1° Campionato italiano di Trail-o, Parco di San Giovanni, Trieste, 02.10.2010 [2]

La fettuccia della prepartenza rappresenta per Zzi e me le Colonne d’Ercole: puoi anche oltrepassarle, ma hai decretato la tua rovina.

Restiamo al di qua, interloquendo con il presidente e gli altri membri della società lanciando urla belluine, finché quelli non si ricordano che anche noi siamo concorrenti e non possiamo entrare nel campo gara anzitempo. Allora i colleghi ci avvicinano pietosi, come parenti separati dal muro di Berlino.

L’emozione per l’importanza dell’appuntamento imminente e l’apprensione affinché vada tutto bene ci trascinano in un confronto che diventerà presto il seminario dal titolo “Collocare un cartello che indichi la strada per il parco di San Giovanni già all’uscita dell’autostrada sulla GVT: un servizio indispensabile o una premura superflua?”. I fautori del cartello in autostrada sostenevano che chi proviene da là, ovvero tutti gli stranieri dell’est e qualche italiano che ha mancato il Lisert, può essere facilmente tratto in inganno da una segnaletica che non indirizza chiaramente in “centro città” e ritrovarsi in men che non si dica in zona industriale, dalla quale, poi, è difficile ridirigersi in città senza conoscerne i labirintici accessi. I detrattori, altrettanto ragionevoli, osservavano che il sito internet dava precise indicazioni da un determinato punto della città, come raggiungere il quale sta alla scelta del partecipante, che se è tale si è sicuramente documentato per tempo, come si fa di solito. I fautori, a questo punto, osservavano che se è vero che sono tutti perfettamente in grado di trovare la strada con una cartina che probabilmente si sono procurati, noi stessi, recandoci a una qualche gara, abbiamo almeno una volta desiderato che fosse stata meglio segnalata; i detrattori ribadivano proprio che, nonostante questo, siamo sempre arrivati al ritrovo; i fautori volevano cogliere l’occasione del primo campionato di trail-o per cambiare rotta alla perniciosa abitudine degli organizzatori di gare di lasciare il raggiungimento del ritrovo all’impegno dei partecipanti, apportando una miglioria che sarebbe potuta passare alla storia; i detrattori si asserragliavano nella tradizione e nel fatto che è vietato e pericoloso affiggere cartelli sui segnali stradali.
Larry e Zzi abbandonano il dibattito sul più e decidono di andare a procacciarsi il cibo. Non ci siamo presi la briga di andare a controllare se era stato messo il cartello sulla GVT, prego qualche piccolo lettore che è arrivato da quella strada di informarci tutti a riguardo. Per inciso, la focaccia era deliziosa.
Ci siamo, infatti, infilati come due missili patriot in una blasonata pasticceria del quartiere [che potrei anche prendermi la briga di recensire in futuro], dove non abbiamo trovato i tramezzini che speravamo, ma dove ci ha accolto una focaccia con le olive dall’aspetto fin troppo impeccabile per lasciar presagire d’esser buona; infatti era strepitosa. Non lo dico da rassegnata alle focacce dell’est: era una focaccia che sarebbe stata buonissima anche a Genova. Si badi, però, non era una focaccia con le olive tritate nell’impasto, come è uso trovare nei panifici liguri, era una focaccia semplice – a dire il vero un po’ meno condita e un po’ più sfioccata di quella con cui il genovese medio fa colazione, ma è comprensibile che la preparazione sia stata adattata al gusto di un popolo primitivo, incapace di nutrirsi già alle prime ore del giorno con un prodotto simile a pane, ma più unto, più salato e sovente guarnito di cipolle, intinto nel caffelatte dolce – guarnita con una generosa dose di olive nere, tipo quelle di Kalamata di cui siamo tanto ghiotti. L’impasto era soffice e asciutto, si faceva inconsistente in pochi morsi eppure sosteneva egregiamente il lavoro mandibolare che è parte del piacere di mangiare la focaccia; non era unto, ma era saporito e il condimento non era scarso come si sarebbe portati a definirlo dal passo dei Giovi in giù. La superficie era fragrante e liscia, talmente perfetta – interrotta solo dagli avvallamenti delle olive disposte con rigore geometrico –  da apparire alla vista come una sottile crosta di pane, mentre al palato si rivelava essere il prezioso frutto di una lievitazione esemplare. Chapeau.
Io, poi, che ho un rapporto di amore e odio e odio con il lievito di birra e la lievitazione del salato in generale, ero commossa fino alle lacrime.
La commozione, devo dire, s’è trasformata in rammarico quando ho scoperto il prezzo; non so quanto pesasse la porzione, quindi non posso fare un paragone con il costo della focaccia a Genova [che si vende a peso, e non al pezzo, e si ordina in base alla spesa che si intende sostenere, quindi sembra sempre venduta ad un prezzo equo perché non capita mai di volere un euro di focaccia e doverne tirare fuori uno e trentacinque]; oltretutto è diverso tempo che non ne compro un pezzo da passeggio e ho tristemente perso la proporzione euro/fetta. Va bene, va bene. Confesso: sono una vecchia. In realtà, nella mia testa la proporzione è ancora in lire, l’ultimo film di Walt Disney è La Bella e la Bestia, le linee telefoniche sono gestite dalla SIP, il Genoa è in coppa Uefa e Berlusconi è l’innocuo padrone di alcune TV private, tutto sommato carine. Come in Matrix, sono ferma all’epoca di massimo splendore della civiltà, prima di Mulan, prima di Preziosi, prima di Forza Italia e prima che John Travolta dovesse ricorrere al parrucchino per affascinare verosimilmente una Hunziker qualunque che – diciamocelo – non sarà la simpatia travolgente che cerca di farci credere [personalmente le butterei giù i denti, e non fate battute sceme sul fatto che lei, almeno, i denti li ha], ma avrebbe ancora qualche cartuccia da sparare prima di sdilinquire per un vecchio con la panza, nel tentativo patetico di convincermi a pagare un canone superfluo.

Ad ogni modo. La focaccia era deliziosa, il pasticcino anche, nonostante la conservazione in frigorifero avesse messo alla prova la fragranza della pasta sfoglia, e Larry e Zzi possono seguire le fettucce al contrario per effettuare la simulazione con la delegata tecnica. Simuliamo. Pare tutto bene. In cuor mio esclamo il nome di una nostrana erede di Lapalisse [la signora Grazia Alcazzo, la invochiamo tutti prima o poi], essendoci noi cronometristi tutti scrupolosamente preparati nei giorni precedenti, immolando la nostra esistenza al principio di equità che regge l’universo del trail-o.
Ah, come sarebbe migliore il mondo se fosse equo come una gara di trail-o!

Il mantra del principio di equità mi è talmente entrato dentro che stavo per pugnalare con il paletto di una lanterna uno stronzo che a un certo punto ha portato il cane a passeggio proprio in mezzo alla mio punto a tempo [perché il parco è piccolo, non aveva altro posto dove andare, bisognava proprio che passasse in mezzo alle mie cinque lanternine spelacchiate, che non davano fastidio a nessuno]. L’ho lasciato vivere solo perché non ero sicura di saper rimettere la lanterna esattamente al suo posto e perché, fortunatamente, il fenomeno ha portato l’innocente creatura a fare agility fra le mie lanterne – ribadisco: le mie –  tra un concorrente e l’altro, senza, di fatto, inficiare alcuna performance.

Lo svolgimento della gara, per quanto riguarda la nostra giurisdizione, procede fluido e sereno, soprattutto, senza errori da parte nostra.
Ho scoperto più tardi che qualche volta ho dimenticato di riportare sulla seconda copia del cartellino i risultati, ma essendoci stati diversi [appositi] controlli dopo, ciò non ha causato alcuno svantaggio agli atleti.

Una sola volta, Zzi ha fermato il cronometro qualche decimo di secondo dopo di me, perché ha visto con [im]percettibile ritardo che il concorrente ha indicato la risposta, anziché pronunciarla, ma io ero stranamente attenta e ho preso il tempo istantaneamente e lo stesso concorrente ha poi convenuto che entrambi avevamo fermato il cronometro al secondo esatto.

I trailoisti, dal canto loro, sono concentrati come artificieri.
Rem arriva a testa bassa, puntando alla sedia come un siluro. Che professionalità! – penso io – Che fair-play! Altro che quei pivelli di vent’anni, che arrivano lenti come ottuagenari con l’artrite per sbirciare le lanterne qualche secondo in più, insultando l’intelligenza dei cronometristi [la mia, però, non se l’è presa, perché s’era assentata per far merenda]! No, macché. Sarà anche fair-play, ma nella fattispecie stava facendo finta di non conoscerci.
The Speaker, pur con la compostessa e gli occhi bassi dei professionisti, è invece leggermente più affabile, salvo poi partire alla volta di Monte Prat immediatamente dopo la gara per non rischiare di interagire nuovamente con noi.
Scaturirebbero interessanti spunti di riflessione da queste esperienze, ad avere almeno il pollice opponibile.

Poi, finalmente, tocca anche a noi fare la gara.
Per poter farci partecipare alla competizione nel rispetto delle regole e del Principio di Equità [Chomsky, 1987], il comitato tecnico ha escogitato questo formidabile escamotage, che al confronto le leggi ad personam sono prepotenze infantili [ho sbagliato, scusate, dimenticate il paragone: le leggi ad personam sono prepotenze infantili indipendentemente dal sistema di riferimento]: iniziamo per primi, facciamo i punti a tempo prima della partenza vera e propria  – quindi senza averli visti prima, come tutti gli altri –  e poi completiamo la gara per ultimi, grazie al fatto che dalla nostra postazione non si vede il resto del terreno di gara.
Ho fame, ho mal di piedi, ho mal di schiena, ho il culo arrosto, ho sete, ho sonno, ho voglia di una doccia, ho voglia di un bignè, ho bisogno di una ceretta, ho intenzione di cucire, ho un sacco di roba da leggere, ho promesso che avrei lavato i vetri…ho finito le scuse, la verità che sono stati mossi mari e monti per permettere anche a me di gareggiare che  dire adesso che non ne ho voglia mi pare estremamente sgarbato. Si noti l’ordine delle parole [l’Italiano è una lingua in cui l’ordine delle parole è determinante]: “[…]dire adesso che non ne ho voglia” e non “dire che adesso non ne ho voglia”. Significa che lo sapevo da subito che non ne avrei avuto voglia, ma poiché ho taciuto quando era il momento di parlare mi sono ritrovata a non potermi più tirare indietro. Un po’ come se Benjamin Braddock facesse irruzione in chiesa sui titoli di coda, ecco.

Nonostante il trail-o sia la disciplina della calma e della riflessione per antonomasia, io riesco a sbagliare DUE VOLTE a punzonare il cartellino. Dopo un’attenta riflessione, dopo essermi ripetuta la risposta come un mantra, dopo aver verificato che fosse proprio quella la desiderata, dopo aver tenuto il segno col ditino sono arrivata al punzone e D’OH! Ho bucato quella sbagliata. Una volta me ne sono accorta e mi sono appuntata la risposta esatta nella casella, ben sapendo che ai fini del risultato non conta [e ci mancherebbe altro: hai tre quarti d’ora per decidere dove fare un buchetto, una cavia guercia ci impiegherebbe meno], per poter almeno, alla fine, confrontare la mia risposta con la soluzione; l’altra volta, invece, me ne sono accorta solo alla fine, quando, stupita come i discepoli davanti al sepolcro vuoto, ho scoperto che sul cartellino non c’era la risposta che avevo dato nella mia testa.
Perbacco, non mi sono ancora fatta un lifting ed è già l’ora della mia prima tac al cervello…come vola il tempo!

3 thoughts on “1° Campionato italiano di Trail-o, Parco di San Giovanni, Trieste, 02.10.2010 [2]

  1. the speaker

    Ci sarebbero tante cose da dire dopo la lettura di un post come questo… verrebbe da chiedersi quante cose piccole succedono prima, durante e dopo una gara di orienteering che solo a raccontarle se ne potrebbe riempire un ciclo di seminari. Verrebbe da dire che solo ci ha provato per una volta ad organizzare una qualsivoglia ori-gara salterà un pezzo di fila durante il Giorno del Giudizio e passerà direttamente in Purgatorio perchè l’Inferno lo ha già visto in terra (questa è molto di stampo rugbistico…).

    Ma in fondo in fondo dal cuor mi sgorga solo un motivetto: “Per fortuna che Larry cè!” (sottotitolo: “Marienhof!”).

    Grazie dal profondo del cuore, alla prossima (gara or not gara)

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.