Ristorante Patagonia, San Vito di Fagagna [1]

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Il primo duro colpo alla mia dieta è stato inferto il nove dicembre nella dolce Furlania, precisamente al ristorante Patagonia di San Vito di Fagagna, dove siamo andati a cena con TheRiver69 e la sua dolce famiglia.

Lucy è sempre più bella e le bambine, nonostante siano bambine, sono uno spasso. La piccola ha da poco scoperto le orecchie, e le piacciono molto, oppure le danno fastidio e cerca di stacarsele, non è chiaro; fatto sta, che le maneggia tutto il tempo con una manina. Con l’altra, saluta. Pare abbia da poco appreso anche che le braccia possono essere agitate nell’aria, e che il resto degli umani reagisce a questo gesto, quindi non fa che spianare l’aria davanti a sé. Immaginerete che una nana pelata che con una mano si avvita un orecchio e con l’altra scaccia mosche invisibili è abbastanza buffa, e che è diffiicile non ridere; la nana prende il vostro divertimento per approvazione e spazza l’aere con ancor maggiore veemenza. Si ferma solo per mangiare. È ghiotta di pane, pupazzi, libricini. Ride sempre. Non piange mai. Basta lasciarla mangiare.

La sua sorellina è più grande, quindi è meno divertente perché ha passato da un pezzo la fase di rodaggio delle proprie funzioni, ed è un vero umano in miniatura. Nonostante sia una femminuccia, e quindi poco sensibile al fatto che io abbia quaderni e fazzolettini da naso di Cars2, dà non poche soddisfazioni e sa condurre con disinvoltura una conversazione.

Prima di accomodarci, il proprietario, uno vestito da cuoco vero con il profilo a sciabola e la barba sfatta, un po’ Gad Emaleh, un po’ Alessandro Borghese, ci seduce facendoci guardare, dal grande vetro all’uopo allestito, la griglia con la brace su cui i più succulenti tagli di carne stanno cuocendo: quando si dice il voyeurismo.

Gad Borghese ci enumera le curiose e invitanti pietanze offerte fra gli antipasti, non le ricordo tutte, ma ricordo che la scelta di molti si orienta sul “misto senza lingua”per assaggiare le varie specialità scartando la più impressionante. Io sbaraglio la concorrenza e chiedo lingua. Ognuno di noi ha una perversione per un cibo immangiabile. C’è chi è ghiotto di gorgonzola, chi di tartufo, chi di lumache. A me piace la lingua. Ammetto che ho cominciato ad abbassare la guardia verso questo taglio non propriamente “eye-friendly” perché era un buon pretesto per imbibinarsi di salsa verde. Poi, col tempo, ho cominciato a mutare le proporzioni fra pietanza e condimento e ora sono in grado di mangiare la lingua anche senza salsa verde, sebbene io sappia che più buona della lingua con la salsa verde c’è solo la salsa verde.

È con il piatto unico che la faccenda si fa interessante: cominciano ad arrivare vassoi, tenuti caldi dalla brace, con i tagli più diversi di carne. Pochi sono quelli che riconosco, ancora meno quelli che mangio – perché essere una che mangia la lingua non fa di me una che non è schizzinosa sul grasso, anzi – ma l’atmosfera è conviviale e la curiosità parecchia, quindi assaggio un pochettino di tutto. La carne è aromatica e succulenta e mangio più cose di quelle che mangerei se lo stesso taglio me lo avessero messo davanti i miei dieci anni fa.

[segue]

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