Sabato scorso Zzi e io decidiamo di partecipare ad una gara promozionale di orienteering a Padriciano. O Trebiciano, non so: in un posto sull’altopiano con uno di questi nomi perfettamente interscambiabili che ci sono solo in carso, dall’aspetto perfettamente interscambiabile, con un’area di ricerca perfettamente interscambiabile (…ehm…). Non sono nemmeno sicura che fossimo sull’altopiano Est, forse eravamo a Prepotto. Le migliori premesse, queste, per affrontare una gara di orienteering.
Già, perchè solitamente, quando ci sono delle gare di orienteering nei boschi della zona, che prevedono una separazione da Zzi relativamente breve, o comunque di poco superiore a quella del tempo tecnico della gara, io riesco a defilarmi con innata eleganza e la faccia di quella che – ‘ccidenti! – avrebbe partecipato volentieri, ma sfortunatamente deve:
– cucinare per gli invitati alla cena della sera stessa
– andare in posta/ fare commissioni varie
– depilarsi
Stavolta avevo le spalle al muro, non c’era neanche una tendina da stirare, un cesso da sturare, un accordo da stonare.
Ecco.
E’ qui che si scatena lo psicodramma.
Con la tracotanza che mi contraddistingue, mi dirigo verso l’arrivo basandomi sulla provenienza della musica.
Procedo con baldanza, scavalco (demolendo) muretti, tocco tronchi, schivo squadriglie di farfalle in formazione, e procedo veloce in tutta la mia baldanza.
Poi la musica finisce.
Guardo la cartina e OVVIAMENTE ho perso il segno e non so dove sono. Improvvisamente mi sovviene che ho i timpani di sughero e risalire la musica come il filo di Arianna potrebbe non essere stata una scelta scientificamente corretta.
Intorno a me c’è un prato enorme identico a dozzine di altri.
Tendo l’orecchio sperando di sentire un’eco o, almeno, il rumore della statale.
Solo grilli.
E un’intuizione squarcia la tenebra: sono l’unica persona che conosco che fa gli accordi a occhio e si orienta a orecchio. C’è qualcosa che non quadra.