[Martedì, 11 Dicembre 2007] Il giorno di dolore che uno ha

Martedì, 11 Dicembre 2007

Apro una parentesi nella rutilante narrazione delle nostre avventure per utilizzare la scrittura come  autoterapia e riflettere sulle beffe della sorte e sulla mutevolezza del destino.

Come altri prima di me hanno osservato, la tragedia incombe proprio quando si ha la sensazione che tutto sia perfetto e che la propria esistenza sia felice.

E’ perchè non si comprende la situazione in cui si vive: si crede che le cose stiano a un modo, invece la realtà è diversa; ma noi non ce ne accorgiamo, vediamo il mondo attraverso i nostri occhiali e non ci sembra possibile che le cose siano diverse da come le vediamo.

Poi arriva la rivelazione, la secchiata d’acqua gelata: la realtà ci appare per quella che era e noi rimaniamo lì, intontiti e increduli, delusi e doloranti, consapevoli all’improvviso della nostra cecità e con un pugno di mosche nel palmo dove credevamo di stringere monete d’oro.

E la verità è che

Non siamo i suoi preferiti, e forse non lo siamo mai stati:

Gli diamo fastidio con i flash dopo che ha detto “no flash please”, facciamo i cori e battiamo le mani nei tour acustici costringendolo a innumerevoli “shh”;

Cantiamo troppo, cantiamo tutto, quando ci incita  cantare non ha alcuna soddisfazione perchè non c’è differenza con gli altri momenti del brano;

Facciamo casino, ma non quando dobbiamo: la risposta “it’s boss time” di Milano 2003 è stata da vergognarsi (eppure ce lo avevamo scritto sulle magliette, nostre o dei vicini)

Non capiamo niente di quello che dice: si porta molti più discorsi in italiano che in altre lingue, e quando in un impeto di spontaneità ci ha chiesto quanti innamorati ci fossero al Datchforum, l’ abbiamo capito si e no in 12, e comunque abbiamo risposto tardi, costringendolo ad un patetico mimo per comunicare con gli indigeni.

Se tutto questo non dovesse bastare, se ancora fossi tentata di aggrapparmi a tutto ciò che di buono c’è stato, ai momenti belli che, sì, sono passati, ma non me li sono sognati, che diamine!, alla coda di Thunder Road a Bologna cinque anni fa (cinque, lo so, cinque oramai), a Incident e Racing a Roma, a Incident full band a Milano, alla grappa e alla mamma, l’altro giorno a Stoccolma è diventato impossibile ignorare.

Santa Claus, di nuovo, anche a loro e per giunta in più.

Non una chicca inserita in scaletta per l’occasione delle feste imminenti, di più.

Una sorpresa alla fine, sostituita da Jungleland (!) nella scaletta e suonata a fine concerto, quando già il pubblico pensava “Oh, che peccato, è finito!” “Oh, non ha fatto Santa Claus, peccato – va beh, ha fatto Jungleland, tra le due è andata meglio così”.

Come quando il tuo fidanzato ti dice che ti regala uno stereo per il tuo compleanno, e dentro lo scatolone dello stereo trovi solo polistirolo e una minuscola scatola contenente l’anello di fidanzamento.

L’altra sera Bruce si è dichiarato alla Svezia, accettiamo il fatto che non significhiamo per lui quello che lui significa per noi.

Ma possiamo andare in Svezia!

Eccheccazzo, non è mai stata la distanza a spaventarci.

Se serve, sono pronta a rinnegare la mia patria e il mio nome, da domani mi chiamo Annica Ericsdottrin, coniugata con Olaf Andersson, siamo allevatori di renne e se nasce una bambina la chiameremo Ikea.

Abbiamo un affetto irrazionale da italiani e non abbiamo paura di usarlo

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