Le cartine e le considerazioni sensate sulla gara si trovano sul blog orientistico di Zzi; per le cazzate, proseguire con fiducia.
Forse non tutti sanno che Zzi e io ci siamo conosciuti il 23 giugno, anche se consideriamo il nostro anniversario ufficiale il 24 perché ci siamo dati il primo bacino dopo la mezzanotte, e per questo quando abbiamo deciso la data del matrimonio abbiamo optato per il 24.
Ciò non di meno, anche il 23 di ogni mese ci scambiamo gli auguri e, se ci capita l’occasione di fare qualcosa di speciale, non è inusuale che – a seconda dell’opportunità – si scelga questa data.
Se è vero che non festeggiamo ogni mese, è anche vero che evitiamo di fare cose per qualche verso spiacevoli in queste date, in modo da garantirci giornate più serene possibile. È ovvio che non possiamo evitare l’imprevedibile, ma se possiamo facciamo a meno di quelle piccole cose noiose – la fila in posta, la spesa la supermercato, il dentista – che ci portano via tempo che potremmo passare insieme, rimandandole a giorni diversi.
Quando mi amava, di 23 e di 24 non si andava a correre, a meno che non fossi io a esprimerne il desiderio (evento mai accaduto nella nostra dimensione).
Adesso sospetto che Zzi voglia sbarazzarsi di me, perché lo scorso 23 ottobre non solo mi ha portata a una gara di orienteering, ma mi ha pure fatto gareggiare, anziché lasciarmi a pisolare in macchina come quando non può proprio fare a meno di tirarmi appresso, giocando perfino in extremis la carta “sbologna tua moglie allo speaker”.
Sospetto, inoltre, di essere scampata a un tentativo di avvelenamento.
Giungiamo a Brescia la sera precedente alla manifestazione, alloggiando in uno di quei pazzeschi albergoni da congressi superlusso che stanno appena fuori dall’autostrada e che, se beccati al momento giusto, costano come pensione coi cessi in comune. Alla reception intrattengo il consorte e il concierge con uno dei miei più collaudati numeri di magia: la sparizione del portafoglio di Zzi.
Si svolge così: siccome si è rotto il Telepass neppure due ore prima, dopo essere già entrati in autostrada, al casello passiamo dalla porta con il biglietto e paghiamo con la carta di credito. Ripartendo, Zzi mi dà la carta di credito e il portafoglio per riporre la prima nel secondo e il secondo nella mia borsa, mentre lui tiene il volante. Eseguo. Un rapido gesto della mano, e con i miei poteri magici il portafoglio non c’è più. Non è un banale trucco da prestigiatori, è vera magia perché non solo il portafoglio è stato spedito in un’altra dimensione (forse quella in cui io mi sveglio alla mattina alle 5 e prego Zzi di portarmi a correre sotto la pioggia, io lavo e lui sporca come in tutte le coppie normali, ho raggiunto il meritato successo con la mia sartoria cubista e abbiamo una gatta di nome Estrema Riluttanza, per poter uscire di casa e dirci “Ti lascio con Estrema Riluttanza”), ma tutti coloro che erano presenti alla scena – compresa me che ne sono attrice – hanno subito l’effetto del mio potente psicofluido e credono che il portafoglio sia stato riposto nella mia borsetta. Al momento di consegnare i documenti per la registrazione in hotel, il portafoglio, ovviamente, non si trova nella borsetta, e comincia la parte comica del numero, in cui i membri della coppia cercano il portafoglio dapprima nelle rispettive tasche e borse, poi in quelle dell’altro, convinti che il partner abbia tralasciato qualcosa, poi in auto, due volte a testa, e infine si imbarcano in una cronoricostruzione al contrario degli eventi, per capire dove l’oggetto scomparso possa essere finito, ignari del prodigio di cui sono protagonisti.
Intuita la gravità della situazione, le due metà della coppia continuano a cercare, ma solo in apparenza: ora l’attività principale di ciascuna è scaricare la responsabilità sull’altra. Il numero si chiude – come vuole la tradizione del cabaret – con la risoluzione del mistero quando tutto sembra perduto.
Dopo che il gioco è stato decretato fallito, l’aiutante del mago fa un gesto casuale, già fatto, e trova all’improvviso l’oggetto dato per perso, in un posto dove prima non c’era.
Sollievo e divertimento fra il pubblico.
Applauso liberatorio.