A spasso con Larry: soluzioni di mobilità incomprensibile

Gli orientisti non sono come gli altri atleti, che indossano o smettono i panni sportivi secondo voglia o necessità. Non sono calciatori o canottieri che, tolti gli scarpini e riposti i remi, agiscono nel quotidiano come persone comuni.
Gli orientisti restano orientisti anche quando non hanno una bussola al dito: anche se non sono in gara, come orientisti sempre pensano e agiscono.
Io non faccio eccezione.

O, meglio, faccio nella vita quotidiana le stesse madornali cazzate che faccio in gara.

A spasso con Larry

Soluzioni innovative di mobilità incomprensibile

 

Un giorno, mi sono ritrovata dalle parti della sede triestina di Confindustria, in piazza Casali (formerly Piazza Scorcola).
Erano le 20 in punto, e dovevo essere alle 20.30 nei pressi del cimitero di Barcola.
Poche le scelte di percorso, la maggior parte delle quali da scartare per ovvie ragioni di lunghezza e dislivello (il primo tratto di via Commerciale sale a quasi il 7%, salita di Gretta è più corta, ma pende uguale o poco più).

Ecco la pratica, semplice, insbagliabile soluzione che propone Google.

Ma io questa strada la conosco, anzi: l’ho già fatta.
All’orientista non piace percorrere due volte la stessa strada; se il tracciatore ti fa tornare indietro da dove sei venuto (cioè, se per andare al punto successivo conviene tornare sui propri passi), l’orientista afferma senza tema di smentita che il tracciatore è un cretino e che è ora di finirla di rimettere la buona riuscita delle gare alla fortuna, dando incarichi di rilievo a dilettanti, e poco importa se il tracciatore è uno che ha più punti in lista base che nella tessera del supermercato e l’orientista polemico è dovuto tornare sui suoi passi solo perché aveva clamorosamente cappellato l’approccio al punto, prendendolo dalla parte sbagliata.

Avendo già percorso questa via un paio di volte, oltretutto, avevo notato che mi costringeva a fare ben due angoli retti e che, intorno ai binari della stazione, faceva un’ampia curva, con la quale sperperava un sacco di strada.

Di certo, esiste una soluzione alternativa, più breve e più rapida!

Google dice di no, ma io sono un’orientista, il mio successo si fonda sull’arroganza di credermi in in luogo, credere di muovermi nella direzione di un altro e credere di esserci giunta (un minimo dubbio, in qualsiasi punto del processo, costringerebbe a rimettere tutto in discussione determinando lo smarrimento totale, questo è l’unico modo di mettersi a cercare la lanterna quando si hanno le più alte probabilità di essere nei suoi paraggi): me ne batto il culo di quello che dice Google!

Un bravo orientista non è quello che sceglie la strada più breve, bensì la più veloce da percorrere, secondo le proprie capacità.
Profondamente consapevole delle mie attitudini atletiche, scelgo il percorso a parabola: salgo per via Commerciale, giacché a me il dislivello fa una pippa.

All’altezza di via Paulliana, smetto di mangiare la mela che tengo in bocca come fossi un porco allo spiedo, perché mi vien già da vomitare per lo sforzo e l’attraversamento pedonale è provvidenziale.
Mentre procedo con un ritmo più modesto, ma più regolare (è meglio – mi dico – è un’andatura più performante nel complesso, qualsiasi cosa significhi), leggo la mia cartina immaginaria per meglio pianificare il percorso.
“Dunque, su di qua si va per…  scendo in via dei Cordaroli, poi vado… No, un momento! Se scendo per via dei Cordaroli, mi ritrovo in piazza a Roiano, ma io devo andare a Barcola: devo continuare su di qua fino al Faro della Vittoria”.
Provvidenziale, la vocina della mia testa che non è un orientista e guarda le mappe di Google, interviene: “Larry, idiota, di qua non si va al Faro della Vittoria: di qua si va a Opicina”.
Merda. È vero.
Al Faro della Vittoria si arriva da un’altra strada: via Udine, che poi diventa Salita di Gretta e Strada del Friuli, e che sta sulla curva di livello intermedia fra la strada sulla costa suggerita da Google – viale Miramare – e quella su cui sto procedendo io.

Non importa, posso ancora tornare su via Udine scendendo le scale che portano in piazza Belvedere. È un errore di pochi minuti, posso recuperarlo; ok, forse i minuti sono 5, considerando che non sono proprio un fenomeno nelle discese, ma sono l’unico concorrente, mi basta arrivare entro il tempo massimo. Non facciamoci prendere dall’ansia, che se, per la fretta, mi imbelino giù dalle scale, allora sì che poi arrivo tardi.

Riprogrammo il mio percorso così:

In realtà, non proprio così, perché Google non sa che la scala che scende da via Commerciale porta effettivamente in via Udine e non devo fare il giro del Fullo indicato in carta.
Ecco il dettaglio del percorso realmente effettuato.

Ora che sono sulla strada giusta, devo solo procedere spedita per recuperare il ritardo accumulato con la discesa della scala, che – come prevedibile – non era stata particolarmente fluida.
Tipicamente, questo ragionamento è foriero, in gara, delle più atroci sventure, perché gli errori di lettura della carta e di calcolo delle distanze sono direttamente proporzionali alla velocità dell’atleta, ma qua me lo posso permettere.

Giunta alle pendici di Salita di Gretta, non mi lascio intimorire dal dislivello – che notoriamente mi fa una pippa – e continuo con falcate veloci, più o meno fino all’altezza del civico 10. Tenete conto che la salita era iniziata grosso modo al civico 6.

Giunta in piano, è il momento di riguardare la mia cartina immaginaria, già che la volta precedente mi aveva portato bene e mi aveva evitato di finire in pasto ai lupi.
A questo punto, due sono le scelte di percorso disponibili.

La più diretta prevede di scollinare alle pendici del faro, ma la scala che collega via del Perarolo a via del Boveto è chiusa al transito perché pericolante (e pericolosa). Di giorno, facendo attenzione, ci si può sentire molto trasgressivi e andarci lo stesso, ma la sera, presumendo che non sia illuminata, è un terreno insidioso.
Lo so perché una volta ci ho corso. Cioè, non è che ho corso su (o giù, sarebbe comunque un’impresa eroica, per me) per la scala: mi son trovata a dover superare questa scala per andare da A a B durante una corsa, e l’ho affrontata con la cautela del caso. So come è fatta, quindi. So che non è una buona idea rifarla, per giunta al buio, per giunta in discesa, per giunta con le gambe fritte che ho adesso, che sto camminando sui 9 min/km (non ho il GPS, ma fidatevi: i miei quadricipiti flaccidi sono incredibilmente precisi, per questo tipo di misurazioni).

Opto, allora, per la scelta conservativa à la Larrycette: scendo su viale Miramare per Salita alla Madonna di Gretta, ovvero, mi riprogrammo in questo modo:

Vista così, non è neanche una brutta idea, ma quando sono sul posto, mi rendo conto dell’atroce realtà, che avrei pur dovuto conoscere, dato che ho corso anche qui: la strada scende dritta per un po’, ma, prima di congiungersi con viale Miramare, piega verso sud e là continua ad andare nonostante due piccoli tornanti, lasciando la malcapitata sedicente orientista circa 170 metri “indietro” rispetto a dove pensava di uscire, vale a dire con circa 300 metri da percorrere più del previsto:

Sulle tratte lunghe e senza scelte di percorso, l’orientista corre, e io, a ‘sto punto, non dovrei essere da meno, anche perché sono le 20.22, mi sono mangiata un sacco di minuti in scelte di percorso ingiustificabili e devo – secondo la logica di ogni gara di orienteering che si rispetti – recuperare sulla tratta “sicura”, compensando con la performance fisica la debàcle strategica.
… Ma non sono adeguatamente equipaggiata per correre, ho le scarpe di gomma, sì, ma sono da passeggio, hanno la tomaia di cuoio e la mescola della suola è ormai fossile. Però sono leggere. E le ho comprate all’ultimo anno di liceo, sono praticamente un guanto.
Penso che, in fondo, su questa strada corrono tutti.

Fa un caldo bestia e io sono in giro in mezze maniche, con la felpa di Joe Falchetto legata in vita. Ho l’indispensabile in tasca e sono senza borsetta.
Ho i jeans, è vero, ma sono appena più recenti delle scarpe (primo paio pagato in euro!), morbidi e aderenti, con il buio nessuno si accorgerà che non sono pantaloni da corsa particolarmente trendy.
Tutto sommato, non dovrei far più di tanto la figura della pazza se mi metto a correre.
Ah, merda, ho un sacchetto di carta contenente una mela in mano, forse la figura della pazza la faccio eccome.
Senti, Larry, fanculo, guarda che ore sono. Non c’è un cazzo di nessuno che ti vede, muovi i culi.

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[Immagine di repertorio]

La debàcle fisica non tarda ad arrivare.
Prima di arrivare in linea d’aria con il Faro, mi sono fermata a rifiatare cinque volte. Facciamo finta che sia una sprint con lanterne molto vicine e strade molto intricate, va’…
Presa dalla disperazione, alla fine compio l’unica scelta di percorso sensata della serata: taglio per una scaletta dissestata in mezzo alle frasche, che solitamente evito perché in quei sette gradini potrebbero nascondersi insidie letali, ma che stasera affronto con baldanza perché non posso permettermi più di allungare la strada, neppure di cinque metri.

Fatta eccezione per quest’ultimo guizzo, credo di avere infilato la sequenza completa di scelte sbagliate che si potessero fare, allungando il tragitto di almeno mezzo chilometro e condendolo con una ventina di metri di dislivello del tutto inutile, spodestando, così, lo Speaker dal gradino più alto del trofeo Oridiozia 2013.

 

 

L’altra sera correvo e pensavo che no, non ho, decisamente, il fisico e la tenacia del corridore, che all’orientista sono richiesti.
Pensavo che non ho, tragicamente, neanche la mente dell’orientista, anche se comincio a intuirne la psicologia (ma non a condividerla, sia chiaro!).
E che non avrò, certamente, scampo la prossima volta che mi metteranno una cartina in mano, ma anche che non ho, fortunatamente, gare impegnative in vista.

L’altra sera, mentre rischiavo gli incisivi sulla ciclabile più disastrata del mondo, correvo e pensavo con inedita preoccupazione che  – belin! – ero già pezzi.
E meno male che il campionato di società era finito perché non ne potevo più.
Anche se forse potevo dare la colpa al caldo anomalo.
Sì, dai, era il caldo.
Solo a pensare di fare una gara in queste condizioni c’è da star male.
Mamma mia: Larry a pezzi.
La mia meta è diventata un albero in fondo alla strada, pazienza se arrivo tardi.
Meglio l’albero a metà della strada, va’.
Madonna, che caldo.
Insopportabile!
Perché – ri-belin! – eravamo a fine ottobre ed ero in mezze maniche, e l’anno scorso a questa stagione…

Minchia.
L’anno scorso a questa stagione stavo come adesso, ma mi cagavo in mano in vista del MOV, invece quest’anno non lo fanno e fortunatamente, come detto, tra due settimane non mi sarà richiesto di correre per dieci chilometri, che poi io, in un attimo, faccio diventare quattordici.

Va be’, “fortunatamente” un cazzo.

 

3 thoughts on “A spasso con Larry: soluzioni di mobilità incomprensibile

  1. cri

    “taglio per una scaletta dissestata in mezzo alle frasche, che solitamente evito perché in quei sette gradini potrebbero nascondersi insidie letali”.. dov’è sta scaletta? Non eri già arrivata in viale Miramare?

    Potevi passare a prendere un caffè…

  2. Larry Post author

    Ehm… ok, “scaletta” forse è un po’ altisonante.
    Mi riferisco a quegli otto-gradini-otto nell’aiuola che, arrivando dal centro, precede l’attraversamento pedonale su via del Boveto.

    Praticamente, provenendo da Roiano, hai il circolo Saturnia alla tua sinistra (marciapiedi opposto), il muro del cimitero alla tua destra e tra te e il cimitero ci sono un’aiuola e una stradina parallela al marciapiedi su cui sei, che “torna indietro” fino a un cancello.
    La scaletta è in mezzo all’aiuola e permette di raggiungere la stradina senza fare il giro, taglierai sì e no 20/22 metri!

    La prossima volta corro più forte e vengo a ciorme un capo su de ti!

  3. Giulio GMDB

    Avresti lo spirito giusto per fare la motociclista: in moto per andare da A a B non si sceglie mai il percorso più breve o più diretto ma quello più arzigogolato :-)

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