Being Agenda Larrycette [2]

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Chiamo il numero SDA che sta sul bigliettino. Mi districo nel labirinto di numerini da schiacciare e non ci casco: aspetto la fine del messaggio, quando la rassicurante voce femminile nomina a mezza bocca la possibilità di parlare con un operatore. Dal menù automatico, infatti, è possibile cambiare solamente la data di consegna, ma non l’indirizzo. Quindi il messaggio è: “Siamo passati in orario di lavoro per essere sicuri di non trovarti, del resto non è che possiamo consegnare di notte, quindi, pure te, fattene una ragione. Ora ci ostiniamo a passare quando non ci sei, così, se vuoi ricevere il tuo pacco devi: a) prendere un giorno di ferie se hai un impiego con contratto da dipendente; b) rinunciare alla remunerazione se hai un contratto atipico; c) perdere delle lezioni se sei uno studente; d) rimanere in casa anziché uscire a cercarti un lavoro se sei un disoccupato”. Resto ostinatamente in linea e parlo con un operatore, che non è neanche esageratamente gentile come la crisi di posti di lavoro ci ha abituati a percepire gli operatori telefonici, ma è mediamente educato e ripete diligentemente la formula del “come posso esserle utile”, che è una delle espressioni meno naturali della lingua italiana, che un giorno qualche guru del marketing sedicente esperto di comunicazione ha deciso essere la formula giusta per rivolgersi al cliente (non si sa bene con quale scopo, dato che in questo caso è il cliente a chiedere una gentilezza, quindi non ci sarebbe tutto ‘sto bisogno di ingraziarselo, essendo che un proficuo scambio cliente/fornitore si regge perfettamente sulle basi dell’educazione) e da allora tutti i lavoratori del commercio la usano per rivolgersi a potenziali clienti i quali, rassegnati all’affettazione, superano la bruttezza dell’atto locutorio e innescano una conversazione comunque, dando adito al tragico equivoco che la formula “come posso esserle utile” inneschi una comunicazione efficace. No. Un cazzo. Non è la formula assertiva che presume l’esistenza di un’utilità del parlante a vantaggio del ricevente che fa percepire al ricevente una vantaggio effettivo nel rivolgersi con fiducia al parlante e lo dispone bene per un eventuale acquisto (di beni, servizi o semplicemente per una fidelizzazione con vantaggio a più lungo termine). No. È il ricevente che capisce la pantomima e si presta ad essa, per una miriade di ragioni che vanno dal naturale, irresistibile, istinto alla comunicazione, alla simpatia nei confronti dell’operatore vittima impotente di un sistema più grande di lui, alla necessità di interloquire in qualche modo con l’emittente.
Per inciso, il guru del marketing, che una mattina si è svegliato e ha creduto di trovare la chiave dell’universo nell’evitare domande polari che potessero mettere in difficoltà l’emittente con una negazione (Posso aiutarla/ha bisogno di qualcosa? – No, grazie), ha una padronanza del linguaggio molto scarsa perché, volendo, si può rifiutare l’intervento dell’emittente con la semplice risposta “In nessun modo”. “Come” presuppone l’esistenza di un modo di essere utili, ma l’interlocutore ha comunque modo di negarla. Quindi, l’inventore dell’espressione “come posso esserle utile” in contesti e scopi commerciali è una persona con pochissima capacità di prevedere e gestire le obiezioni (colpa per la quale in un qualsiasi call center ti strappano gli occhi). Nonostante questo, decine, e poi centinaia, e poi migliaia di persone nel mondo se la sono bevuta, e ora incolpevoli vittime della recessione si piegano a pronunciare questa formuletta dozzine di volte al giorno, insultando l’intelligenza dei loro interlocutori, i quali avendo bisogno del loro operato, la accettano passivi. In pratica, è lo stesso effetto che se chiedessero “Cazzo vuoi?”.
L’operatore dell’SDA mi dice che il numero di pacco è un pacco delle poste, di conseguenza lui non può far niente, ma io posso chiamare il numero verde delle poste.
Anche qui, slalom tra le possibili scelte del menù automatico e pubblicità su pubblicità di prodotti verso i quali – visto l’andazzo – ho scarsissima fiducia, e finalmente l’accento delicatamente meridionale di una donna giovane. La paziente operatrice rintraccia il pacco e trasecola: è partito il venti dicembre? Ma come? Sì, le spiego tutta la storia, della spedizione e del reclamo, ma la poveretta, sinceramente dispiaciuta o sopraffina attrice, mi dice che essendo trascorsi più di quattro mesi dall’invio (quattro mesi e nove giorni….che tempismo eccezionale, queste Poste), lei non può più intervenire sulla spedizione e non è possibile modificarne l’indirizzo. Ad ogni modo, è nuovamente in consegna oggi, quindi non lo potrebbe fare comunque. Nota folkloristica: nel ricapitolare la storia  surreale del viaggio dell’agenda, la Paziente Calabrese cita frotte di tentativi di consegna (passato il quinto ho smesso di contare perché credevo che la giovane si fosse incantata, invece enumerava), non si capisce bene fatti dove, dato che rem non ne ha avuto notizia. È vero che ultimamente è spesso fuori casa, ma oggettivamente è difficile pensare che in quattro mesi non lo abbiano mai trovato, né lui abbia mai trovato un foglietto al suo rientro.
Alla fine, il consiglio dell’operatrice, a titolo puramente personale, è attendere che smettano di consegnare e andare a ritirarsi il pacco presso il magazzino SDA a tron del diavolo.
Quando si dice “dodici euro spesi bene”!

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