Taverna San Trovaso, Dorsoduro 1016, Venezia [1]

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Dopo un pomeriggio di shopping e passeggio forsennati a Venezia, Elisa, Quellolì e io abbiamo raggiunto Zzi e gli altri sciamannati della nostra giovane, ma rispettabile, società di orienteering al centro gara e da lì, dopo aver applaudito fieri laVeloce Violinista piazzatasi seconda, ci siamo finalmente diretti a cena (scopo ultimo della mia visita alla città lagunare) alla

Taverna San Trovaso, Dorsoduro 1016, Venezia.

Come i più acuti staranno sospettando, la trattoria si trova in zona San Trovaso, che è una porzione di Dorsoduro, in basso a sinistra, là dove c’è qual ponte ripidissimo che uccide i turisti e che ogni tracciatore inserisce almeno una volta per selezionare naturalmente i concorrenti del MOV.
Non è proprio-proprio lungo il classico itinerario per turisti, il che è per molti aspetti un vantaggio; e poi, Venezia è tutta bella, perciò anche se non ci siete mai stati e deviate dal percorso per andare qui, attraversate ugualmente luoghi suggestivi.
È preferibile prenotare perché, anche se ci sono diversi coperti distribuiti su tre sale, i clienti sono molti e bisogna sempre fare la filaper aspettare il tavolo. Fila sul posto, si intende, perché la concorrenza è spietata.

La cucina è tipica veneziana, ma i prezzi sono continentali, nel senso che anche se siamo a Venezia le pietanze vengono proposte ad un prezzo non maggiore che altrove, anzi, a tratti leggermente minore.
Anche se eravamo in otto, le nostre scelte si sono assomigliate parecchio e non ho potuto testare altrettante pietanze [leggasi: non ho potuto proiettare la mia forchetta nei piatti degli altri perché contenevano la stessa cosa e non avevo scuse – anche se ovviamente avrei volentieri preso dai piatti altrui, anche solo per la quantità].
Come antipasto scelgo le sarde in saor.
Sono sarde; in saor. Non c’è molto da dire sulle sarde in saor, almeno, io non ce l’ho. So come si fanno, ma non le ho mai fatte, quindi non so se l’ottimo risultato è frutto di qualche accorgimento da esperto o se è semplicemente la logica conseguenza di un procedimento scrupoloso e validi ingredienti. Penso entrambe le cose. La porzione è tutt’altro che striminzita e corredata dalla fetta di polenta abbrustolita d’ordinanza, che sarà scontata, sarà banale, sarà ordinaria, sarà quel che sarà, ma io ci vado pazza e gustata con cipolle e uvetta è per me una goduria.

Salto il primo [abbiamo tutti scelto due sole pietanze, Elisa e la Veloce Violinista addirittura solo una] e scelgo una frittura di pesce mista.
Parrà una scelta scontata, ma i piccoli lettori della prima ora avranno notato che, sebbene io sia notoriamente golosa di fritto, solo molto raramente ordino fritto al ristorante. Provengo da una famiglia di mastri friggitori e ho degli standard qualitativi elevatissimi, che do per scontato che non vengano soddisfatti da nessun pubblico esercizio, e il mio sviluppatissimo olfatto mi mette subito in allerta sulla qualità del fritto che si serve in quel dato locale (tanto che solo in alcuni posti azzardo le patatine, in genere neppure quelle). Il fritto è più di un tipo di preparazione prediletto, è una vocazione, e come tale lo vivo con passione e religioso rispetto.

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