Flashback: Come andò che L’ERRI tornò Larry e non strinse la mano di Vinicio Capossela

Anche se l’ho già raccontato a voce a praticamente tutti i miei quattro lettori spelacchiati, vi narro nuovamente come ho conquistato questo meraviglioso trofeo.
Il 15 Febbraio io e miei scagnozzi ci siamo recati al concerto di Vinicio Capossela/Tal dei Tali [dite la verità: non ci eravate arrivati] al Teatro Rossetti di Trieste, evento per il quale, molti lo ricorderanno, avevo ingaggiato una lotta all’ultimo sangue con Voce di Bionda per l’accaparramento dei biglietti.
Assistiamo allo spettacolo dalla prima fila, così vicini che una spia mi impalla completamente il chitarrista, tanto che per un terzo del concerto ritengo che non ci sia.
Ovviamente non distinguo il suono della chitarra fra gli altri, quindi mi convinco che si sia dato alla macchia. Poi, a un certo punto, si alza dallo sgabello, fa un passo di lato e, come per magia, comincio a sentire anche la chitarra. Ancora ho il sospetto che sia spuntato a tradimento da una botola, però.
Completamente trasognata in una sfera di meraviglia, mi dirigo all’uscita e saluto distrattamente i miei scagnozzi, guatando in giro per vedere se spunta Vinicio.
Zzitalia mi ricorda che non sono la persona adatta a distinguere Capossela.
Io e Zzitalia ci aggiriamo guardinghi come viet cong intorno al teatro e, come previsto, avvistiamo la Viniciomobile. Che fare? Tornare all’uscita del teatro, o attendere come due killer della mafia seduti sul cofano, con il dubbio che si muova a piedi, facendoci trovare la mattina dopo alle nove con la bava alla bocca abbracciati a un copertone? L’ultima ipotesi è allettante, ma dall’alto avvistiamo un individuo che si allontana ciondolante a piedi con una custodia da trombone rossa sulla schiena. Deduciamo che non c’è un cordone di security e torniamo di sotto, giusto in tempo per scassare un po’ la minchia al chitarrista.
Poi esce Vinicio, ma noi siamo distanti e mentre ci avviciniamo con fare normale egli viene intercettato da gente che spunta da dovunque [ecco perché quel grosso il cavallo di legno su ruote con la scritta Made in Itaca].
Inizia un umiliante pedinamento.
Distante per pudore, ma non troppo per non perderlo. Pie’ veloce Vinicio si libera dell’ultimo fan quasi al giardino pubblico, ed è là che Zzi lo ferma.
Così: lo chiama. “Vinicio, scusa…”
Come sarebbe a dire “Vinicio scusa”? Chi ti ha dato il permesso? Ma ti sembra il modo? Ma ti pare di farmi fare queste figure? Ma come ti viene in mente “Vinicio scusa”? Come se fosse uno vero, a cui puoi parlare? Ma cos’ho sposato? Ma che ti aspetti dopo “Vinicio scusa”?
“Ehi, sì, ciao”.
Ommerda. Si è girato. Si è girato e ha proprio detto “Ehi, sì, ciao”. A noi. Cioè, a Zzi, che l’ha fermato, ma è uguale, l’ha fermato per me, e poi è la proprietà transitiva del matrimonio.
Ora, io non mi ricordo bene cosa ho detto e cosa non ho detto, probabilmente non ho detto niente a parte Larry, e questa volta devo proprio aver scandito bene Larry perché sulla mia agenda c’è scritto Larry, quindi in qualche modo devo essere tornata Larry. Mi ricordo vagamente un tentativo di stretta di mano.
So per certo che Capossela mi ha dato una mano, verosimilmente la destra, e io gli ho dato una specie di medusa, una gelatina pentadattila ghiacciata che lui ha afferrato fra le sue dita rosee come l’aurora [a-ehm: cinque euro per chi coglie la citazione!], dita che io non ho avuto il coraggio di stringere perché in quel momento Sarma mi ha detto: ” ‘ta’tenta! E se lo rompi???“.

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