Genova per noi [2]

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Anche alla seconda mi incasino, girando a sinistra insieme alla strada, anziché a destra, come evidente in cartina, ma poiché mi ritrovo in cima a una scala che butta di fronte al mercato del pesce, mi punge vaghezza che il tracciatore non mi stia mandando lì (se non altro, perché non c’è scritto che devo passare sotto la sopraelevata), mi rigiro la carta in mano cinque o sei volte, per vedere se scuotendola, per caso, non si mescolino le vie e ne esca una combinazione più semplice, e torno sui miei passi, trovando il portichetto con la lanterna giusta in tempi ragionevoli. Per farvela breve, fino alla nove sono nel marasma più totale; sono per lo più posti che non ho mai visto, tutti uguali, stretti, angusti, senza luce, con vie tanto strette, ma tanto strette, che se non avessi una carta che le segnala, le prenderei per crepe degli edifici. A tratti, sbuco in posti dove ricordo vagamente di essere stata un paio di volte in un remoto passato e mi guardo intorno, stupita e imbambolata, come Marty Mc Fly nella piazza di Hill Valley nel 1955. Ma dai? È qui? Ora non ricordo più bene dove e come, ma vi assicuro che a un certo punto, da quella strada che da porta dei Vacca conduce verso San Lorenzo (la celeberrima via del Campo), si girano un paio di canti, si fa tutto un caruggio dritto, se ne attraversa uno leggermente meno stretto, si prende una salita con un ridondante paletto nel mezzo (perché, tanto, anche senza il paletto, una macchina non ci sarebbe mai potuta passare) e, dopo un paio di prostitute attempate e un travone coreano in pelliccia bianca, si sbuca in via Garibaldi. Siete padroni di non crederci, ma vi assicuro che a me è successo. Qua mi rinfranco un poco perché è una strada che mi pare di aver percorso almeno una dozzina di volte, l’ultima delle quali risalente a soli 4 anni fa, ovvero a quando ci siamo sposati, essendo il municipio in uno di questi palazzi. La lanterna cinque (siamo ancora alla cinque? Diranno subito i miei piccoli lettori – tacete, insensibili, non sapete quanto sia durata per me!) è in una traversa di via Cairoli, dalla quale, praticamente, non riemergo mai più. Dopo quattro giri dell’edicola del Fossatello mi infilo – per esclusione – in una traversa di via San Luca; stranamente la conformazione del terreno corrisponde, ma la lanterna non c’è. Eppure, belin, stavolta ci sono. Un tizio dall’aria e l’accento serbo mi chiede se mi sono persa. “No, magari, ma hvala lo stesso”. Se fossi una che s’è persa potrei farmi dare indicazioni e tornare a casa; invece sono una che gioca a perdersi, devo trovare una bandierina che non c’è e non sono neanche a metà. Mentre vago senza meta per la piazzetta, guardandomi intorno solo per far finta di avere qualcosa da fare, nel caso un altro passante volesse rendersi utile, scorgo un baluginare arancione dietro il culo di una clio nera: il cornuto s’è posteggiato davanti alla lanterna, ma credo che non sarà in grado di riprendere la macchina, dopo tutti gli accidenti che gli ho tirato (e quelli inviatigli da certamente qualche altro atleta). Poi c’è un punto in un vicolo che sbuca in Sottoripa e che conviene prendere da Sottoripa; meno male che sono spompata da un pezzo, perché con tutta questa gente non si riuscirebbe comunque a correre; perdo il conto delle traverse, ma con una botta di culo da manuale, trovo ugualmente la lanterna in un batter d’occhio (parametro larry). Ecco il momento temuto, il filo si spezza e la spada di Damocle che mi pendeva sulla testa scende: le lanterne all’Expò. L’Expò ha di buono che ci sono stata più di dieci volte e che è una grossa rambla, perciò, con tutta la buona volontà, c’hai poco da perderti. Di cattivo ha che non mi piace, è pieno di gente, c’è un sacco di strada da fare, c’hai sempre una palma in mezzo ai coglioni. Il fatto che non mi piaccia rimane, comunque, la principale causa di sforzo. Già lo approccio male, perchè mi infilo dal lato sbagliato delle biglietterie dell’Acquario. Chiamasi “lato sbagliato delle biglietterie dell’Acquario” quello in cui non è stata collocata la lanterna.Faccio il giro intorno a quattordici comitive e finalmente punzono perché, almeno, la lanterna è visibilissima. A momenti mi faccio volare la carta in mare nel cercare di rivoltarla per individuare il punto successivo, essendoci un vento che butta per terra, e quando finalmente riesco a ritrovare la porzione di carta in cui sono mi si è formato intorno un capannello di bambini convinti che stia tenendo uno spettacolo di origami. Il segmento rosa taglia il mare e finisce….finisce…belino, ai magazzini del cotone! Mi sovviene che Susy di Cogoleto mi aveva segnalato una fiera di stoffine e punto croce proprio in quegli ambienti e sono seriamente tentata dal piantare lì la gara e farmici un giro, poi mi sovviene che anche che sono vestita da a(e)bete e senza un soldo, quindi, a meno che non convinca Parolin in persona a cedermi uno schema per una bussola, l’unica cosa che posso fare adesso è camallare il mio culone controvento fino al Cineplex. Corro un po’. Al monumento di Luzzati ho i conati di vomito e, stavolta, non è l’opera (che solitamente ha delle responsabilità), è proprio lo sforzo. Arrivo sul posto e non la trovo. Sarà dietro l’angolo…no. Sarà dietro i cassonetti…no. Sarà sotto la scala…no. Sarà sotto la ringhiera…no. Sarà intorno al paletto…no (si noti come l’atleta se ne catafotte della descrizione punti, non conoscendo i simboli – per forza poi non brilla nel trail-o). Eppure il centro del cerchio dice che è qua, da ‘ste parti. Riguardiamo. No, per essere precisi il centro del cerchio dice, sì, che è “da ‘ste parti”, ma specifica anche che si trova nel passaggio coperto tra questa strada e quella parallela, dopo la sbarra del posteggio, ovvero tra le due – evidentissime sia in carta che sul terreno – file di alberi. Andiamo a vedere. Toh, una lanterna! Quella successiva sta in una zona di cui io ignoravo l’esistenza e che avrei potuto, al massimo, indicare come il deserto dei Tartari, ovvero quella porzione di mondo che sta oltre la fortezza Bastiani. Fortezza Bastiani è il nome che ho dato io a quella costruzione fortezziforme che sta di fronte agli alloggi della capitaneria, oltre la quale, secondo me, per l’appunto, non c’è niente. Inoltre, ero sicurissima che non ci si potesse entrare; invece scopro che su un lato c’è un passaggio – invero piuttosto ampio – e che oltre al varco si snodano addirittura delle vie in mezzo a case abitate. Rinvigorita dalla scoperta, trovo presto e con soddisfazione la lanterna. Finalmente entro in carta e – d’ora in poi effettivamente facilitata da una certa familiarità con la zona – faccio una gara davvero soddisfacente per il mio livello atletico e tecnico (di esordiente costante); peccato che siamo alla undicesima lanterna su 17 e il risultato utile me lo sono sputtanato parecchie cazzate fa.

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