Per andare a mangiare al Maso Nello bisogna arrivare a San Michele all’Adige, proprio davanti allo IASMA, ora Fondazione Mach, e prendere la salita indicata dal cartello per Faedo. Non si può sbagliare. Il maso è tra un tornante e l’altro, ben indicato da un cartello turistico [altrimenti io non lo avrei visto], dopo Faedo borgo, ma prima della frazione Pineta.
Solitamente sono sospettosa nei confronti degli agriturismi, perché temo sempre che, con la scusa del prodotto casalingo e genuino e dell’atmosfera rustica e familiare, rifilino portate dozzinali in maniera sgarbata. I tenutari di agriturismi hanno il diritto di farmi la pelle, ma va riconosciuto che non ne parlo mai male: semplicemente, non mi ispira e non ci vado [l’osmica è un’altra cosa, è uno stile di vita]. Questo Maso Nello sembrava, forse per la giornata soleggiata e il paesaggio ameno, forse perché era l’una quando lo abbiamo adocchiato e temevamo che non fosse uso mangiare dopo certe ore, piuttosto innocuo, anzi, direi proprio invitante. Così, deposti i bagagli in albergo, in frazione Pineta di Faedo, siamo scesi di qualche tornante e abbiamo chiesto di che nutrirci in questo posto alle tredici e quaranta abbondanti.
La cucina chiudeva alle tredici e trenta.
Ecco, lo sapevo, è sempre così nei posti di montagna: si va a dormire con le galline, ci si sveglia col gallo e si mangia come in ospedale. Anche ad Asiago era successa la stessa cosa, la stronza della pensione ha chiuso la cucina alle nove in punto e alle nove e due minuti non ci ha neanche voluto affettare un po’ di prosciutto. Oh, volesse il cielo che le arrivassero clienti solo dopo le nove!
E sì che adesso siamo circa un quarto d’ora dopo l’orario di chiusura, questa signora ha pure ragione. “Va beh”, diciamo affranti e con la faccia da “non troveremo mai da mangiare nel raggio di chilometri” e facciamo per andarcene, ma la signora ci dice, che no, dài, se ci accontentiamo lei da mangiare ce lo fa, è che ha già spento quasi tutto e non c’è più molto.
Noi ci accontentiamo.
L’ambiente è molto tipico, con muri a bitorzolini [avrà un nome, in edilizia, questo tipo di muro: quello con piccole sporgenze irregolari, grandi come piselli, che se ci strusci contro ti grattugia peggio dell’asfalto…non è a buccia d’arancia, quello ha una grana più sottile…è più a bitorzolini, proprio], ma appena imbiancati, le tovaglie e i cuscini a quadrotti, ma dai colori brillanti [quindi nuovi] e dalla stiratura impeccabile, con oggetti della tradizione contadina alle pareti [ho riconosciuto un giogo, un mantice, una ruota e un falcetto, tutti gli altri sono, per me, manufatti di una civiltà aliena], ma neanche un granello di polvere o una minuscola ragnatela.
La signora, che somiglia vagamente a Shirley Mac Lane [e lo sa, o non si farebbe i capelli rossi], ci elenca quello che ancora può darci e noi siamo d’accordo. Cioè: prendiamo tutto.
Il primo piatto è un bis di paste: un canederlo e degli gnocchetti verdi al burro. Il canederlo è buono, ma io non sono né un’esperta né un’estimatrice, perciò lo gusto con soddisfazione e nulla più. Gli gnocchetti verdi sono speciali. Sul serio: lo dice una che non ama la pasta semplice, è restia allo gnocco di patate e teme la pasta verde. Avrebbero dovuto essere criptonite, per me, invece sono stati una rivelazione: per niente viscidi, per niente mollicci, non duri, non appiccicosi, non dolciastri, non amarognoli; anzi, gustosi, delicati e dalla consistenza piacevolissima, a prova di Giraffa.
Di secondo la signora ci fa la carne salata cotta e cruda.
Conosciamo quella cruda e ne siamo ghiotti, così non siamo gran che convinti della versione cotta, perché ci pare uno spreco. La signora stessa ammette di preferire quella cruda, ma insiste che dobbiamo provarle entrambe. Dato che ci sta sfamando anziché fare i propri affari in campagna, se decide che la devo assaggiare cotta, la devo assaggiare cotta. Un’epifania. A parte il fatto che la materia prima è infinitamente migliore di quella che conoscevamo, essendo che le fettine crude non hanno nulla a che fare con quella che compriamo in supermercato e che, pure, ci pareva buona, il passaggio nel calore ne rivela tutte le potenzialità gustative. Contrariamente a quanto ci saremmo aspettati, la carne non perde in succulenza, né in morbidezza, anzi è leggermente più ruvida e impegna meglio la masticazione. Ed è ancora più saporita. So che par brutto da dire, ma cercate di coglierne la giusta accezione: è manzo che diventa talmente buono, ma talmente buono, che sembra maiale.
La carne è accompagnata dalla torta di patate, che è una cosa che non sapevo cosa fosse quando la signora l’ha nominata, poi quando è arrivata in tavola ho visto che è un roesti. Ora, magari i trentini si incazzano come vespe se gli dici che la loro “torta di patate” in realtà è banalmente un “roesti”, e magari ci sono anche delle differenze nella preparazione che a me sfuggono, o magari è nata prima la torta di patate del roesti, quindi bisognerebbe dire ad austriaci e svizzeri che farebbero meglio a non essere così fieri del roesti, che altro non è che la torta di patate, che i trentini facevano quando loro stavano ancora sulle palafitte.
Sia come sia, la torta di patate è una cosa molto buona. Se volete provare una cosa molto simile, vi do la ricetta del roesti:
Prendete le patate bollite avanzate dal giorno prima e schiacciatele grossolanamente con la forchetta. Friggete in padella formando una focaccina con la spatola e rigirandola come una frittata.
“Ma è un frico senza formaggio!”, diranno subito i miei piccoli lettori.
…Mmm, sì, anche, ma molto più basso.
Poi Shirley Mac Lane voleva anche darci il dolce, ma eravamo troppo sazi e non ce l’abbiamo fatta. Siamo molto rammaricati per questo, perché la torta con il cocco [tipico frutto della val d’Adige] sembrava davvero promettente. Se mai avessimo occasione di capitare di nuovo da quelle parti, torneremo – per tempo – a verificare anche la qualità dei dolci.
Oltretutto, abbiamo pagato pochissimo [ma forse le abbiamo fatto pena].
Ciao, non so che faccia hai, ti conosco di fama dal tuo carissimo amico Remo che ti nomina sempre.
Mi permetto di intervenire sull’argomento…da trentina, non siamo parenti con gli alieni.
Gnocchi verdi…spatzli o strangolapreti?
Spatzli di farina, uova e spinaci, strangolapreti invece di pane raffermo bagnato con latte e poca farina per addensarli.
Carne salada, è carne “salmistrata”, rimane almeno 2 settimane ricoperta di sale, erbe aromatiche e spezie, non carne cruda.
Se un trentino scopre che hai paragonato il suo tortel di patate con un roesti…
Da friulana acquisita se un friulano scopre che hai paragonato il suo frico a un tortel di patate trentino e formaggio…
per le ricette del frico, del roesti e del tortel di patate ti suggerisco un link, http://www.zirelablogspot.com
3 sorelle per il mondo, trentine di origine, 1 friulana d’adozione, 1 svizzera accasata con un friulano e una Marioneta.
Scusa l’intrusione, anche poco simpatica, tanto Remo non ti avrà certo detto che sono simpatica, anzi…
Clizia
Permettiti, permettiti, le precisazioni sono dovute, io intendevo giusto fare dell’impressionismo, come quando uno dice “Larrycette? Qual è? Non credo di averla mai vista” E l’altro risponde “Ma sì, dài, è quella così e cosà, tra il metro e mezzo e i due metri, tra i cinquanta e i cento chili, una via di mezzo tra Paola Barale e la Gegia”….non è strettamente falso…è che non fornisce l’informazione necessaria. E poi io abuso dell’immunità agli anatemi sviluppata quando sono sopravvissuta alla maledizione senza perdono che mia madre mi ha scagliato quando le ho spiegato il borek come una torta pasqualina monoporzione e senza uova; non prese bene il paragone.
Se mi vedi mi riconosci: sono quella sempre immusonita, che viene alle gare ma non scende dalla macchina e che si guarda intorno sospettosa, con l’espressione di quella che non ci voleva venire e non capisce cosa ci sia venuta a fare tutta ‘sta gente. O leggo, o scrivo, o mangio, e contemporaneamente sicuramente parlo.
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