Wrecking Ball Tour 2012, Colonia [1]

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Wrecking Ball Tour 2012, Colonia | Giorno 1.
Viaggio, Brugge e Gent.

Viaggio e arrivo a Brugge.

La partenza della Racing Couple

Il Giorno Uno è il 25 maggio, il concerto è il 27.
Resi pigri e annoiati dall’età ormai avanzata, decidiamo di trascorrere i giorni precedenti il concerto di Springsteen a Colonia in vacanza in Belgio e non – come ogni vero fan dovrebbe fare – in coda.

Partiamo alla volta dell’aeroporto di Treviso alle prime luci dell’alba, ma l’autostrada chiusa ci mangia tutto il vantaggio che avevamo, costringendoci a deviazioni che ci fanno perdere tempo e rischiare di perdere il volo.
Perdere il volo significherebbe perdere l’automobile prenotata, doverne pagare un altro -perché la Ryan Air costa poco, ma è elastica e comprensiva come un’istitutrice di Berlino Est – e perdere una giornata. Per fortuna non c’è molta fila al controllo e arriviamo al gate con addirittura mezz’ora di anticipo sull’apertura dell’imbarco, ma oramai la macchina è posteggiata nel parcheggio più caro del circondario. Pazienza, non c’è sacrificio – fisico o economico – che non affronteremmo per Bruce.

Per ragioni che non mi spiego, il velivolo si stacca da terra resta in aria fino a Bruxelles, dove plana con delicatezza; nel frattempo passa su paesaggi splendidi paesaggi montani, che sarebbe bello sapersi godere.

 

Il Belgio secondo Larry

La prima cosa che mi colpisce, uscita dall’aeroporto di Bruxelles, è un chiosco che vende patatine fritte.
Le patatine fritte sono, infatti, il piatto nazionale del Belgio e vengono servite accanto ad ogni piatto, nonché vendute ad ogni angolo. Sono straunte e fritte nel grasso animale (di manzo, però, secondo Wikipedia, non nello strutto… quasi leggere, insomma).

Traiamo, dunque, una grande lezione politica: è facile che un popolo tolleri la monarchia se lo si rende felice nutrendolo a patatine fritte, cioccolatini e birre d’abbazia.

Ci danno una macchina come la nostra, solo più evoluta, con un sacco di tastini che non ho mai visto e che Zzi mi vieta espressamente di pigiare. Non sapremo mai se aveva i sedili eiettabili.
Questo viaggio è caratterizzato da un’innovazione tecnologica verso la quale, in qualità di orientista e navigatrice di ruolo di Zzi, ho un rapporto molto conflittuale: il tom-tom. Peggio: il tom-tom per i-Pad.

 

Larry vs Tom-Tom per i-Pad

Più che di “rapporto conflittuale”, parlerei più correttamente di aperta antipatia: un po’ perché i dispositivi Apple mi sono smaccatamente ostili in quanto non capiscono quante dita io abbia, un po’ perché lo vedo nei suv dei padani che mandano messaggini guidando e lo tengono acceso in autostrada (perché se no non sanno dove andare), un po’ perché sono perfettamente capace di leggere una cartina e so perdermi benissimo da sola, il navigatore è un oggetto del quale non comprendo fino in fondo la necessità e che ritengo essere il male incarnato.

A causa di questo dispositivo, infatti, l’umanità perderà entro poche generazioni la capacità di leggere le mappe e di orientarsi, così come sta perdendo quella di ricordare i numeri di telefono per via dei cellulari e in men che non si dica ci ritroveremo come gli umani di Wall-e.
Visto che, però, non riproducendoci Zzi e io, la nostra eventuale involuzione non avrà conseguenze sulla specie, abbiamo girato il Belgio guidati dalla supponente voce di Silvia (si chiama così quella gratis), anche per evitare di aggiungere al bagaglio del ritorno un atlante stradale che chissà quando mai riutilizzeremo.

Non affidatevi alla pronuncia del Tom-Tom per imparare le lingue!
Da questo punto di vista è davvero pessimo; non avendolo mai acceso prima, ho ascoltato la voce di Silvia come se fosse l’oracolo, con lo scopo di familiarizzare con il fiammingo, che è una lingua deliziosa, di cui presto parleremo, ma non esattamente amichevole, di primo acchito. Arrivati in Germania e, poi, in Italia, infatti, ho scoperto che sbaglia gli accenti e mozza le parole, dunque mi ha insegnato malissimo la fonetica fiamminga.

Se, invece, volete utilizzare il Tom-Tom per spostarvi da un luogo all’altro, non ho niente da ridire sul dispositivo.
Si isterizza leggermente quando, giunti sul posto, non si tira il freno  a mano in mezzo alla strada, ma si cincischia nei dintorni per cercare posteggio, ma, a parte questa intransigenza sulla prossimità di arresto del veicolo rispetto alla meta, è facile da usare, è veloce a trovare strade alternative se per qualsiasi motivo non si procede su quella inizialmente indicata e, soprattutto, conduce nel luogo dove si vuole andare.
Costa più di un atlante stradale, ma pesa molto meno, si vede anche al buio e libera dal bisogno di leggere i cartelli. Non so se vi capita mai, ma sui miei atlanti stradali non ci sono mai indicati i luoghi scritti sui cartelli e ogni volta mi incazzo come una belva. Inoltre, al prezzo di quattro atlanti, guida in tutta l’Europa e viene gratuitamente aggiornato a vita.
Odio doverlo ammettere, ma abbiamo fatto bene a scaricare la app.

 

Brugge
aka Bruges aka Brügge aka Bruggia

Purtroppo, però, il dispositivo del demonio toglie a questo blog tutto il ventaglio di possibili siparietti esilaranti che tipicamente derivano dallo smarrirsi nella steppa fiamminga.
Giungiamo, dunque, senza eventi degni di nota a Brugge.
Brugge è più nota come Bruges, ma siccome sta nelle fiandre occidentali, la chiamiamo Brugge, in fiammingo, anche perché ho tentato di ordinare la birra in francese (che comunque è una lingua ufficiale) e ho visto che non è stato gradito, quindi prendo nota: non parlare italiano con gli alto-atesini e non parlare francese coi fiamminghi.
Potremmo chiamarla, secondo l’italiano arcaico [fonte: Wikipedia], Bruggia, ma poi sembrerebbe un posto in provincia di Imperia.

Il viaggio è stato più stancante di quello che ci è parso, perché non ci ritroviamo sulla carta.
È chiaro che siamo in centro, ma non ci batte una via. La guardiamo e la riguardiamo, ma la carta proprio non ci parla. Imputiamo la cosa al fatto che le cartine delle guide Lonely Planet non sono precisissime e ci addentriamo in quella che ha tutto l’aspetto della via principale. Scattiamo le prime foto in una giornata calda e luminosissima: sono entusiasta.
“Vedrai la zona dei canali” mi dice Zzi, che c’è già stato.
“Cazzo”, penso io, “non li ho manco visti in carta, i canali”. Riguardiamo. Non ci sono i canali.
Finalmente ci accorgiamo che da venti minuti stiamo guardando la carta di Gent e capiamo che, sì, il viaggio ci ha stancati davvero.

Dunque, è indispensabile andare a rifocillarsi da qualche parte.
Finalmente, in questo viaggio, si mangia e, in questo blog, si parla di mangiare (ma non adesso).

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  1. Pingback: Pièce de résistence vol.II | LARRYCETTE

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