Wrecking Ball Tour 2012, Colonia | Giorno 2.
Anversa, Westmalle e arrivo a Kerpen (DE).
Malle.
Rotta per Westmalle: facevamo prima ad andare a Camelot.
Sebbene a giudicare da internet sia facile raggiungere l’abbazia di Westmalle, se ci si dimentica di salvare la pagina offline e ci si affida al Tom Tom inserendo l’indirizzo indicato sulla guida, si raggiunge solo un posteggio nello sperduto, ma delizioso, paesino di Malle, che consta di mezza dozzina di basse case di mattoni con finestre che sfidano le leggi dell’edilizia e della privacy, una chiesa con il suo bel cimiterino intorno e, separato dal camposanto solamente da un muretto, un biergarten.
C’è una strana atmosfera immobile eppure sospesa, oppure sono io che mi sono addormentata in macchina – ehi, non mi ero ancora abbioccata con la bava alla bocca dall’inizio della storia! – e al risveglio ho l’udito ovattato e la vista sensibile.
Dell’abbazia non c’è neanche l’ombra, ma non ci interessa poi molto, poiché, essendo “in funzione”, cioè essendo il luogo dove dimorano monaci benedettini che vivono come nel Nome della Rosa, non è visitabile; sappiamo solo che di fronte c’è un caffè che serve la birra e il formaggio prodotti dai monaci, ma poiché anche il biergarten che troviamo possiede questi requisiti, decidiamo che è la nostra meta ideale, soprattutto perché io non mi reggo in piedi.
Taverne Kasteelhoeve, Malle
In questo ombroso e ventilato biergarten torno lentamente alla vita.
Valuto di accompagnare la birra con qualche appetizer, timorosa di ubriacarmi bevendo una birra così alcolica all’ora della merenda. Vedo i prezzi degli appetizer e mi sovviene d’improvviso che reggo l’alcol come Marion Ravenwood, l’ex fidanzata di Indiana Jones e non c’è bisogno che io mangi niente.
Qui servono la birra Westmalle, a 3,60 euro (decisamente fuori mercato per gli standard di questo paese) e la birra Westmalle met qualcosa a 3,80 euro. Ho imparato che met vuol dire “con”, ma non immagino cosa possa essere servito con la birra per 20 centesimi. Di conseguenza ne ordiniamo una per tipo, timorosi che la cosa misteriosa sia una lumaca (anche se escargot a 20 cent. al pezzo sarebbero da portare via a mani basse e contrabbandare poco più in là).
Arrivano due birre identiche, senza niente altro nel vassoio.
La cameriera ci chiede in fiammingo per chi sia una delle due. Non capiamo di quale stia parlando, ma io rispondo con sicumera “fuer mich”, perché ho sentito che si intendeva benissimo con il tavolo di tedeschi accanto al nostro.
Le assaggiamo.
Siamo contenti, a entrambi piace molto. A me piace soprattutto perché è molto dolce, a differenza di tante birre della zona. Zzi si stupisce e mi dice che la sente amarognola, per questo gli piace. È strano, ma checcefrega, basta che ci piaccia, guarda come si sta bene sotto questa pergola di ippocastano (il nord Europa è un po’ carente di vigna e fa le pergole potando gli ippocastani; il risultato finale non è infame).
Volgo lo sguardo intorno e l’occhio mi cade sullo scontrino, dove, dopo il “met” accanto al nome della birra c’è una parola diversa da quella sulla lista, molto – ma molto – simile a “granatina”.
Del resto, se un paese che produce birre così buone ne immola metà della produzione per pasticciarle con aromi al lampone, alla ciliegia e al limone, perché mai non dovrebbe sporcare la birra con lo sciroppo? Oltretutto, è probabile che la perniciosa usanza di imbottigliare panachée derivi proprio dal curioso costume di fare long drink con la birra di spina.
Ci scambiamo i calici per assaggiare l’uno la birra dell’altra, facciamo contemporaneamente un sacco di smorfie e ci riprendiamo ciascuno il nostro bicchiere, Zzi contento della sua rarità, io beata del paciugo con l’indice glicemico dello shuttle.
Riconciliati col mondo, ci rimettiamo in auto e affrontiamo l’ultimo tratto di viaggio verso Kerpen.
Chissà se il racconto del viaggio di maggio finirà prima della partenza per il prossimo concerto!