Non è un percorso per Larry [Martinihof 26.09.2010 – 2]

Ora Larry perde la dignità [ndr: si noti il passaggio alla narrazione in terza persona, per prendere le distanze dai fatti] e decide di farsi il minor male possibile: comincia a procedere a chiapponi. Fango ovunque. Fango nelle mani, fango sotto il sedere, fango nelle scarpe, fango sotto le unghie, fango nell’orologio, fango sulle gambe. Il problema, in verità, non è il fango in sè. Il problema è ciò che nel fango si cela.
Da questo momento della gara smetto di guardare dove metto le mani e, soprattutto, di guardarmi le mani e il corpo. Probabilmente i più orribili mostri hanno percorso le mie belle membra [invidiosi, eh?], ma io ho scelto di non accorgermente.
Credo di impiegare mezz’ora a raggiungere la 3 [ho gli split-time, ma non li ho letti perché – ribadisco – in fondo non me ne frega una mazza] e ho il forte sospetto che le compagne di società mi aspettino. Non ne sono sicura-sicura, ma il fatto che si voltino a controllare se ci sono ogni volta che produco rumore di frana [l’ho fatto spesso] e che mi parlino per sincerarsi che non sia rotolata a valle me lo fa vagamente sospettare.
Credo anche di aver detto loro di non preoccuparsi, che va tutto bene e che possono anche andare più forte e staccarmi del tutto, ma immagino che il tono della mia voce e il mio aspetto derelitto comunicassero, invece “vi prego, non vi allontanate, non lasciatemi sola, ditemi dove devo mettere i piedi, restate almeno a portata di voce, vi scongiuro”.

Così – più per ragioni morali che atletiche – le mie compagne/avversarie non riescono a staccarmi praticamente fino alla fine [a parte La Prof che ha un altro percorso e dopo un po’ si addentra nel bosco più selvaggio], anche perché la gara richiedeva alcuni passaggi topici che costringevano a rallentare.
Tre guadi, per esempio.

Il primo viene superato praticamente a pie’ pari dagli atleti che vedo sfrecciarmi davanti [fra cui un ventenne dalle spalle a quattro ante, con un’aderente maglia della Svezia e dei calzoni praticamente dipinti sul corpo, le cui chiappe, nel salto, han dato il meglio di loro]; io tento un approccio “jena/ninja” e mi avvicino il più possibile all’acqua, cercando di non insospettire il fiume, ma quello mi aveva già teso una trappola e ho posato l’ultimo piede nel fango. A quel punto ho scavalcato con naturalezza.
Il secondo guado richiede una scelta: camminare su un tronco coperto di muschio o saltare da sponda a sponda; solo che stavolta il fiume è largo come il Mississippi e io ho le gambe troppo corte. A scuola non riuscivo mai fare l’asse d’equilibrio e mi sono amaramente pentita di non essermi impratichita a suo tempo. Devo scegliere tra la padella e la brace. Faccio come Indiana Jones, chiudo gli occhi e mi lancio nel vuoto; deve esserci per forza un prodigioso ponte invisibile, perché è impossibile che i miei enormi piedi stiano veramente poggiando su questo minuscolo tronco.
Il terzo guado è un ponte precolombiano su un canyon in cui scorre lava, ma oramai ho superato le più tremende prove e mi fa un baffo….anche perché è talmente in prossimità dell’arrivo che Zzi può accorrere in mio salvamento.

Tra un guado e l’altro affronto una giungla marcescente, i cui tronchi si disfano nelle mie mani, attraverso distese di ortiche e piante carnivore, respingo gli attacchi delle lumache missile, scalo pareti di roccia a mani nude.

Sono distrutta.
Arrivo dopo due ore e ventitré. Una persona normale ci impiega un’ora e consuma un decimo delle calorie che sono servite a me, perché non deve fare inutili sforzi dettati dalla goffaggine.
Naturalmente non ho perso un etto perché, per riprendermi dallo sforzo, mi sono incocconata di qualsiasi schifezza io abbia trovato, con il risultato di essere – credo – leggermente ingrassata.
Sono soddisfatta dell’impresa compiuta?
No, neanche un po’, continuo a non capire cosa ci sia di divertente, non ho acquisito fiducia in me stessa [e meno male: il mio ego è già abbastanza ipertrofico così], non ho scoperto una passione bruciante per l’imbrattarsi di poltiglia terrosa e foglie macerate, non ho trovato alcuna soddisfazione nello scivolare sui funghi velenosi e nell’inzupparmi i piedi di qualsiasi cosa che fosse appena fluida.
Guardo con un misto di curiosità e rispetto [ma anche un po’ di sospetto]  chi lo fa, ma non fa per me.
Come ha osservato Cri – sbigottita alla notizia he io avessi fatto la gara e ne fossi uscita viva – non è un percorso per Larry.

4 thoughts on “Non è un percorso per Larry [Martinihof 26.09.2010 – 2]

  1. cri

    Cri era incredula, ma allo stesso tempo orgogliosa di Larry che ha affrontato il bosco in una delle gare più fangose della storia!!

  2. Larry Post author

    Grazie, apprezzo il tentativo di darmi soddisfazione. Credimi, lo apprezzo tanto.
    Ma è stata una disfatta lo stesso!

  3. Larry

    Grazie, Costruttiva Consorte, grazie: adesso non potrò mai più mangiare la cioccolata senza pensare alla poltiglia di Martinihof….secondo me c’è lo zampino di Zzi-dietologo!

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