Non so se lo avete mai notato, ma c’è una forchetta nel logo del blog. C’è anche una chiave di sol e – sapendo quanto bene io mi relazioni alla musica – è lecito pensare che per comporre il logo Elisa abbia pescato le letterine dal sacchetto dello Scarabeo e abbia raffigurato il meglio che è riuscita a comporre, tuttavia l’argomento originale del blog era il cibo.
Poiché ultimamente sono andata leggermente fuori tema, ho deciso di sfruttare al meglio la trasferta orientistica per il Chicken Challenge e abboffarmi di qualsiasi cosa, per potervene dare un resoconto.
Per arrivare preparata all’atmosfera austriaca, faccio una Linzer Torte da mangiare in edicola per celebrare la mia partenza. Quando raggiungo Zzi sul luogo dell’appuntamento presento evidenti tracce di marmellata di frutti di bosco (non avevo né mirtilli rossi né lamponi, ancora grazie che non ci ho messo quella di albicocche) agli angoli della bocca, diffusa untuosità ai polpastrelli e pure CP c’ha una patacca sulle braghe. Non credo di avervi mai raccontato come si fa la Linzer Torte. Evidentemente c’è un motivo, non sono mica come la Giraffa che sputtana i suoi segreti ai quattro venti.
Essendo partiti alle 17,30 (è stato un lungo e commovente addio tra CP e me, per dare un taglio al quale Zzi ha minacciato di partire senza di me), abbiamo consumato la cena già nella terra della Sacher.; in un semplice autogrill, ma pur sempre nella terra della Sacher.
Tempo della sosta: sessanta minuti, di cui meno di venti per mangiare e circa quaranta per scegliere le pietanze, essendo tutte esotiche e interessanti ai miei occhi. Tra le zuppe scelgo quella di asparagi, che si rivelerà salata al limite dell’immangiabile, poi opto per assaggiare un po’ di tutto dal carrello delle insalate; il piatto piccolo costa cinque euro e rotti, il medio circa sette. È un furto e io, paladina del consumatore, fotto il sistema stivando più cose possibili nel piatto piccolo, come ogni Italiano in ferie che si rispetti.
Ci tengo che sappiate che nella vita reale sono un individuo abbastanza normale e insospettabile, e generalmente mi nutro compostamente di bistecche e uova al tegamino, ma per mero senso del dovere nei confronti del blog, ho selezionato le cose più assurde (o che non capivo) e ho assaggiato per voi:
- zucchini arrostiti con le olive: “che c’è di strano?” diranno subito i miei piccoli lettori; niente, li ho scelti come ancora di salvezza qualora il resto fosse stato da sputare nei vasi da fiori. Ad ogni modo erano pieni di aceto e la loro temperatura a stento superava i tre gradi. Ora mia suocera potrà dire che serve tipica cucina austriaca.
- Insalata di striscioline di salame Parigi con cipolline sott’aceto, peperoni, rondelle di cipolla, irrorata di aceto (‘nzomma….cioè, quando l’ho scelta ho visto cos’era, quindi non starò qua a lamentarmi, però, se un domani capiterete in un autogrill austriaco e vedrete una cosa del genere e vi verrà la curiosità di provarla perché ‘boh, che ne sai, magari è buona’, ecco, no: magari non è buona per niente)
- Terrina al basilico: “E che cazzo è?” diranno subito i miei piccoli lettori. Non lo so, si chiama proprio “Basilikumterrine” e non serve sapere il tedesco per capirne il nome, occorre invece un’approfondita conoscenza e un reverenziale rispetto della cultura austrogermanica per concepirne ed accettarne l’esistenza. Per forza che Sissi era magrissima: le davano tutti i giorni questa roba e lei ce la lasciava. Ora: lo so che dire che la pizza è famosa e amata in tutto il mondo e la terrina al basilico non varca il Salzkammergut è ironia di bassa lega, e so che la storia della superiorità della cucina italiana sulle altre è una puttanata inferiore solo a quella della superiorità delle lingue e delle razze, però… però la terrina al basilico è oggettivamente difficile da mandar giù, e io dovrei ormai sapere quanto limitati e provinciali siano i miei orizzonti, quindi, se non riesco a declinare i loro aggettivi, cosa mi fa pensare di poter mangiare la loro terrina al basilico? Affinché possiate riconoscerla anche senza didascalia, essa si presenta come un aspic appannato; immaginate una grossa panna cotta, per due terzi bianca e nel terzo inferiore color vomito di lumaca (tipo penicillina, ma più brillante, per via della clorofilla di cui la dieta delle lumache è ricca), con macchioline bianche grandi come denti di salamandra. In bocca è viscido e sgusciante come un’anguilla viva, masticarlo è impossibile, in compenso lo si può far filtrare attraverso gli interstizi dentali. Non sa di niente, ma lascia un vago retrogusto di aglio stantio che potrebbe ricordare un pesto cattivo. Alla fine vi scoprite anche dei residui di erbetta tra i denti. Da evitare sempre, specie se intendete proseguire la serata andando a figa.
- La grande illusione: non so come la chiamino gli autoctoni, so che sembrava insalata russa e l’ho presa. Ho visto che c’era il tonno, e so che non ci andrebbe, ma a me il tonno piace e non ritengo l’insalata russa una pietanza così sopraffina da non poter essere contaminata. E poi è piena di olive. So che non ci andrebbero neppure quelle, ma sono tanto buone e ci stanno bene lo stesso, quindi ben vengano. Faccio la stronza e con nonchalance tiro su quante più olive possibile. Seduta al tavolo ne addento una e scopro che – no – non sono olive. Sono acini d’uva. Io vorrei conoscere il genio del male che in una specie di insalata russa, con carote, piselli, patate, tonno e maionese, ha avuto la bella pensata di mettere gli acini d’uva. Ah, no! Mi correggo! Sembrava un pezzetto di patata bollita, invece è un pezzetto di mela. Certo, ora tutto ha un senso.
Zzi, invece, per non saper né leggere né scrivere, ha preso una zuppa di gulasch e una coscia di gallina al forno e dice che è tutto mediamente buono. Io ho deciso che i miei piccoli lettori saranno comprensivi e la chiudo qua con gli esperimenti; d’ora in poi ordino solo cose che capisco, a costo di dovermi comprare la manzotin al supermercato.
a storia della superiorità della cucina italiana sulle altre è una puttanata
Il giorno che trovo un ristorante tipico olandese o inglese, ti darò ragione.
PS si chiamano Wienerschnitzel per un motivo, inutile sperimentare tanto…
Ecco, proprio mentre scrivevo riflettevo su questo interessante paradosso: asserire che la cucina italiana sia superiore alle altre è in linea di massima una puttanata, ma anche sostenere che la cucina inglese sia altrettanto apprezzabile è dura!
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