L’unica volta che vidi Parigi [4]

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Dite la verità: pensavate che fossi rimasta in Ungheria, sequestrata sul set di un film porno o – assai più probabilmente – persa a vagare per i boschi cercando di tornare da una gara di orienteering, vero?
Avrei un sacco di cose da raccontarvi, ma siamo appena al primo pasto a Parigi, in un giorno di fine giugno e tra i buoni propositi del nuovo anno (che come tutti sapete per me inizia a settembre) c’è quello di non mettere al fuoco troppa carne.
Non temete: non durerà!

Parlavamo del primo pasto a Parigi, dunque…

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Questa foto è tratta dalla scheda Foursquare del locale.
I tavolini immortalati sono proprio quelli dove eravamo seduti noi tre. Probabilmente ora ci hanno messo una targa.

Chez Gaston, avenue Richard Lenoir 112, Paris

In zona i locali dove mangiare non mancano, ma o sono sospetti o sono catene o sono cari. Prendendo un paio di traverse, finiamo chez Gaston, un bistrot dall’aria talmente francese che avrebbe dovuto metterci in fuga come tutti i precedenti, ma siamo stremati, affamati e rassegnati al fatto che mangiare sarà un lusso, così ci accomodiamo.

Chez Gaston, avenue Richard Lenoir 112, Paris

Sbagliamo: mangiare non è eccessivamente più costoso che in Italia, se non si hanno pretese esagerate; in compenso, bere è proibitivo.
Certo, io sono una provincialotta del nord est abituata a pagare mezzo litro di birra poco meno di tre euro, e non posso aspettarmi che il costo della vita in una delle principali capitali d’Europa sia paragonabile a quello della periferia di una nazione con due milioni di abitanti, ma – sant’Iddio – nove euro e venti per una media da 40 cl mi sembrano un furto. Neppure Londra, dove pur si paga in sterline, è così esosa.

D’improvviso, dunque, mi passa la sete.
Ordino una terrina di lenticchie alla non-so-cosa, che mi piacciono perché c’è una salsa mai assaggiata prima e un uovo in camicia accoccolato sopra, e una tartara di manzo, che ho il piacere di scoprire essere servita con uno strato di mezzo centimetro di patè di olive sopra.
Entrambe le pietanze sono deliziose; il cartello che dice che la carne è di origine olandese mi terrorizza un po’, ma poi mi convinco del fatto che non c’è stato nessun caso di mucca pazza o sofisticazione di carne bovina in Olanda, e che mi sto confondendo con il pollo tossico belga.
Non contradditemi, per favore, tanto è comunque troppo tardi!

Il servizio non è dei più raffinati, del resto chez Gaston è visibilmente un bar con vocazione notturna, che nella pausa pranzo formula una tutt’altro che ridotta proposta gastronomica per gli impiegati della zona.
Mi colpisce, tuttavia, l’assenza di tovaglia o sostituto usa e getta: il piatto, ma soprattutto tovagliolo, forchetta e coltello, vanno direttamente a contatto con il tavolo; non intendo leccare il fondo del piatto, ma prevedo di mettere in bocca le posate e mi fa un po’ schifo.
La Francia non mi sembra un paese così evoluto.

In tavola, però, c’è un curioso menage: ha i due alloggi per saliera e pepiera, più uno più largo, che non è per gli stuzzicadenti, infatti c’è alloggiato un flacone di plastica contenente una salsa beige.
Cosa sarà?
Assaggiamo!

Aaah!
È fortissima! Porta via la bocca.
Ma… ma… è buonissima!
Che idea la senape in tavola su tutti i tavoli. La Francia è un grande paese!

Prendiamo anche il dolce: Zzi e Slonc ordinano la floating islandche però non è île flottant (crema inglese su cui galleggiano savoiardi inzuppati), bensì œuf à la neige (crema inglese su cui galleggia la meringa). All’aspetto ricorda il gelato al forno di mio padre quando si scioglieva, ne assaggio una cucchiaiata, ma è non è che una puttanata di pasticceria francese cui il gelato al forno piscia letteralmente in culo.

Io ho preso una charlotte, le cui sembianze mi intimoriscono non poco, parendo uscita dal set fotografico di una rivista di cucina, e il cui sapore è – suppongo – ottimo, ma mi delude perché troppo artefatto di aromi e liquori. È equilibrato e gradevole, ma, oltre che essere troppo dolce, non ha più niente dell’uovo – che pure sta sia nei savoiardi che nella crema – o del burro.
Suppongo fosse lo scopo dell’inventore della charlotte amalgamare i gusti e i profumi affinché non si distinguessero più quelli degli ingredienti originali, ma io sono una provincialotta del nord est, mi aspetto di sentire gusto di biscotto, quando mangio un biscotto e, se non sa di biscotto, stupidamente, ci resto male.

In ogni caso, anche in considerazione del livello dei locali che abbiamo frequentato nei giorni successivi, se vi trovate dalle parti della fermata Oberkampf della metro di Parigi e non sapete dove andare a mangiare, chez Gaston è da tenere in considerazione. Non mi sento di raccomandarvelo (non raccomanderò nulla a Parigi), ma lo posso approvare senza esitazioni, anche perché la cameriera è una donna giovane, bella e composta, che sembra la sorellina graziosa di Juliette Binoche.

Dopo esserci rifocillati, anche in conseguenza del misero e deludente snack somministratoci da Lufthansa, che ci ha quasi mandati in ipoglicemia, siamo pronti per visitare Parigi!

2 thoughts on “L’unica volta che vidi Parigi [4]

  1. Orsola

    Ciao Larry, non ci conosciamo, sono una ragazza di ventitre anni, ho casualmente trovato il tuo blog mentre navigavo alla ricerca di notizie su Bruce e l’ho trovato molto divertente, tanto da leggerlo con regolarità. Sono in erasmus a Helsinki, e, avendo letto delle tue avventure, volevo solo dirti che oggi ho visto lo stadio del Famoso Concerto e la Famosa Torre :)
    Ps: la furbata di venire qui tanto che Lui non c’è e non ci sarà potevo farla solo io..
    Scusa l’intrusione e continua così!

  2. Larry Post author

    Ciao!
    Non ci conosciamo, ma da quello che dici sei già la mia nuova migliore amica.
    Sentiti libera di intrometterti quanto ti pare, buon Erasmus (specie ora che vai incontro alla bella stagione, da quelle parti)!

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