#VEnotte14, 25 gennaio 2014 | cap.1: Cercasi bussola disperatamente

Oggi, 30 gennaio, facciamo gli auguri alla GIRAFFA e al Grintoso Grafico, che hanno compiuto 21 anni.

***

Sabato scorso, 25 gennaio, c’è stata una gara di orienteering a Venezia.

Più correttamente, sabato 25 gennaio, a Venezia, c’è stata l’unica e sola gara di orienteering che io concepisca, che aspetto come la notte di Natale, quindi adesso – anche se nella mia calza ho trovato un pezzo di carbone grande come il meteorite che ha distrutto i dinosauri – vi racconto i dettagli della faccenda.


[Io schiacciata da un meteorite dall’evocativa forma di gondola]

Per alcune lacrimevoli ragioni personali con le quali non vi sto a tediare, perché non si confanno alla mia linea editoriale, l’entusiasmo per l’appuntamento di quest’anno era un po’ più basso del solito.
È pur vero, però, che solitamente l’entusiasmo per l’evento è molto alto, quindi – anche levandone un pochettino – ci avviciniamo comunque al fondo scala.

Ad ammantare l’evento di un’atmosfera insidiosa ci si mettono anche le circostanze, che vanno dal presagio di sventura alla disgrazia conclamata.

Come i fan delle mie gesta orientistiche non si saranno lasciati sfuggire, l’ultima volta che avevo calcato i campi di gara era stato in occasione della prima tappa del CIOC, in veste di posatore ausiliario.
Era stata anche l’ultima volta che avevo visto la mia bussola.

#VEnotte14, 25 gennaio 2014

Cercasi bussola disperatamente

A beneficio degli sventurati Piccoli Lettori mangiotteri che si devono sorbire la parentesi orientistica, spiego cosa sia la bussola.

La bussola è – penserete voi inconsapevoli – uno strumento che, sfruttando il campo magnetico della Terra, indica costantemente dove si trova il nord, permettendo di determinare, così, la propria direzione.
STOLTI!
Questa è, al massimo, la definizione di “bussola” che danno i babbani nonori.
Per gli orientisti, la bussola è una compagna fedele, la luce in fondo al tunnel, la Stella Cometa.

La bussola sta all’orientista come il dizionario sta a al traduttore, come la spada laser sta al cavaliere Jedi, come il pallone sta a Holly di Holly e Benji: la bussola è la sua migliore amica, presenza più costante e discreta di una moglie, esiste per salvargli la vita. Lui sa che lei non lo tradirà mai; anche se lui le starà distante per un po’, quando ne avrà di nuovo bisogno lei ci sarà, e lo sosterrà fedelmente senza rappresaglie, come se non si fossero mai allontanati.

Nell’orienteering, a ben guardare, la sola cartina sarebbe necessaria e sufficiente. Necessaria perché, senza di essa, non c’è il gioco, ma solo un insipido bosco (o centro urbano) di cui non si sa bene cosa fare, come una scacchiera senza pezzi; sufficiente, perché, se sei fottutamente bravo a leggerla, in pura teoria la puoi orientare solo confrontandola con il terreno, facendo a meno della bussola.

Eppure, della bussola non fai a meno neanche se sei il dio in terra dell’orienteering, perché la bussola ti dà molto di più della direzione: la bussola è l’Oracolo che dà le risposte alle Grandi Domande esistenziali: “chi siamo?” (orientisti, se non avremmo una bussola), ma soprattutto “dove andiamo?” e “da dove veniamo?”.
Reso forte da queste certezze, l’orientista si muove sicuro sul terreno come il saggio attraversa saldo la vita, grazie alla Conoscenza che la bussola gli fornisce in qualsiasi momento lui la interroghi. Va da sé che l’orientista deve essere all’altezza del suo interlocutore e interpretare correttamente le risposte dell’Oracolo.

 

Tutta questa filosofia della bussola, tuttavia, non mi riguarda, perché io non sono un’orientista: non mi oriento, a malapena ricordo se il nord sia la metà rossa o la metà bianca dell’ago, perciò vivrei al massimo come una seccatura, e non come una maledizione degli dei dell’Olimpo, l’aver smarrito la bussola; solo che io ho un lieve disturbo di disposofobia.

Chiedete a Zzi.
Abitiamo in questa casa da soli sette anni e una delle stanze è già diventata il mio magazzino, fatto salvo per lo spazio necessario ad aprire l’asse da stiro. Accumulo tutto. Non butto niente. Conservo qualsiasi cosa perché gettare via è il male, perché potrebbe ancora servire, ma, soprattutto, perché ha una storia ed è un ricordo.

Mi affeziono agli oggetti e non riesco a separarmene, anche a quelli di minor valore o cui non sono correlate vicende particolari. Se, disgraziatamente, si tratta di regali o di cose in qualche modo legate ad altre persone, assurgono immediatamente allo status di reliquia e diventano oggetto di venerazione.
Quando ho compiuto 29 anni, la Regina della bussola mi ha regalato il nastro adesivo per fissare i lacci delle scarpe. È ancora sigillato per non consumarlo, e io sto per cambiare categoria.

Immaginatevi come sono stata male quando mi sono resa conto che davvero avevo perso la mia bussola, che era in precedenza appartenuta a Zzi e che era stata la sua prima bussola da pollice. Se avessi smarrito la fede nuziale, non so se avrei fatto le stesse scene.

Poi, un giorno, il sollievo: la mia bussola era stata ritrovata a casa del nostro Previdente Presidente. Non ci capacitiamo di come ci sia arrivata, ma non ha importanza, le vie del Signore sono infinite, la descrizione corrisponde, la mia bussola è sana e salva a Gropada.
Evidentemente era fuggita nel tentativo di farsi adottare dalla famiglia presidenziale per vedere cosa di prova a fare di nuovo un po’ di orientamento e sentire di nuovo l’ebbrezza di essere ascoltata, ma l’importante è che torni a casa.

Comprenderete facilmente che il mi cuore quasi non ha retto quando ho visto che la bussola che il Presidente mi riconsegnava non era la mia. Le assomigliava, ma non era la mia.

 

A una settimana dalla gara di Venezia, precipito nel più cupo sconforto.
Non solo uno degli oggetti cui tengo di più – un regalo di Zzi, il mio fido navigatore, il mio nume tutelare, la mia cicatrice di Harry Potter che, in un modo o nell’altro, mi ha sempre tratta in salvo e riportata a casa – non è con me, ma io non so dove sia.
Sono una persona spregevole, l’ho abbandonata chissà dove, sarà morta schiacciata dal furgone del Principe Consorte nel parcheggio della nostra giovane, ma rispettabile società; oppure starà soffocando nel fango sul ciglio di un sentiero, al freddo, sola, impaurita, consapevole della sua posizione, ma incapace di tornare, come sepolta viva; spero solo sia stata raccolta da un orientista vero, che ne abbia cura e la faccia divertire. Io, del resto, non me la merito.

 

Una sera, prima di addormentarmi, ho come un’intuizione.
Mi ricordo di un posto dove non ho guardato e mi precipito a controllare, fantasticando, nei pochi metri fra una stanza e l’altra, di avvertirne il dolce peso sul fondo del sacchetto appallottolato nello zaino, nel dispiegarlo. Sono sicura che ci sia, lo sento, come Madame aveva sentito tornare Duchessa e i gattini. Resto sicura anche quando, dispiegando il sacchetto, non avverto alcun dolce peso sul fondo e devo rivoltarlo e tastarlo tutto per riconoscere che mi sono sbagliata.
Dormo malissimo.
Sogno orientisti.
Sogno che ce n’è uno che corre lungo il sentiero davanti a me, rallenta e si lascia raggiungere. “Dove stiamo andando?” mi chiede, e io lo prendo per mano e gli dico “È la direzione giusta”, ma in cuor mio vivo un’angoscia indicibile perché so di non poterne essere certa, non avendo la bussola.

Passo il giorno successivo a lamentarmi della mancanza della mia bussola con tutti quelli che conosco, specie con gli orientisti, che non ne possono più.
Sono così depressa che, per farmi del male, mi metto a riordinare le borsette.
In una trovo, nella tasca anteriore, le carte con i percorsi della prima tappa del CIOC che avevo usato per fare il sopralluogo tre giorni prima della gara. Nell’altra tasca c’è il libro che stavo leggendo, e penso che è un peccato averlo interrotto, lo metterò sul davanzale del bagno. Sul fondo ci sono 27 centesimi, le chiavi di riserva della macchina (chissà perché le ho io, che non guido, poi), il biglietto dell’autobus scaduto e uno scontrino stropicciato e stinto. In una delle piccole tasche laterali, il burro di cacao al mango. Nell’altra, un peso lieve.
Non mi faccio illusioni, è sicuramente il peso delle cerniere. Infilo la mano: uno spigolo, una superficie liscia e la trama di un elastico di tessuto.

Più che estrarre la bussola dalla tasca, lascio cadere la borsetta che le sta intorno e corro (sì, cazzo, corro proprio), stringendola al cuore, a chiamare Zzi, per dargli la notizia.

Cinque minuti dopo, la foto del figliol prodigo è su twitter, con gran sollievo della comunità orientistica tutta, e lo Speaker è all’altro capo del telefono, che non capisce esattamente cosa io stia farneticando, ma ripete che me lo aveva detto che dovevo stare tranquilla.

 

7 thoughts on “#VEnotte14, 25 gennaio 2014 | cap.1: Cercasi bussola disperatamente

  1. The Speaker

    Salame! Ho capito solo arrivato alla fine del racconto che stavo rivivendo la telefonata di fine capitolo 1.
    Ed io che pensavo che fosse andata perduta un’altra volta… (lo sarà, succederà, no non potrai farci niente, e poi la ritroverai)

  2. Larry Post author

    No, non lo sopporterei.
    Perdo già il cellulare due volte al giorno e le chiavi di casa a giorni alterni, non posso aggiungere anche la bussola al gioco delle tre carte che mi faccio continuamente sotto il naso… e poi non reggerei al dispiacere.

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