Il marinaio e la balena alla volta del profeta [4]

Osteria Canon d’oro, via Nazario Sauro, Parma

Arriviamo alle 13 in punto, quando il locale è ancora vuoto: in effetti noi siamo in ferie, ma in fondo è un venerdì e la gente che esce dall’ufficio deve pur avere il tempo materiale di percorrere il tragitto fino a qui. Nei minuti successivi, infatti, l’ambiente semplice curiosamente arredato di quadri a soggetto acquatico, si animerà di avventori locali.

Per antipasto scegliamo un misto di salumi locali (felino, crudo e culatello) e petto d’anatra affumicato. Il proprietario, uno che parla come Gene Gnocchi, ma è affabile come Paolo Conte, ci informa che il petto d’anatra non c’è, ma c’è l’anguilla. Vada per l’anguilla. Gran mossa, quella dell’anguilla. Squisiti, ovviamente, anche i salumi, ma avevamo verso di essi grandi aspettative. L’anguilla, invece, un po’ mi insospettiva, ma ho trovato che fosse molto appetitosa, anche perché viene servita con il pomodoro (spellato, chissà perché?) e condita con olio, poco aceto, credo dei grani di senape e una verdura che sembrava la parte più sottile del sedano, ma al sapore era simile ad una cipolla arzilla. Forse era gambo di cipollotto, non lo so perché non ho mai mangiato consapevolmente il cipollotto, ma mi immagino che il gambo abbia questo sapore. L’insieme era fresco e saporito, e ci siamo fatti fuori un panino a testa tirando su il sughino. Non prendiamo il primo, sebbene gli anolini in brodo mi attirino e il tortello di zucca rientri nella ristretta cerchia delle “paste asciutte” a me gradite, perché non vogliamo incocconarci. Per questo scegliamo un secondo piatto leggero e digeribile: il cotechino con lo zabaione. Avrete capito che dicevo per scherzo e che non è una pietanza leggera, ma io sono dell’avviso che sia facilmente digeribile tutto ciò che è gradito al palato e mangiato con gusto, quindi consiglio con fiducia il cotechino con lo zabaione alle 15.30 di ferragosto prima di fare il bagno, mentre prevedo sciagure indicibili da una piccola porzione di finocchi al forno. Penserete anche che abbia definito la pietanza “cotechino con lo zabaione” per riferirmi ironicamente ad una somiglianza che la preparazione avrebbe con un ipotetico cotechino con lo zabaione. Eh no, carini! Invece era proprio zabaione-zabaione, un’emulsione dolce di uova zucchero e marsala, leggermente più liquida di quella che si serve abitualmente per dessert, ma di identico sapore. Si mangia con il cotechino aspergendolo abbondantemente perché, ci spiega Gene Conte, la ricetta dice “più questo che quello” (indicando, nell’ordine, la salsa e l’insaccato), proseguendo “cioè, più dolce che salato”. Effettivamente il connubio è delizioso; lo abbiamo scelto solamente per la sua esotica tipicità, figurandoci di andare incontro a qualcosa di ardito e difficile da mandar giù per palati alloctoni. Ci ha conquistati. Ne siamo rimasti letteralmente rapiti; io stessa, che non sono una fan del cotechino per via della sua grassezza troppo sfacciata al mio gusto [come a dire: colesterolo, a me!…a patto ch’io non ti riconosca sotto i denti], ne ho fatto una scorpacciata, progettando già di ripetere l’esperimento a casa e stupire gli ospiti. Il primo fortunato a stupirsi sarà Cippi. Quanto alla Giraffa, farò finta che si sia già stupita.

Come dessert ordiniamo una porzione di sbrisolona in due, perché non sappiamo ammettere la sconfitta quando la subiamo e vogliamo cercare di resistere fino alla fine. Mi è piaciuta molto, ma non essendo un’intenditrice di sbrisolone non saprei valutarle. Nota dolente, il vino. Vi dico solo una parola: Lambrusco.

 

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