amalfi e a San Francisco c’è perfino una volgare imitazione del Tram di Opicina. Aspetto da un momento all’altro di sentir paragonare la gru del porto alla Tour Eiffel e poi ho fatto tombola.

[? Per il finale dovrete aspettare il prossimo giovedì! Rinnovo l’invito a fruire del prezioso strumento dell’iscrizione, che vi ricordo essere gratuita ?]

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