Gasthaus Heinz, Tresesin (Tricesimo) – 01.04.12: u.c., ultima cotoletta

 

I miei piccoli lettori mi perdoneranno se divago dagli argomenti tipici di questo blog e indulgo a parlare di cibo, come se la forchetta là in cima avesse ancora un significato, ma recentemente Elisa & Quellolì ci hanno portati a mangiare in una meritevole birreria di Tricesimo (Tresesin in marileghe, e oltre non oso avventurarmi perché il friulano, ahimè, non è mica una lingua orecchiabile come lo sloveno).

Recensioni_Birrerie

Il locale si chiama Gasthaus Heinz e si affaccia su una piazza con del verde e una curiosa pinna di squalo in pietra che emerge dal selciato; secondo alcuni è una falce; secondo altri, un dente. Per me è una roba davanti alla quale si rivaluta immediatamente la scultura del Nikita (ora Pinolo Mannaro, di cui da più parti si incensano lo stile e l’architettura; fa piacere, perché è più o meno come lo abbiamo lasciato), di cui purtroppo non ho un’immagine, ma per mostrarvi la quale mi riprometto di dar via a uno scavo archeologico.

Curiosamente, questa birreria con cucina si sviluppa in verticale, quindi occorre fare uno o due piani di scale per accedere alle altre sale; il nostro tavolo è “in veranda”, una stanza d’angolo al secondo piano con le finestre grandi, con un’apprezzabile vista sul posteggio.

Siccome Tricesimo non è in California, il riscaldamento generoso del localesi fa apprezzare parecchio.

Nonostante il fatto che siamo reduci da un aperitivo a base di gelato, non ci lasciamo intimidire e ordiniamo due pietanze, più un piattino di anelli di cipolla fritti da condividere. Il menù, difatti, presenta piatti molto appetitosi ed è uno strazio escluderne alcuni, così, grazie alla complicità e alla saggezza di Elisa, che si offre di dividere con me un primo, posso assaggiare più cose.

Scegliamo l’orzotto (cioè l’orzo cucinato a mo’ di risotto) con gli asparagi.
La porzione è esagerata, da una ne ricaviamo due contenute, ma dignitose.
L’impatto visivo è angosciante: dal colore e dall’aspetto del condimento si direbbe  orzotto con il pesto. All’assaggio, però, la consolazione è enorme: non sa di pesto, non sa di formaggio. Sa di asparagi. A volergli trovare un difetto, il sapore è un po’ forte e gli asparagi erano ancora un po’ sodi. Personalmente mi è piaciuto molto, ma solitamente gli asparagi sono sinonimo di sapori e profumi più delicati, mentre questo piatto era decisamente caratterizzato, non ho capito se perché la qualità del vegetale impiegato era molto aromatica, se perché l’averli tenuti indietro di cottura ha lasciato loro un gusto più deciso o se perché il cuoco non è stato avaro e c’erano asparagi in abbondanza. Sia come sia, ho gradito molto il risultato, anche se la mia pipì è stata ferrosa per un giorno intero. Nonostante sia molto buono, però, il gelato di poco prima mi impedisce di terminare gli ultimi bocconi.

Il pensiero del cordon bleu con contorno di Kartoffelnsalat mi suscita  angoscia e quando mi viene servito, grande, caldo e dorato, provo un fugace, ma distinto, sentimento di panico.
È, tuttavia, pur sempre fritto, e l’ardore rende vittoriosa ogni impresa e fa superare qualsiasi difficoltà. Non appena il mio coltello trafigge la panatura – bionda, asciutta e irresistibile come una bagnina di Baywatch – la passione si risveglia nel mio animo e gusto con rinnovato entusiasmo e senza sforzo alcuno la mia deliziosa pietanza.

Oltre alla frittura pregevole, il cordon bleu si è distinto per la magrezza e morbidezza della carne utilizzata e per la bontà del ripieno: veri prosciutto e formaggio; non spalla cotta e sottilette: prosciutto e formaggio, quest’ultimo in una dose tale da poter essere considerato, altrove, un secondo piatto a sé.

Anche l’insalata di patate è buona. Mi aspettavo semplici patate bollite con l’aceto, come usa a Norimberga, invece questa versione è ricca di cetrioli, prosciutto e – mi pare, non sono sicura – uova sode, il tutto ben legato da abbondante maionese. La scelta sbagliata, insomma, per non riempirsi troppo, ma giusta dal punto di vista organolettico.

Innaffiamo il tutto con la birra della casa, una weizen un po’  più limpida di quelle usualmente in commercio, o una pilsner un po’ troppo torbida, ma comunque una bevanda piacevolissima, non troppo amara e non troppo profumata, ma neanche piatta, poco bolliciosa, come piace a me.
Genuina, sarà genuina, perché al terzo sorso inizio a grattarmi le mani come un’appestata. Elisa, da una parte, e Zzi, dall’altra, mi immobilizzano le braccia e mi aspetto che Quello lì, da un momento all’altro, mi metta la maschera di Hannibal Lecter.

Non siamo riusciti ad assaggiare i dolci, pertanto non posso riferirne.
Non saprei neppure dire cosa proponga il menù perché – grave mancanza – non mi sono neppure presa la briga di leggerli, segno che il mio inconscio sapeva che non ce l’avrei fatta.

Poiché, però, la cucina ci ha entusiasmato e ci sono diversi altri piatti che avrei voluto assaggiare, mi riprometto di approfondire lo studio e farvi rapporto, ma non troppo presto perché, a poche settimane dai concerti, non posso permettermi stravizi.

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