Last CIOC (2) – Parco di San Giovanni, Trieste, 24 febbraio 2013

La moglie del posatore si sveglia, la mattina della gara, prima che il sole sorga, per fare colazione con il dolce maritino, il quale deve essere sul campo di gara di buon’ora per posare le lanterne (se no, che posatore sarebbe?).

Non si capisce perché le gare di orienteering si facciano alle dieci del mattino, costringendo i posatori a piazzare le lanterne nelle tenebre, ma – come si dice da queste parti – se g’ha sempre fato.
Riconosco, in effetti, che una gara alle quattro del pomeriggio scasserebbe oltremodo la minchia alla moglie del posatore, perché, tra una storia e l’altra, porterebbe via una giornata intera, quindi non è poi così sbagliato che i posatori rischino di farsi sbranare dai lupi nelle nebbie transilvaniche per metter giù le lanterne di una gara mattutina: se fossero di quegli invidiabili mariti che, la domenica, stanno al divano in canottiera a guardare la partita, non toccherebbero loro queste levatacce. Ci riflettano, e cambino hobby.

La moglie del posatore assiste attonita al trasporto delle lanterne da casa alla macchina, raggruppate con cura maniacale in mucchietti separati per numero, corredati del loro mazzo di chiavi. Apprenderà più tardi da Mariposa che ciascuna lanterna ha un lucchetto con una serratura diversa e necessita, di conseguenza, di una specifica chiave. Ora che lo so, un po’ sono pentita di non averle mescolate tutte quando potevo, così: per rendermi simpatica.

Resta oscuro il motivo per cui c’è bisogno di un lucchetto su ciascuna lanterna: non vedo perché mai qualcuno dovrebbe portarle via, tuttavia, escludendo che gli orientisti siano seguaci di Moccia, ritengo che in passato ce ne sia stata l’esigenza.
Io, un giorno che non un belino da fare, mi travesto da bidone dell’immondizia (leggasi: mi vesto di grigio e mi levo gli occhiali) e mi apposto vicino a una lanterna, solo per chiedere a quello che prova a rubarla cosa cazzo se ne vuol fare.

Non che non esistano feticisti delle lanterne (ne conosco diversi), ma di solito quelli girano con un numero sullo stomaco e corrono più che possono alla successiva.

La moglie del posatore ha ancora qualche ora prima di essere richiesta sul luogo del misfatto, così può dedicarsi a cose più importanti, come scrivere il blog, o più necessarie, tipo districare il groviglio dei capelli.
Mentre è lì che cerca invano di recuperare il terzo pettine fagocitato per sempre dalla sua capigliatura, squilla il telefono. “E che due coglioni, proprio quando stavo per sedermi sul cesso!” è il suo primo, delicato pensiero.

L’adorato marito la informa che la loro adorata vettura non va in moto e le chiede di scendere ad aiutarlo.
La moglie del posatore, che a differenza di quanto credano molti, vedendola sempre vestita di tutto punto, non va a dormire con la borsetta, perde qualche minuto a cacciarsi addosso i vestiti in fretta e furia, poi scende in strada appena possibile, nonostante le scarpe facciano a pugni con il maglione.

Dovete sapere che il posatore e sua moglie abitano in una zona abbastanza graziosa e ben servita, in centro città, appena fuori dal casino: un eccellente compromesso fra la comodità della city e la pace di una zona residenziale. Ovviamente, per potersi permettere un appartamento in una zona così, c’è sotto qualche inghippo: il condominio è in una strada privata abbastanza stretta, in pendenza, con macchine posteggiate da entrambi i lati, l’asfalto massacrato e una curva a 90° alla fine, prima di un altro tratto sconnesso, con pendenza minore, tra l’edificio e un muretto, dalla quale un’auto più lunga di una Polo esce solo in retromarcia. Come a dire: l’appartamento è conveniente, ma se non sei Nuvolari ti fumi tutto quello che hai risparmiato rimborsando i danni causati alle auto dei vicini o risistemando la carrozzeria della tua macchina.
“Vuoi spingere o metterti al volante?”
“Amore, sei scemo?”
“Ok, allora spingi forte dal muso”.

Come avevamo facilmente immaginato, in queste condizioni, appena molli il freno a mano, la macchina va, per cui, per spingerla bisogna correre più forte di lei; e più velocemente di lei si riesce ad andare, maggiore è la spinta applicata, come il nostro ingegnere bilingue preferito dovrebbe poter confermare.

Ora, non bisogna scordare che io ho gambe molto babbane (che sono il contrario della gambe magiche, ma suppongo abbiate tutti letto Harry Potter) e non riesco a correre più forte di un bambino di due anni, a meno che non gli venga messo un pannolino per rallentarlo un po’. Immaginatevi un po’ quanto forte riesca a spingere una station wagon in discesa.

Domenica 24 febbraio 2013, a tre ore dalla prima partenza dell’ultima prova del CIOC in programma al Parco di San Giovanni, a Trieste, nella ridente circoscrizione di Scorcola, chi avesse guardato dalla finestra avrebbe visto una culona malvestita e spettinata correre con le braccia tese verso il muso di un’automobile che si allontanava in retromarcia, probabilmente nel tentativo di imporle le mani a scopo sciamanico.

Zzi tira il freno a mano un capello prima di finire col culo in mezzo all’incrocio.
Mi propongo di fermare i passanti per chiedere di farci mettere in moto con i cavi della batteria, ma guardandomi ammetto che, al massimo, se uno avesse con sé i cavi, me li attaccherebbe alle orecchie. Spingo (ora il fondo è pianeggiante e posso farlo) l’auto fuori dalle balle e Zzi chiama metà della nostra giovane, ma rispettabile, società per informarla che bisogna depositare il posatore a posare.

Mentre la Fascinosa Figlia agita i sali sotto il naso del Previdente Presidente per farlo rinvenire, il veicolo della Costruttiva Consorte quasi si accende da solo, si scrolla di dosso con sguardo fiero un metro di neve e parte dalla gelida Gropada, senza un problema che sia uno, per salvare la gara.
L’Opel Corsa targata AX coi finestrini a manovella si aggiudica la Piston Cup sull’Opel Astra targata DF tutta elettronica.


A questo punto, la moglie del posatore è tornata in casa e gioca a Ruzzle seduta sul cesso, pertanto non conosce bene gli avvenimenti di queste ore.
Quando arriverà a San Giovanni, dopo aver cercato di rimorchiare sull’autobus un capo scout che – inspiegabilmente – al momento della stesura di questo post non l’ha ancora ricontattata, la moglie del posatore apprende che il marito è in giro con la vettura del Formidabile Furgonato, ma anche Marko con la K era stato allertato, infatti è già qui, anche perché Madame K – l’eroina che già sacrificò il suo compleanno a Gropada, ora debilitata dalla malattia – doveva prendere presto posto nel camper per far le coccole a Origare.

Per rendersi subito utile, la moglie del posatore si chiude mezz’ora al bar con la Fascinosa Figlia, sfondandosi di brioche con la marmellata e parlando di cose-da-femmine. Tornando, la scena che si presenta sotto gli occhi degli antipodi delle W-Gaje (quella bella, giovane e veloce e quella diversamente-tale) è questa:

i nostri uomini allestiscono, all’arrivo, un riparo con un telo, poiché il gazebo usato solitamente si è all’ultimo momento rivelato una pergola: ci sono i pali, ma non c’è il telo. Grazie a questo manipolo di intraprendenti volonterosi, le persone in arrivo non si bagneranno fino alle ossa, ma solo fino all’ipoderma.

Iniziano ad arrivare gli iscritti.
Che bello, quanti. Uh, c’è anche quella. E quello! Che piacere… pure lui!


… ammazza, però… sono proprio parecchi, nonostante le previsioni del tempo scoraggianti.
Continuano ad arrivare. Comincia a farsi largo nella mia mente la consapevolezza che non la finiremo mai, e staremo sotto il telo, al freddo e al gelo, fino a notte fonda, ad aspettare che tutti gli atleti giungano al traguardo.
“MadameK, scusa, quanti iscritti abbiamo?”
“Un centinaio”
“Minchia… Beh, ma mica si saranno presentati tutti, no?”
“Bah, più o meno”

Voglio morire.
E così stiamo, il Retore, Marko con la K, la Fascinosa Figlia ed io, nel niente sotto il telo, ad aspettare che cento squilibrati (con affetto parlando, s’intende, ma voi come definireste gente che  la domenica mattina si sveglia alle prime luci dell’alba per andare a correre sotto la pioggia?), tra cui non pochi bambini, finiscano la loro gara di sopravvivenza, dimostrando scientificamente la correlazione tra gare del CIOC e maltempo, tenuti su dalla tensione e dalla speranza per l’esito delle elezioni che si stavano svolgendo.

E non sapevamo che era quella la parte migliore di quella domenica.

8 thoughts on “Last CIOC (2) – Parco di San Giovanni, Trieste, 24 febbraio 2013

  1. Otti

    oddio, però se come credo l’origine è comune al veneto, correggi che si scrive se ga sempre… (ga-ha/è)
    Baci dalla pianura padana ingovernabile!

  2. Larry Post author

    Basta! Basta! Confesso! Non ne posso più, confesso!

    Sei sì e no la decima persona che me lo dice, ma io mi ostino a non crederci.
    Questo, in linguistica, si chiama ipercorrettismo, ed è molto comune nelle diglossie, solo che di solito il senso è inverso.

  3. Otti

    Larryyyyy rassegnati e correggi, mi si accappona la pelle ogni volta che ci torno su per errore, ga e la pronuncia della acca in veneto, vedila così te ne prego, non uccidermi! Esistono una grammatica ed una fonetica con relativa trascrizione di questa lingua, non puoi sbattertene il belino, non tu!

    (per esempio si scrive “el xe bon”, non “el se” o “el ze”… daiiii)

  4. Otti

    aspetta, ci sono: ga non significa mai e in nessun modo c’ha, ci ha o si ha, si è… vuol dire solo ha. Ecco, così ti suona più amichevole???

  5. Larry Post author

    Va bene, basta, mi hai convinta.
    Se è codificato, per quanto disprezzi una simile codifica, mi adeguo. Un grammatico non è uno scienziato: non è pagato per trovare la verità, è pagato per rispettare regole inventate da altri.

    Però, a questo punto, non correggo, altrimenti tutti questi commenti perdono significato.

    @Giulio: io ANELO ad una vita noiosa.

  6. Otti

    sì, oramai anche io pensavo non potessi più metter mano al testo. Mi contengo “i sgrisoi” e procedo oltre ;)

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