[A posteriori] Sarviaa, aka Focaccia con la salvia

La cronaca delle mie recenti gesta si è interrotta bruscamente perché sono stata travolta dagli eventi.

Subito dopo aver finito di preparare l’impasto per una seconda focaccia, la prima era pronta per uscire dal forno, e – chi ha mai mangiato la focaccia con la salvia appena sfornata può capire – ho perso la testa.
Perdo sempre la testa quando la focaccia con la salvia è pronta. È buona fredda, è buona il giorno dopo, ma appena uscita dal forno è commovente. Quando la spezzi fa un rumore tondo e breve di rottura seguito da uno più lungo e leggero di lacerazione: “Cro-tsch-riiip”. I lembi si separano a malincuore e sprigionano un vapore aromatico e un profumo al tempo stesso fragrante e fresco. In bocca non oppone la minima resistenza alla masticazione, se non per la frazione di millimetro della crosta: non lega, non allappa, non appoltgiglia, non asciuga, non impasta. Si disfa e diventa per pochi istanti una massa soffice e gustosa, che prende la via dell’esofago alla velocità della luce, mentre il fortunato che la mangia si sforza di assaporarla più lentamente; ma quella, niente: impietosa delle papille gustative, si fa divorare incessantemente.

Capirete, quindi, che il blog è stato abbandonato senza troppe remore per gustare questa prelibatezza, che abbiamo accompagnato con del prosciutto cotto tagliato a mano (da me: vale doppio) e un po’ di birra.
A casa dei miei è costume consumarla con una maggiore varietà di farciture: tra i salumi e gli insaccati, come minimo prosciutto cotto, prosciutto crudo e un tipo di salame, benvenute anche coppa e mortadella; tra i latticini, lo stracchino è d’obbligo, la mozzarella non dovrebbe mancare e qualche volta s’è vista anche la ricotta. Mia madre ne faceva tre teglie enormi [comincio a pensare che avessimo un forno fuori standard] e si cenava con fette di focaccia calda imbottite direttamente nel piatto. Per ragioni diverse, donne della mia famiglia non sentono il calore sulle dita (mia nonna perché le aveva anestetizzate da sessant’anni di fornelli, mia madre perché ha la soglia del dolore di un pugile, io perché mangiandomi le unghie e le dita ho cancellato le impronte digitali e sviluppato dieci piccoli zoccoli), quindi riuscivamo a mangiare “panini” in cui lo stracchino si era sciolto e il grasso dei salumi aveva impregnato la focaccia. Anche mio padre ci riusciva, perché è molto destro nell’uso delle posate (gli fa schifo il cibo toccato con le mani, anche se sono pulite e sono le sue…siamo tutti strani, in quella casa) o perché mia madre gli preparava il boccone. Probabilmente le migliori cene che io ricordi.

Pensate cosa sarebbe stata la Recherche se, anziché delle stupide madeleines, Proust avesse conosciuto la focaccia con la salvia!

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.