Io e la bici: 5 cose che devo perfezionare

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Sono passate solo poche settimane da quando CP e io siamo andati al Pedocin in bici, eppure pare trascorso un secolo, per colpa di questo autunno che non ha voluto saperne di aspettare ancora un po’ per arrivare, facendo precipitare la temperatura dell’acqua e impedendoci – ahimè – di tornare a fare il bagno.
Sia come sia, è giunto il momento di parlarvi del Falcon e del mio rapporto con la bicicletta.

Il Falcon – diminutivo di Millennium Falcon, come già spiegato – è la mia prima bicicletta “da grandi”.
Da bambina avevo un gioellino turchese con le ruote e le manopole bianco panna, ma, ancora prima che mio nonno togliesse le ruotine, mi sono imbelinata per terra e i miei genitori non hanno più voluto che provassi.
Sono trascorsi esattamente trent’anni da quell’estate, e mi sono rimasti il segno della ferita sulla caviglia destra e la convinzione che per le cose o si è portati o si è negati, inutile impegnarsi a migliorare se il primo approccio è stato fallimentare (cosa che, comunque, non mi impedisce di ostinarmi a fare cose che non so fare, solo che non mi aspetto di riuscirci).

Poi Zzi – con amore e pazienza – mi ha insegnato ad andare in bicicletta – quando si dice che l’amore smuove le montagne… di più: smuove le Larry!

Era il 7 giugno 2006 e mancavano poche settimane al nostro matrimonio il giorno che ci sono riuscita. Quella sera ho chiamato i miei genitori per condividere l’entusiasmo.
Per un po’ ho cercato di tirarli scemi con frasi tipo “C’è una novità… indovinate un po’…”, ma loro non sono mai stati fessi e non ci sono cascati: le hanno tentate un po’ tutte da “hai comprato delle scarpe” a “Bruce ha fissato un’altra data”, ma la domanda “sei incinta?” non me l’hanno fatta, anche se penso lo stessero temendo, mio papà soprattutto.

Quando ho annunciato trionfante che, a venticinque anni suonati, avevo imparato ad andare in bicicletta, mi hanno sgridata come non mi sgridavano dal ’97: dovevo essere completamente deficiente a fare una cosa così pericolosa a neanche un mese dal matrimonio, cosa volevo fare? Sfasciarmi la testa? Spaccarmi una gamba o sfigurarmi, così mi sposavo col gesso o coi punti in faccia – sempre che mi fossi potuta sposare?

La mia famiglia, in effetti, è specializzata in preconizzare scenari catastrofici – e devo dire che anche io ho ereditato un buon talento nel campo -, ma in questo caso la preoccupazione era più che motivata dalla conoscenza delle mie scarse agilità, prontezza di riflessi e coordinazione motoria.

A tutt’oggi, infatti, non sono diventata una campionessa di mountain-bike, perché non ho ancora risolto un paio di problemi che incontro andando in bicicletta

5 cose che devo perfezionare per diventare un asso della bici

 

Salite

Non sono capace ad alzarmi in piedi sui pedali, quindi non posso affrontare pendenze superiori alla rampa per i disabili.
Non solo sono flaccida e priva di energie, e pertanto incapace di applicare sui pedali una forza sufficiente a far girare le ruote su pendenze avverse, ma ho anche problemi di equilibrio, cui ovvìo tenendo il sellino basso (vedere la voce “sellino”), dimezzando, così, la già scarsa forza impressa alla pedalata.

 

Discese

Mi fanno molta – ma molta! – paura per via della velocità che si raggiunge e del fatto che non ho abbastanza forza nelle mani per frenare, e mi fermo, anche in questo caso, alla rampa per disabili.
Dovete, infatti, tenere presente, che, oltre alle cinque tonnellate della bicicletta, ci sono anche le mie dieci; non appena il fondo stradale si abbassa, dunque, per effetto dello spropositato peso, io e il Falcon diventiamo un bolide lanciato a tutta velocità, impossibile da fermare, tanto meno con prontezza.

La prontezza di riflessi, poi, non è mai stata il mio forte. Mio padre era molto preoccupato per questo: quando ero piccola me li provava a tradimento, battendomi sul ginocchio accavallato mentre guardavamo la TV vicini, e scrollava la testa sconsolato, perché temeva per la mia incolumità una volta che avessi preso la patente.
Per quanto deluso dal fatto che io non avessi ereditato le sua abilità di guida, alla luce di ciò credo fosse contento del mio rifiuto per il volante.

 

Marce

Il Falcon non ha le marce. Le ha avute, come testimonia la levetta sul manubrio, ma io non sono in grado di cambiarle, perché per spostare la levetta devo spostare anche la mano dalla manopola, e ciò mi fa sbandare; pertanto, è come se non le avesse.
Anche in macchina, ora che ci penso, se levo la destra dal volante per scalare, la vettura compie un pericoloso spostamento a sinistra (per la causa del fenomeno, vedere la voce “manubrio”).

Come se non bastasse, il cambio del Falcon non funziona più tanto bene e, anche quando riesco a spostare la levetta, il più delle volte non succede niente di apprezzabile, salvo un rumoraccio provenire dalla zona della catena.
Ricordo distintamente le volte che sono riuscita a cambiare marcia: sono cinque, in tutto, di cui tre molto dannose, perché ho spostato la leva nella direzione opposta al dovuto e ho messo la marcia sbagliata, peggiorando la situazione.

Ora ho trovato una marcia media e non mi azzardo a cambiarla per niente al mondo.

 

Manubrio

Non c’è niente da fare, non riesco a lasciarlo. Se stacco una mano dal manubrio, inevitabilmente sbando. In pratica, imprimo alla bicicletta la direzione dritta non per assenza di forze in una direzione laterale, bensì per effetto dell’applicazione di equivalenti forze vettorialmente opposte, venendo meno una delle quali, la bici va dal lato della forza restante. Tendo a farlo anche con il volante dell’automobile, per questo (e altri ottimi motivi) non guido.

Questa mia singolare gestione del manubrio comporta il fatto che se, mentre pedalo, mi scivolano gli occhiali giù naso, o li fermo con la lingua, e proseguo alla cieca tipo foca ammaestrata, cercando di non farmeli cadere nei raggi della ruota anteriore, o mi fermo, metto un piede in terra, mi tiro su gli occhiali e riparto.
Di solito faccio così, ragion per cui, dopo un po’, per effetto del caldo o della fatica, il sudore può rendere qualsiasi tragitto molto lungo.

 

Partenze

In partenza sbando molto, non mi è chiaro il motivo. A parte questo, ho sviluppato un sistema di avvio leggermente farraginoso, ma molto efficace per me.
Intanto, per partire, devo già essere seduta: non posso iniziare a pedalare e poi sedermi, come fanno tutti, perché cado.
Io parto in piedi a gambe larghe, davanti al sellino, impugnando il manubrio. Spingo la bici in avanti e mi sollevo sulle punte dei piedi, in modo che il sellino mi si infili sotto il culo. A quel punto, inclino la bici a sinistra per abbassarla e mantenerla in posizione, e posiziono col piede il pedale destro in alto, leggermente in avanti, in modo che possa iniziare con una pedalata quasi completa.
In equilibrio sulla punta del piede sinistro, mi siedo, mi do la spinta con il piede sinistro, eseguo la pedalata col piede destro, stacco da terra quello sinistro e cerco forsennatamente il pedale, cercando di compensare con le braccia la paurosa oscillazione. Un attimo prima che sia troppo tardi e debba riappoggiare a terra il piede, il pedale sinistro arriva, e nel giro di una paio di pedalate ho smesso di sbandare e posso proseguire felice.

 

Sellino

Non riesco a tenerlo all’altezza corretta, cioè a quella che permette alla gamba di distendersi quasi completamente quando il pedale è in basso, perché devo poter toccare terra con i piedi, altrimenti cado. Ne deriva che la pedalata non è delle più fluide, perché ho sempre le ginocchia piegate e sembro una minorata mentale su un triciclo.

L’esperienza più recente

A parte questi dettagli insignificanti, andare in bicicletta mi piace molto e, da quando ho “imparato”, sogno di farmi portare da Zzi in vacanza sulle numerose piste ciclabili tra Austria e Alto Adige, delle quali una cliente dell’edicola ogni anno mi parla con entusiasmo.

Forse, però, per il momento è prematuro, perché la mattina in cui sono andata a lavorare in bici per andare al Pedocin con CP ho avuto qualche difficoltà con il fondo irregolare della via in cui abitiamo, così ho portato la bicicletta a mano fino alla piazzetta.

Lì, poi, inizia una via in discesa, così mi sono risolta di condurre la bicicletta a mano per un altro tratto, e – di tratto in tratto – sono arrivata in via Ghega.
Qui il traffico mi ha spaventata e non me la sono sentita di fare via Roma, così ho pensato di portarla a mano e fare la parallela verso il mare, dove non passa anima viva, e dove avrei potuto beneficiare del nuovo Ponte Curto.

Non vedevo l’ora di salire perché ero bardata di tutto punto da ciclista provetta e la gente mi guardava con la faccia da “perché non sei in sella?”.
Sotto il caschetto portavo capelli raccolti in una coda bassa, che mi teneva un caldo assassino alla nuca, ma aveva il vantaggio di farmi calzare il caschetto; occhiali incastrati nelle fibbie; maglietta che si vedeva che era stata presa dal mucchio della roba da stirare perché destinata a tornarci prestissimo; bermuda vintage di colore beige, marca “Surfactivity” (impazzava a Genova a metà degli anni Novanta, un po’ come Think Pink a Trieste) con la cerniera rotta; solite sneakers bucate con i sassi incastrati nella suola.

Arrivata in largo Panfili, mi sono accorta di essere contromano.
Ora, non c’è mai un cazzo di nessuno, non è pericoloso e – soprattutto – non si dà fastidio ad anima viva, ma io odio i ciclisti che fanno quel cazzo che gli pare perché “tanto sono ciclisti”. Nessun cittadino è al di sopra della legge e il ciclista non è al di sopra del codice della strada.
Sono smontata e l’ho condotta a mano.

Ecco: se c’è una cosa che in bici proprio non mi riesce è portarla a braccia. Non sono capace a condurla dritta tenendola con una sola mano, come un cowboy con il suo cavallo; di spingerla per il sellino non parliamo neanche.
La porto per il manubrio, con entrambe le mani, massacrandomi lo stinco destro ogni volta che non sto abbastanza in avanti e il pedale mi colpisce. CP dice che, quando spingi la bici, i pedali non dovrebbero girare, ma lui è un purista. La mia bici funziona benissimo anche se mi picchia.

Arrivata al Ponte Curto, ho trovato un consesso di vecchi intenti a guardare le cozze attaccate alle pareti del canale; non sono potuta salire.
Via Cassa di Risparmio era piena di gente che andava su e giù in bicicletta, ma io non sono tanto brava da andarci in mezzo alla gente, perché potrei finire addosso a qualcuno, quindi l’ho portata a mano fino a piazza della Borsa.
Praticamente sono arrivata in edicola a piedi.

Ho percorso Piazza della Borsa e Piazza Unità in sella al Falcon, e sentendomene molto fiera, nonostante il gne-gnek-gne-gnek proveniente dalle mie ruote.
A un certo punto il sellino è sprofondato: ecco un donnone enorme su una bici piccola che pedala col culo per terra e le ginocchia in bocca, producendo un rumore sinistro.
Adulti e bambini si facevano da parte al mio passaggio.

“Mamma, guarda! L’orsa di Madagascar!”

About Larry

Un giorno Bruce Springsteen mi porterà via con sé, nel frattempo vivo avventure rocambolesche ogni volta che mi avvicino a un fornello e sottopongo ad attenta analisi tutti i locali nei quali vado a mangiare. Una volta ho incontrato un orientista e l'ho sposato senza comprendere la portata della tragedia. Il lamento dell'orientamento è su Larryetsitalia.net

4 thoughts on “Io e la bici: 5 cose che devo perfezionare

  1. Larry Post author

    Niente come scrivere cazzate stimola la partecipazione dei lettori!

    Avrei scommesso che stessi dicendo una fesseria, ma ho pensato “qualcuno mi correggerà”.
    Quindi, come sono le forze? Uguali e contrarie?

  2. Giulio GMDB

    Dovresti provare la bici da corsa con le ruote strette strette ed i piedi bloccati ai pedali ;-)
    Comunque sappi che pure io ho imparato ad andare in bici da adulto: in Inghilterra a 22 anni ;-) Da quella volta dovrei aver percorso circa 12.000 km in bici e circa 190.000 in moto :-)

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