Che bambola! The making of “Le Squinternate”

Come alcuni di voi sanno (e come mi guardo bene dal dire prima, allo scopo di vedere chi si ricorda e chi no), secondo una fortunata tradizione inaugurata nel 2001, ieri, 13 ottobre, ho compiuto – di nuovo – 21 anni.
Approfitto per fare tardivi auguri anche alla Veloce Violinista, di cui si festeggia il compleanno lo stesso giorno; gli auguri tardivi, si sa, sono i più belli ().
Il 13 ottobre è anche il compleanno di Open Office, della Casa Bianca e di Luis Appia, che, oltre che essere il padre opprimente del povero Adolphe, fu uno dei fondatori della Croce Rossa.
Presumibilmente, nei secoli, in questo giorno sono accadute anche cose brutte, ma la mia nascita le oscura tutte (interpretate l’affermazione come volete).

Anche quest’anno ho avuto la fortuna di ricevere molti bei regali, dei quali vedrete che non mancherò di vantarmi nei prossimi post, con l’eleganza che mi contraddistingue.
Tralasciando volutamente il messaggio vocale di Livio e Otti (che ancora non ho ascoltato e che tremo all’idea di ascoltare) e l’insuperabile performance canora delle M&M’s dal Friul, voglio, per ora, solo soffermarmi sul significato particolare che i doni di due persone hanno avuto.

La prima di queste persone è CP, che dopo soli quattro anni ha rinunciato a regalarmi CD che non capisco e, all’ultimo compleanno in edicola,  si è presentato con un capo di abbigliamento prestigiosissimo ed esclusivo:

[Nota a margine: nella foto si notano anche i miei nuovi orecchini Cautero, dono di Elisa e Quellolì/Max, mentre la gonna è un regalo della Giraffa di un’occasione precedente; gli stivali da pioggia sono una scelta tutta mia. Non vi posso mostrare il volto perché a causa dell’età mi si sono schiariti i capelli e, con la luce di questo scatto, potrei essere scambiata per Ida Bobach].

Il grande significato di questo dono risiede nel fatto che, con esso, il mio futuro ex collega dimostra di avere finalmente accettato la mia natura di elegante fashion-victim e che la pianterà di cercare a tutti i costi di inculcarmi la comprensione della musica, per poi restarne frustrato.
E poi – pochi cazzi! Poiché io non possiedo la maglietta con Daffy Duck nella posa di “Springsteen  Live ’75-,85”, questa è la più bella maglietta che si trovi in questo momento nel mio armadio o dalle parti di esso (difficilmente, infatti, i miei vestiti stanno riposti dove dovrebbero).
Non se ne abbiano coloro che mi hanno regalato altri simili indumenti: contro Bambino non c’era nulla da fare, e io non resistevo un minuto di più per vantarmene.

Ma non era di questo che vi volevo parlare…

 

L’altra persona il cui dono va oltre l’oggetto datomi è la mia amica Giraffa, che mi ha solo in apparenza regalato una bambola – e che bambola! – poiché, attraverso essa, mi ha donato un posto assicurato nel firmamento degli illustratori, lanciando in men che non si dica la mia sfolgorante carriera e rendendomi subito protagonista su altre, prestigiose pagine.

Ora che, grazie a lei a al suo dono, ho finalmente trovato la mia vera strada, ho deciso di mostrarvi come nascono le vignette migliori, svelandovi il “dietro le quinte” del fumetto che mi ha dato notorietà internazionale: il mio contributo a “La Giraffa” per “Le Squinternate”.

Come nasce un grande guestpost per La Giraffa

The making of “Le Squinternate”

 

Il piano

Per prima cosa, dovevo procurarmi immagini delle bambole nelle pose che mi occorrevano, a seconda delle scenette che volevorappresentare.
Ma quali pose mi occorrevano?
“Non importa – mi sono detta – le metto in tutte le pose possibili e immaginabili, poi le seleziono” (come dico quando faccio trentasette foto dello stesso fianco della Tour Eiffel).

Per procurarmi immagini delle bambole in posa, ho allestito un set altamente professionale.

Contro lo sfondo del muro bianco (a sinistra nella foto), avrei fotografato le bambole tenendole in mano accucciata sotto al tavolo, grazie a uno specifico cavalletto creato per l’occasione.
Vi prego di non pensare che io abbia perso il cavalletto della macchina fotografica e abbia dovuto arrangiarmi con la scatola del vino.

Facendo una prova, mi sono resa conto che i miei occhiali non erano a raggi x e che, da sotto il tavolo, non vedevo in che posa mettevo le bambole, quindi sarei dovuta stare in piedi per guardarle; non era un problema, mi sarei cancellata con il programma di fotoritocco (dunque lo sfondo bianco si faceva improvvisamente inutile).

[A questo punto val la pena notare che mi sono ridisegnata la faccia talmente bene che se ci lasciavo la mia era uguale, anzi: forse mi si riconosceva meno; in compenso, non mi sono ritoccata i capelli, quindi ora tutti sapete – pure io, che non lo avevo mai notato prima – che sono pelata]

 

L’attrezzatura: Nikon Cùl Pix

I miei piccoli lettori devono sapere, a questo punto, che la mia macchina fotografica è una Nikon Cool Pix, che io chiamo triestinamente “cùl” pix, perché a Trieste “culo” è anche un aggettivo e significa “scadente”. Se non è annoverata fra gli articoli di cui suggerisco di dotarsi alla pagina Shopping, un motivo ci sarà!

Ad esempio, un giorno sono andata a correre sulla Napoleonica. C’era un cielo turchese-asilo, l’aria era limpida e il castello di Miramare spiccava come un ciuffo di panna in un mare di caffè fra il blu del mare e il verde intenso del parco; ero così inebriata da tanto fulgore che ricordo di aver pensato, probabilmente perché già in debito di ossigeno: “Dio c’è, ed è Tim Burton”. Ho fatto delle foto in previsione di fare qualche #patiscici su twitter e questo è il patetico risultato:

Non bastasse, quella macchina è difettosa: non “sente” quando premo il pulsante a destra, ma percepisce comunque una pressione, attribuendola ad un’altra direzione, generalmente il “giù”. Ogni volta che cerco di modificare un’impostazione, quindi, mi chiede se voglio cancellare l’ultima immagine scattata.
La pantomima si ripete almeno una mezza dozzina di volte, poi, a furia di cercare di darle il comando giusto, inspiegabilmente “comprende” ed esegue quanto desiderato. Aspettarsi una diversa reazione al medesimo stimolo reiterato all’infinito è da malati di mente, infatti io persevero, certa che prima o poi la mia macchina fotografica si rassegnerà a fare quello che le chiedo.

Scattata una foto, guardo com’è venuta, per capire se rifarla o meno.
Quando rimetto la macchina in modalità “scatto”, devo ridarle le impostazioni di flash e autoscatto, e la farsa del comando “destra” preso per “giù” ricomincia.
Come se non bastasse, ho l’impressione che ad ogni foto aumenti il numero di volte in cui la macchina non prende il comando giusto, perciò per i primi scatti sono occorsi due o tre minuti l’uno, per ciascuno degli ultimi ce ne sono voluti cinque buoni.

Come a dire che,  nel tempo in cui io ho fatto una foto alle Squinternate, Zzi avrebbe potuto correre piano per un chilometro.

 

Azione!

In ogni caso, il piano restava posizionare la macchina fotografica sulla scatola, impostare l’autoscatto e precipitarmi dall’altra parte del tavolo a reggere le Squinternate.

La Nikon Cùl Pix ha due opzioni per l’autoscatto: 2 secondi o 10 secondi di attesa.

Pochi giorni prima, Zzi mi aveva trascinata a correre, e avevo corso un chilometro in 8 minuti/8 minuti e mezzo. Anche se il tempo che una persona normale impiega a percorrere di corsa un chilometro è di 5 minuti, che possono scendere a 3 se parliamo di uno che corre davvero, stimo che il mio tavolo è sufficientemente più corto di un chilometro da permettermi di arrivare dall’altra parte in due secondi.

Stimo male.

 

Al primo tentativo di autoscatto non arrivo neanche a spostare la bambola dal tavolo.

Poi, un po’ perché mi scaldo, un po’ perché opto per l’attesa di dieci secondi, dal secondo tentativo in poi sia io che le Squinternate siamo dentro l’obiettivo.

Non tutte le foto, però, sono venute bene.
A volte mi sono dimenticata di rimettere il flash.

 

A volte i piedini della bambola non erano appoggiati al tavolo, e in questa fase del lavoro pensavo ancora che il tavolo mi avrebbe comodo come piano di appoggio nelle immagini che avrei creato (poi ho buttato nel cesso quarti d’ora su quarti d’ora per far sparire anche il tavolo).

 

Altre volte la mia presenza era “troppo invasiva”, ma io non sono mai stata una perfezionista, per fortuna!

 

Nel giro di un paio d’ore, però, mi sono procurata tutte le immagini che mi servivano, o comunque,sono giunta a concludere che quelle che avevo mi sarebbero state più che sufficienti e che potevo farmele bastare.

Solo per la cronaca, neanche questa volta ho realizzato il proposito di cercare un centro assistenza Nikon a Trieste per portare al Cùl Pix a riparare; considerando, però, che non si è mai guastata, ma che è arrivata così quando l’abbiamo comprata tre anni or sono, forse il momento non è più tanto lontano.

 

 Postproduzione

Era giunto il momento di far sparire me dalle foto e ottenere solo le immagini delle Squinternate.
Cancellarmi insieme allo sfondo con lo strumento “gomma” non sarebbe stato sufficiente, perché non avrei ottenuto altro che un’immagine con una macchia bianca dove prima c’ero io.

 

Devevo, allora, incollare l’immagine su un’altra, trasparente, in formato .png, e solo a quel punto scontornare con la gomma.
Per me l’operazione – come tutte quelle di disegno – è piuttosto facile perché per il mio compleanno dell’anno scorso Zzi mi aveva regalato la tavoletta per disegnare al computer; funziona con uno strumento per lasciare la traccia fatto esattamente come una penna, quindi il movimento è il medesimo del disegno su carta.
Passati i primi momenti in cui non ci si capacita di dover guardare lo schermo anziché la propria mano, si disegna con sorprendente naturalezza.
Ecco: piuttosto che la Cul Pix, compratevi la tavoletta e poi guardate ammirati i vostri stessi disegnini, dà più soddisfazione!

Onde evitare di avere bambole uscite da Lilliput e da Brobdingnag, bisogna fare attenzione al fatto che le immagini abbiano le stesse dimensioni.

Si creano, quindi, gli sfondi su cui far agire le bamboline.

 

Poi li si guarda schifati e li si arricchisce di colori e dettagli.
Come detto, disegnare con la tavoletta è esattamente come disegnare su foglio (con la sola differenza che, se colori male, lo puoi rifare e non resta il segno): facile – sì -, divertente – sì, un sacco -, ma rapido… rapido proprio no, soprattutto se decidi di fare i dettagli “a matita” e ci vuole una vita a colorare gli spazi.
Terminato il terzo sfondo, ho stabilito che quelli che avevo erano proprio belli e che non avrebbe avuto alcun senso farne altri.

Ho sovrapposto, a questo punto, l’immagine scontornata delle Squinternate allo sfondo creato “in studio”, grazie a un programmino formidabile che si chiama “pixlr” e che si può usare gratis online (e che si intende a meraviglia con la tavoletta).

Poi ho spostato l’immagine delle bambole affinché si armonizzasse almeno in parte con lo sfondo e non sembrasse che Loretta stesse spingendo Frangetta giù dal ponte di una nave!

 

 

Storytelling

A questo punto, non mancava che aggiungere i fumetti per raccontare, attraverso il loro dialogo, la personalità delle Squinternate e dare al lettore informazioni sulle rispettive storie.
Naturalmente, avendo io un’immaginazione fervidissima,  è tutto inventato, e né i nomi né le caratteristiche dei personaggi che ho fatto impersonare alle bambole sono in alcun modo ispirati alla Giraffa e me.

2 thoughts on “Che bambola! The making of “Le Squinternate”

  1. Francy

    Accidenti e io che credevo di essere solo una banale impiegata con qualche blanda attitudine per il cucito….
    …Sono una scopritrice di talenti!! Cacciatori di teste, litigatevi un contratto per le mie eccezionali prestazioni!

    Grazie ancora Larry, soprattutto per aver inventato tutto… <3

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